Fabrizio Tonello
Cani rabbiosi e un leader che si crede onnipotente
il manifesto, 18 dicembre 2025
Immaginate per un attimo di essere Giorgia Meloni e di leggere la mattina a colazione che la sorella Arianna ha parlato con il manifesto. Non solo ha parlato, per mesi, con uno dei nostri redattori ma ha detto al giornale che Meloni “crede di essere onnipotente”, che Salvini “è un drogato” e che buona parte dei ministri sono “cani rabbiosi” (ma a lei non dispiace stare in mezzo a loro). Tradimento! Beh, a Giorgia Meloni non è ancora successo ma a Donald Trump sì: la sua amatissima Susie Wiles, la capogabinetto che tiene saldamente il timone della sgangherata Casa bianca, ha parlato con Vanity Fair e il dettagliatissimo ritratto dell’amministrazione Trump che ne è uscito non è affatto lusinghiero.
Partiamo da una fotografia nell’ufficio della Wiles: un marziale Donald Trump sta insieme a Putin sulla pista di un aeroporto e la dedica a pennarello recita: “A Susie, sei la più grande! Donald”. Un segno di riconoscenza per i dieci anni in cui Wiles è stata la più fedele delle collaboratrici, quella su cui si poteva sempre contare. L’altroieri, invece…
Il lunghissimo articolo di Vanity Fair pubblicato martedì descrive un presidente che “ha una mentalità da alcolizzato” e quindi “crede di essere onnipotente”. Parla di Elon Musk come di “un drogato di chetamina” e definisce il gruppo di collaboratori più stretti di Trump come “cani rabbiosi” (ma confessa che a lei non dispiace stare in mezzo a loro).
In effetti c’è una foto, un ritratto collettivo del vero governo di Washington (i ministri sono dei passacarte) composto da Susie Wiles, al centro del gruppo, con al suo fianco J. D. Vance, il vicepresidente e Stephen Miller, il nazista che si occupa della persecuzione dei migranti. Dietro di lei stanno Marco Rubio (che in quanto Segretario di Stato dovrebbe essere il n. 2 dell’amministrazione), Dan Scavino, che un tempo era il ragazzo che portava le mazze da golf di Trump e James Blair, il consigliere per la politica interna. Appoggiata alla scrivania, un po’ lontana, Karoline Leavitt, la portavoce che tratta i giornalisti con tutta la grazia di un bulldog.
Sono i pretoriani, i fedelissimi, quelli pronti a difendere l’indifendibile, cosa che accade più o meno tutti i giorni. Nell’intervista Wiles fa del suo meglio ma deve ammettere che la maggior parte delle decisioni di Trump sono “estemporanee”, che delle questioni minori, come la chiusura dell’UsAid, che sta provocando centinaia di migliaia di morti in Africa a causa dello stop alle vaccinazioni, “il presidente non se ne occupa”.
Negli undici mesi in cui Trump è stato alla Casa bianca, la parola d’ordine è stata “vendetta”, vendetta contro tutti i nemici: i democratici, i giornalisti, i giudici. Susie Wiles, candidamente, dice che aveva “una specie di accordo” con il presidente perché tutto finisse “nei primi 90 giorni” del suo mandato. Come se cercare di mandare in galera i nemici politici fosse ammissibile se fatto solo nei primi tre mesi. L’accordo è stato naturalmente ignorato da Trump che sta accanitamente cercando di vendicarsi di John Bolton (ex consigliere per la Sicurezza nazionale), James Comey (ex direttore dell’Fbi), Letitia James (Procuratrice di New York) e molti altri usando i pretesti più inverosimili.
Tutto questo sarebbe solo del gossip politico se non fosse uno dei molti sintomi della febbre da cavallo che ha investito l’amministrazione Trump nelle ultime settimane. Un fastidio minore, forse, ma pur sempre un fastidio mentre i repubblicani in Congresso e negli stati si stanno smarcando da un leader il cui declino fisico e cognitivo è evidente. Un presidente costretto ad annunciare in un discorso televisivo a reti unificate per ieri sera (stanotte alle 3 ora italiana) il blocco totale, e la possibile invasione, del Venezuela. Un presidente che continua a definire “un imbroglio” l’inflazione che colpisce gli americani a basso reddito, mentre è del tutto evidente che i prezzi dei beni di prima necessità sono aumentati e i costi delle assicurazioni sanitarie private sono andati alle stelle.
Ed è proprio su quest’ultimo tema che un gruppo di repubblicani alla Camera ha rotto con Trump e voterà per ripristinare i sussidi alla copertura sanitaria aboliti nei mesi scorsi. Un segno di ribellione che va di pari passo con il rifiuto di manipolare le circoscrizioni elettorali in Indiana e con le annunciate rinunce a presentarsi per un nuovo mandato da parte di una quarantina di deputati repubblicani della Camera, in previsione di un’ampia vittoria dei democratici alle elezioni di metà mandato del novembre 2026.
Trump è un presidente impopolare oggi, su tutti i temi di politica interna ed estera ma soprattutto a causa dell’economia: non solo i prezzi aumentano ma i posti di lavoro diminuiscono. Un cocktail micidiale per qualsiasi presidente in carica.
E poi ci sono le migliaia e migliaia di pagine che riguardano Jeffrey Epstein, il misterioso miliardario che ospitava nella sua isola privata nei Caraibi chiunque avesse potere a New York e a Washington, a cui metteva a disposizione ragazze minorenni. Tutti sanno che per anni Epstein e Trump sono stati amiconi e il fatto che il primo si sia suicidato in carcere mentre aspettava una condanna per reati sessuali ha reso sospetto agli occhi dei sostenitori anche lo stesso presidente. Soprattutto dopo che la compagna di Epstein, Ghislaine Maxwell, è stata trasferita in una prigione che assomiglia molto a un country club per scontare il resto della sua condanna a 20 anni di carcere per complicità.
Gli aspiranti dittatori mantengono a lungo il consenso dei loro sostenitori, anche quando si rendono responsabili delle peggiori efferatezze, ma Trump sembra stia perdendo il controllo non solo di una parte del partito repubblicano ma dei suoi sostenitori. In questo declino c’entra anche l’età: Mussolini e Hitler erano dei quarantenni quando andarono al potere, Trump compirà 80 anni fra pochi mesi, perde il filo quando parla, afferma di essere in ottima salute ma si muove come un anziano stanco e fragile. Senza contare il fatto che, per quanto narcisista e crudele sia, “non ha la stoffa per fare il dittatore”, come ha detto recentemente John Bolton.

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