martedì 30 dicembre 2025

Un'amicizia filosofica

Roberto Ciccarelli 
Le lezioni di Deleuze su Michel Foucault 

il manifesto, 30 dicembre 2025

La ripubblicazione dei tre volumi del corso di Gilles Deleuze su Michel Foucault in un elegante cofanetto, realizzata dall’editore Ombre Corte (pp. 900, euro 50) permette di ricomporre il mosaico del pensiero di Deleuze e quello dei suoi rapporti con l’autore di Sorvegliare e punire (Einaudi) o de La volontà di sapere (Feltrinelli). Queste lezioni, splendide, su Foucault sono il frutto di un notevole lavoro di traduzione dal francese (di Marta Benenti, Marta Caravà, Lorenzo Feltrin, Carlotta De Michele) e di commento (di Massimiliano Guareschi, Ubaldo Fadini e Girolamo De Michele). Vanno senz’altro lette con il Foucault di Deleuze (oggi pubblicato da Orthotes), un folgorante ritratto filosofico che è molto più di una classica monografia accademica.

QUESTO RITORNO EDITORIALE è avvenuto quest’anno in occasione del doppio anniversario della nascita (1925) e quello della morte (1995) di Deleuze, la cui opera ha avuto un notevole riscontro in diverse stagioni anche nel nostro paese. Ne abbiamo parlato ampiamente su il manifesto e su Alias Domenica. L’exploit di ombre corte arriva al termine di un anno in cui sono state pubblicate da Einaudi le lezioni di Deleuze sulla pittura e su Spinoza e una nuova edizione de L’AntiEdipo scritto da Deleuze con Félix Guattari nel 1972. In Francia l’editore De Minuit ha pubblicato altri corsi che Deleuze ha tenuto tra il 1979 e il 1980: Sur l’appareil d’État et la machine de guerre e Sur les lignes de vie.

I corsi tenuti all’università Parigi 8 tra il 1985 e il 1986 sono un’opera a sé e permettono di capire il libro su Foucault che Deleuze ne ha tratto nel 1986, a due anni dalla morte di Foucault avvenuta nel 1984. Permettono inoltre di comprendere le numerose interlocuzioni dal fondamentale dialogo sull’intellettuale del 1972 ai saggi brillantissimi che Foucault ha dedicato a Differenza e ripetizione e Logica del senso di Deleuze o all’Antiedipo. Si può inoltre capire, e relativizzare, il dissidio sui concetti di desiderio e di piacere, come anche i diversi approcci alla politica negli anni Settanta: sul caso dell’avvocato della Rote fraktion armee Klaus Croissant al conflitto tra Israele e Palestina.

Di certo, le lezioni deleuziane sono uno dei modi più alti, sia dal punto metafisico che da quello politico, di entrare nell’opera di Foucault. In queste pagine c’è una grande potenza del pensiero intrecciata con l’intensità esistenziale di un rapporto di amicizia iniziata – lo ha ricostruito lo storico François Dosse in Amitiés philosophiques (Grasset) – nell’ottobre 1952 a Lille.

UNA LETTURA NUOVA di un rapporto di amicizia che ha modificato profondamente la filosofia contemporanea oggi è necessaria per ribaltare i cliché di una storiografia riconosciuta. Quella, per esempio, che ha ridotto il pensiero critico all’amalgama di un prodotto accademico da esportazione, la «French Theory», o di un Foucault «neoliberale».
Approcci semplificati, e pregiudizievoli, di questo tipo sono stati diffusi nell’ultimo ventennio e non dovrebbe stupire il fatto che oggi alimentino le «guerre culturali» dell’estrema destra.
Queste idee sono il risultato di una lunga genealogia, presente anche a sinistra sin dagli anni Sessanta, che ha ridotto la critica a moralismo e oggi alimenta lo spauracchio della svolta reazionaria del neoliberalismo basata sulla nazione, la guerra e il mercato, quello che cerca i nemici nel femminismo, nel pensiero postcoloniale o nell’ecologia politica. Sono ricostruzioni che hanno coinvolto, tramite strategie di appropriazione e ribaltamento nell’opposto, lo stesso Deleuze.
Ricorre, spesso, la tentazione di considerare quest’ultimo come il fautore di un gergo della metafisica idealistica. L’operazione di «purificazione» serve a rimuovere l’inevitabile rapporto con la politica presente nei quattro libri scritti da Deleuze con Guattari (AntiEdipoMille pianiKafka e Che cos’è la filosofia?).

Questa tentazione è funzionale alla liquidazione di Deleuze come utile idiota del capitalismo, cioè l’autore di un’inesistente (e da lui stesso criticata) «ideologia del desiderio».

RILEGGERE, invece, le magnetiche pagine che raccolgono i pensieri di Deleuze sull’opera di Foucault, è uno degli antidoti più efficaci al populismo anti-intellettuale, al fascismo molecolare e al morfinismo accademico.
Tre sono le domande da cui è partito Deleuze nel creare un ritratto con Foucault, e non solo su Foucault: cosa posso sapere, come si trasforma il potere e come posso resistergli, come si diventa soggetti di una rivoluzione (o «soggettivazione»). Sapere, potere e soggettivazione sono infatti i titoli redazionali scelti per i tre volumi del corso che stiamo leggendo.

Il «sapere» non è solo un discorso filosofico-giuridico o scientifico ma si proietta sulle pratiche e spinge il soggetto al superamento dei suoi limiti. La «verità» non è l’espressione di una conoscenza pura, ma è il movimento che produce un «sovrappiù di forze» che eccede la conoscenza data. Il sapere, inoltre, è in stretta relazione con il potere. Deleuze si interroga su cosa abbia spinto Foucault a passare dal registro del primo a quello dell’altro. Egli suggerisce che la questione del «doppio» avrebbe suscitato uno spostamento fondamentale.

Il problema di Foucault è quello del doppio. Ciò gli ha permesso di giocare su una doppia partizione: quella delle relazioni di forza costitutive del potere che vanno ad aggiungersi alle relazioni di forma che costituiscono il sapere. Un simile approccio ha permesso di escludere l’esistenza di un dualismo tra natura e cultura, o tra soggetto e oggetto.
Non esiste una «esperienza originaria, libera e selvaggia», come crede chi critica il potere in nome dell’autenticità, e del suo fantasma. Ogni espressione è presa in rapporti di potere ed è il potere a determinare cosa di una natura si può dire e fare. Deleuze ha avvertito il rischio del nichilismo, cioè l’idea del potere assoluto che tutto domina.

Foucault lo ha avvertito quando ha definito il potere come una produzione di relazioni, e dunque un rapporto sociale. Sta qui il grande interesse che ha per noi oggi il terzo volume del corso, quello sulla «soggettivazione», dove Deleuze procede a un corpo a corpo con l’«aporia» di Foucault.
Così possiamo comprendere l’importanza del problema del «fuori» in Foucault (e delle «linee di fuga» in Deleuze e in Guattari) in una rinnovata dialettica, non hegeliana. Questa dialettica non è un «ritorno al soggetto» – cioè allo Spirito, al Pensiero-Logos o all’Essere – ma la pratica di un «diritto alla differenza e alla metamorfosi» dei modi di essere e delle «maniere di vivere».

LA LOTTA PER IL SAPERE e il potere si svolge nella produzione della «soggettività» e sui modi in cui essa diviene, cioè si «soggettivizza». Riguarda tutto: la vita e la morte, la libertà e l’uguaglianza, il lavoro e la ricchezza, le idee e le percezioni, l’etica e l’estetica, l’economia e le istituzioni, oltre che la guerra. La lettura di Deleuze sull’etopoietica della soggettivazione permette di comprendere a fondo il significato della lotta per l’egemonia svolta nell’ultimo mezzo secondo dai neoliberalismi, oltre che sull’ultima stagione delle genealogie di Foucault al Collège de France. Il problema è la produzione di una «vita altra» a partire da «questo mondo» ridotto dal potere a una prigione a cielo aperto.

Il cuore del corso su Foucault si trova nella lezione del 13 maggio 1986 quando Guattari è intervenuto a fianco di Deleuze. Il testo è un condensato spettacolare della filosofia del futuro. Serve, tra l’altro, a farsi un’idea di cosa significa praticamente un libro come Mille piani, oltre che ai numerosi testi che su questo tema ha scritto Guattari. Quest’ultimo spiega cos’è oggi una soggettività capitalistica, un concatenamento tossico di elementi «arcaici» (dogmi religiosi, autoritarismo, nazionalismo) e modernissimi (tecnologia, libertà, futuro). E prospetta i modi per combatterla e trasformarla, a cominciare da noi stessi che la riproduciamo. La soggettività è il risultato di una «piegatura» delle forze, l’emergere di un uso «mostruoso» e inclassificabile rispetto ai ruoli, alle gerarchie e alla divisione del lavoro e segna il «passaggio ad un’altra logica».

Questo significa che esiste «un divenire femminile essendo totalmente eterosessuali». Ciò che conta è la «produzione del non-identico», non riprodurre il potere, ma trasformarlo con un nuovo modo collettivo di pensare, percepire e agire. Foucault ha trovato il «fuoco della resistenza e della creazione» a partire dall’«uso dei piaceri», proprio nel campo della sessualità dov’è più forte la presa del capitalismo. Altri «fuochi» possono essere accesi nella vita per riaprire «le potenzialità in un campo sociale». La soggettività è intesa come lotta politica. Questa idea è stata intuita dai suoi avversari, quelli del campo avverso neoliberale che ha schiacciato la ricerca delle «maniere di vivere» sul modello di una soggettività prima capitalista, e oggi «microfascista». La lotta, invece, è «trasversale» e si fa nel mezzo.

Ci vuole forza per piegarla in un altro senso e un’altra politica per creare una «relazione tra eterogenei». Questa intuizione è più durevole di quanto ci viene fatto credere e per questo viene attaccata senza pietà, come dimostra l’ultimo caso del movimento per Gaza.

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