giovedì 18 dicembre 2025

Il 18 dicembre 1922 a Torino

Massimo Novelli
Quei primi martiri antifascisti

la Repubblica, 18 dicembre 2025

A Porta Susa, davanti alla lapide della piazza quasi all’angolo con via Cernaia, oggi si ricordano le vittime della strage di Torino perpetrata fra il 18 e il 20 dicembre del 1922 dalle squadracce fasciste, decise a piegare a ogni costo il movimento operaio cittadino avverso al regime di Mussolini. Il pretesto per la rappresaglia omicida fu uno scontro a fuoco avvenuto la sera del 17 in Barriera di Nizza tra un militante del Pci, il tranviere Francesco Prato, e un gruppo di fascisti, durante il quale morirono due camicie nere.

In realtà, come sarebbe poi stato ampiamente dimostrato, il fascismo torinese aveva in animo da tempo di stroncare l’opposizione di sinistra. I fatti della Barriera di Nizza, se non proprio provocati ad arte, innescarono comunque una miccia già preparata. I caduti ufficialmente furono undici, ma gli stessi caporioni neri ammisero allora che i morti erano stati più di venti, forse trenta: socialisti, comunisti, anarchici, sindacalisti, ma pure cittadini che non avevano niente a che fare con l’attività politica o sindacale, trucidati soltanto perché qualcuno li aveva indicati come sovversivi. Morirono, tra i tanti, il segretario della Fiom Pietro Ferrero, il segretario del sindacato ferrovieri Carlo Berruti, il fattorino simpatizzante comunista Matteo Chiolero, l’ex brigadiere dei carabinieri Angelo Quintagliè (colpevole di avere deplorato l’uccisione di Berruti), l’oste Leone Mazzola (non faceva politica, ma un anonimo, però, lo aveva bollato come acceso comunista). Oggi si ricorda anche che fu incendiata la Camera del Lavoro e che, oltre ai morti, si contarono decine di feriti. Tuttavia la memoria non è sempre stata onorata. Anzi, in un’occasione, è stata calpestata. E la giustizia, almeno in quel caso, fu farsa atroce dopo il dramma.

Torino, 19 novembre 1971. Trentun anni fa. Davanti alla lussuosa clinica Fornaca, in corso Vittorio Emanuele, un reparto di bersaglieri del ventiduesimo reggimento di fanteria della divisione Cremona dà l’estremo omaggio, con gli onori militari, all’ex luogotenente generale della Milizia Piero Brandimarte, deceduto all’età di 78 anni. Un centinaio di persone partecipa alle solenni esequie, tra gagliardetti della Milizia, degli Arditi d’Italia e di varie associazioni combattentistiche. La città e l’Italia, del resto, hanno dimenticato chi è stato Brandimarte. E neppure quanto scrive, quel giorno, La Stampa - «il nome di Brandimarte è legato a uno dei periodi sanguinosi della vita di Torino: la strage del dicembre 1922» - sembra scuotere la coscienza dei torinesi. Eppure non sarebbe stato difficile ricordare quanto accadde tra il 18 e il 20 dicembre del ’22 e soprattutto rammentare il ruolo che ebbe in quella fosca vicenda il celebrato ex luogotenente della Milizia.

Torino, 19 dicembre 1922. La rappresaglia fascista non è ancora terminata, ma il console della Milizia Piero Brandimarte, intervistato da un cronista del quotidiano milanese Il Secolo, dichiara testualmente: «In seguito al vigliacco attentato contro i nostri, abbiamo voluto dare un esempio necessario, perché i comunisti comprendano che non impunemente si attenta alla vita dei fascisti e alla compagine del Fascio. Questa rappresaglia la ritengo giusta. Noi abbiamo colpito senza pietà chi ci aveva provocati...».

La lapide che dal 1946 ricorda la strage del 18 dicembre 1922 in quella che oggi è piazza XVIII Dicembre a Torino
La lapide che dal 1946 ricorda la strage del 18 dicembre 1922 in quella che oggi è piazza XVIII Dicembre a Torino 

Come Pietro Ferrero, anarchico, che con i fatti della Barriera di Nizza non c’entrava niente ma che tutti conoscevano come il leader indiscusso degli operai metallurgici. Il segretario della Fiom venne prelevato dai fascisti davanti alla Camera del Lavoro. Era solo e disarmato. Fu circondato. Cominciarono a picchiarlo: calci, bastonate. Poi lo legarono per un piede a un camion e lo trascinarono fino al monumento a Vittorio Emanuele II. Secondo alcune testimonianze, gli strapparono gli occhi e lo evirarono.

Torino, 24 giugno 1924. Alle domande di un giornalista de Il popolo di Roma, che gli chiede se nella strage di Torino agirono elementi irresponsabili, Brandimarte risponde: «Macché, si è trattato di pura e semplice rappresaglia ufficialmente comandata e da me organizzata. Si voleva infliggere una lezione tremenda al sovversivismo torinese e la lezione è stata efficace». «Ma i morti quanti furono?», incalza il cronista. «Noi possediamo l’elenco di oltre tremila nomi di sovversivi. Tra questi tremila ne abbiamo scelti 24 e i loro nomi li abbiamo affidati alle nostre migliori squadre, perché facessero giustizia. E giustizia è stata fatta… I morti furono 22, perché due sono scampati alla fucilazione».

Bologna, 30 aprile 1952. La Corte d’assise d’Appello di Bologna assolve Brandimarte Piero per insufficienza di prove dal concorso negli omicidi di Carlo Berruti, Leone Mzzola, Giovanni Massaro, Matteo Chiolero, Andrea Chiomo, Pietro Ferrero, Ermidio Andreoni, Matteo Tarizzo, Cesare Pochettino, Evasio Becchio. Il giorno prima, il 29, aveva affermato nella sua deposizione davanti ai giudici: «I fatti di Torino non furono da me organizzati. Noi non li mettemmo in movimento, cercammo anzi di spegnere l’esasperazione. Ci furono vittime, è spiacevole, ci furono colpevoli, è certo, ma questi colpevoli vanno cercati tra i violenti che agivano da isolati».

Torino, 19 novembre 1971. Ventisette giovani bersaglieri al comando di un ufficiale, soldati della Repubblica nata dalla Resistenza, salutano per l’ultima volta, con tutti gli onori, il generale Piero Brandimarte, già luogotenente della Milizia fascista. Le cronache non ci dicono se, quel giorno, a Torino ci fosse nebbia come il 18 dicembre 1922.

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