Al giorno d’oggi, lo spirito del tempo sembra essersi assestato su un radicale ripensamento delle proprie strutture di relazione: si predica la fine dell’idea di coppia tradizionale, del binarismo di genere, dell’eterosessualità tutta d’un pezzo. Fluidità è la parola dell’epoca.

Ma potrebbe anche essere: molteplicità. Multiple sono le inclinazioni sessuali, polivalenti sono i significati che attribuiamo ai desideri, e in molti si insinua il sospetto che una tale abbondanza serva ad alimentare un’illusione collettiva, un’addizione apparente dietro la quale si cela ancora e sempre il modello dominante; una griglia che si sposta per generare poi le stesse combinazioni.

Ciò che sembra il frutto di un inedito mutamento storico in realtà era stato approfondito, vagliato, messo alla prova con insospettabile leggerezza già più di un secolo fa, diversi chilometri a sud di Londra, e con esiti niente affatto distruttivi: all’interno della casa di proprietà della pittrice Vanessa Bell trovavano respiro una libertà sessuale e una sperimentazione di pratiche comunitarie contenenti al loro interno tutti gli odierni richiami alla normalizzazione dell’omosessualità, alla pari dignità di ciascuna scelta sentimentale, alla capacità di elaborarsi creativamente in quanto soggetti – e non in quanto oggetti di norme culturali.

Al punto che, confrontato a noi e ai nostri sterili, timidi approcci denominati con sempre nuovi neologismi inglesi allo scopo di classificarli preventivamente ed evitare di lasciarsene troppo travolgere, chi frequentava la casa di Charleston non può che apparirci eccentrico, fuori dal tempo; il personaggio di un romanzo più che un essere umano in carne e ossa.


Le due sorelle 

Vanessa Stephen, diventata Bell dopo il matrimonio con il critico e storico dell’arte Clive, scopre Charleston grazie alla sorella Virginia (cognome da sposata: Woolf). Voleva andare a viverci insieme al suo amante, il pittore Duncan Grant, e all’amante di lui, lo scrittore David Garnett, da tutti soprannominato Bunny: sperava in questo modo di esonerare entrambi dalla leva obbligatoria. Erano gli anni della Prima guerra mondiale, e gli uomini venivano in massa chiamati al fronte. Se avesse ristrutturato un qualsiasi casale di campagna, lo avesse messo a nuovo e lo avesse spacciato per una sorta di società agricola, avrebbe potuto dichiarare allo Stato che i due svolgevano un formale servizio alla nazione presso di lei.

È Virginia Woolf a scriverle di aver visto, non distante da Asheham dove allora abitava, una casa di almeno otto stanze dalle grandi finestre, e un giardino inselvatichito, con uno stagno e alberi da frutta; e la esorta a recarsi di persona, per constatare con i suoi propri occhi l’occasione perfetta, immancabile che le si presenta.

In poco tempo Vanessa dipinge, affresca, ritinteggia ogni parete dell’abitazione e ha così inizio una convivenza bizzarra, una precaria sistemazione bucolica, meta di puntate impreviste da parte di ospiti che si mettevano in viaggio da Londra con l’ultimo treno della sera. Vanessa soffriva a causa della passione di Duncan per Bunny, e Duncan a sua volta soffriva per la proverbiale infedeltà di Bunny.

Sia Duncan che Bunny, a dire il vero, annoveravano conquiste sia tra gli uomini che tra le donne, e la stessa Vanessa, oltre a restare imperturbabilmente sposata con Clive, durante una serata nella vecchia casa di Bloomsbury aveva dato spettacolo, si diceva, nientemeno che con John Maynard Keynes, il più celebre economista di stampo socialista del XX secolo.

Eversive

Se si riflette un istante sulla condizione maggioritaria delle donne dell’epoca, e soprattutto sull’idea di affettata castigatezza che circolava allora all’interno degli ambienti vittoriani, la condotta di Vanessa – più che quella di Virginia – appare in tutta la sua eversione. Dotata di un senso pratico e di una dimestichezza con la vita di cui la sorella era completamente sprovvista, Vanessa induce Duncan ad aiutarla con l’operazione di pittura e di decorazione delle superfici della casa, uno stratagemma per sottrarlo ai patimenti amorosi e averlo con sé, ma anche per restituire respiro alla sua vocazione; presto Charleston diventa, a tutti gli effetti, un progetto condiviso, il prodotto di un sodalizio artistico, prima che erotico.

Un punto di convergenza per le menti più brillanti della loro generazione. Oltre a John Maynard Keynes, a Virginia Woolf e al marito Leonard, Charleston ospitava T. S. Eliot, il pittore Roger Fry, lo scrittore Morgan Forster, Lytton Strachey, autore del famoso Eminenti vittoriani e obiettore di coscienza, il quale aveva risposto così alla commissione di militari in sede di giudizio dopo che aveva rifiutato di prestare servizio all’interno dell’esercito: «Se vedessi un soldato tedesco nell’atto di violentare mia sorella, certamente m’interporrei… tra il soldato e mia sorella».

Tutti erano dichiaratamente bisessuali; di più, il modo che avevano di esercitare la propria sessualità si poneva al di là di ogni tentativo di dogmatizzarla, di renderla la risposta di un orientamento aprioristico. Ad esempio, nonostante Lytton sia attratto precipuamente dal maschile, non trova affatto strano, o meglio, non ostacola l’attaccamento che a un certo punto inizia a dimostrargli la pittrice Dora Carrington, tanto che si trasferiscono insieme in un’altra dimora di campagna ad Ham Spray, e non si separano che alla morte di lui, alla quale Carrington reagisce sparandosi un colpo di fucile.

E che dire dell’incontro tra Virginia Woolf, legata a Leonard da un matrimonio bianco – nel senso che non fu letteralmente mai consumato – e Vita Sackville West, scrittrice di successo, aristocratica e avventuriera, nota seduttrice di donne? Il pranzo a cui Virginia la conduce per presentarla in qualità di amica, di compagna elettiva si svolge il 26 dicembre 1925, in quello che era l’ampio soggiorno e il centro vitale di Charleston; più del salotto dove pure avvenivano le letture ad alta voce e i confronti – ora fervidi, ora rilassati – che seguivano. 


Vita bucolica 

Sembra proprio siano le case di campagna le vere protagoniste del fermento letterario, artistico e intellettuale del Novecento. Un nugolo di abitazioni che si dipana intorno a Londra – oltre a Monk’s House di Virginia Woolf e a Ham Spray, anche Keynes, subito dopo aver sposato la ballerina russa Lydia Lopokova, acquista una tenuta a Tilton, a mezzo chilometro da Charleston. Luoghi dove ci si ritirava a lavorare – al netto dei divertimenti, le mattine erano sempre dedicate allo sforzo creativo; disseminati ancora oggi di oggetti, chincaglierie domestiche, pennelli intinti in barattoli di vernice, scaffali ricolmi di libri, di quadri di Duncan e di Vanessa: raffiguranti nature morte, impressionistiche vedute del giardino, e naturalmente ritratti – di Lytton, della stessa Vanessa placidamente accomodata su una sdraio all’aperto o di Virginia ripresa nell’atto di cucire a maglia.

Spunta anche una ragazza dai capelli a caschetto e dagli enormi, languidi occhi chiari seduta al desco della colazione: è Angelica, allevata da entrambi Clive Bell e Duncan Grant nonostante fosse la figlia legittima del secondo e di Vanessa. Una splendida adolescente allevata in mezzo ai libri, all’arte della maschera, a estri creativi di ogni genere che, come da manuale – o forse no – finirà per innamorarsi proprio di quel David Garnett detto Bunny, il quale continuava a frequentare Charleston ed era stato, molti anni prima, il grande amore di suo padre.

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