sabato 27 dicembre 2025

Porta Palazzo

Farian Sabahi
Torino vista da Porta Palazzo

il manifesto, 27 dicembre 2025 

«Il trucco per rendere le patate croccanti è pelarle e poi lasciarle, intere o già affettate, in un contenitore pieno di acqua fredda, in frigo per 24-36 ore. Sul fondo si depositerà l’amido: una volta eliminato, le patate – fritte o arrosto – resteranno croccanti». Così consiglia Marco, sempre sorridente, nel suo banco nel mercato dei contadini di Porta Palazzo. Frutta e verdura coltivate nelle campagne limitrofe alla città, o comunque in Piemonte. Nel sacchetto di carta, Marco mette un paio di chili di patate: «queste sono di Borgo San Dalmazzo, varietà Marabel, pasta gialla molto compatta che va bene per ogni ricetta». Lui e i suoi colleghi indossano maglie arancione «come il tuorlo delle uova: abbiamo un allevamento di galline in provincia di Cuneo». Poco lontano c’è il contadino con il cappello da cowboy e la cinese che vende prodotti asiatici.

Tra i clienti di Marco c’è Tony, il proprietario del pastificio Dalla Mole ai Trulli che il 31 dicembre si sposterà nello stand numero 4 nella bottega di Denise, sua figlia, nel mercato coperto. Tony ha iniziato a lavorare quarantadue anni fa. Di pomeriggio portava il maiale in via Lagrange da De Filippis, che ci faceva il ripieno: «poco per volta gli ho rubato il mestiere! Sono romagnolo, ma mi sono specializzato nei ravioli piemontesi, e oggi, per esempio, ho preparato quelli con il ripieno di asino da consegnare a un macellaio che vende carne equina». Chiacchierando, Tony confessa di essere originario di un paese vicino a Forlì: «mia nonna era di Predappio, era la sfoglina [faceva la sfoglia] a casa Mussolini, ma era più rossa del Sangiovese! Il mattarello ha 150 anni: era di quella nonna, quando sono nato aveva più di cent’anni».
A Porta Palazzo ero venuta altre volte, anche se abitando a San Salvario mi viene più semplice fare la spesa al mercato di piazza Madama Cristina che però è molto più caro, perché lì scende la buona borghesia che vive in collina, complice il fatto che sotto la piazza c’è un ampio parcheggio. Sono tornata al mercato di Porta Palazzo con Gabriele Proglio, professore associato di Storia contemporanea presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Già docente all’Università della California Berkeley e in tanti altri atenei, da Tunisi a Coimbra, da Ankara e Grenoble, Proglio è autore dell’interessante volume Porta Palazzo Storia orale e sensoriale del mercato più grande d’Europa corredato di un apparato di fotografie di Michele D’Ottavio (Donzelli, pp. 344, € 28,00).

A ridosso del centro di Torino, il mercato all’aperto di Porta Palazzo rappresenta, fin dal 1835, un osservatorio privilegiato per analizzare le trasformazioni del capoluogo piemontese. Militanza politica, solidarietà, criminalità, disoccupazione e precarietà sono confluiti in stili di vita simili. Ne è nato un melting pot in cui il comune denominatore di classe permette aggregazioni attorno a problemi condivisi. Quest’area – su cui gravitano i quartieri di Aurora e Barriera di Milano – è periferia ma anche centro: intere palazzine sono state acquistate, ristrutturate e affittate a studenti che pagano quattrocento euro al mese per una stanza.

Qui si sono costruite identità meticce con il susseguirsi di immigrazioni diverse: a fine Ottocento dalle campagne piemontesi, nel dopoguerra dal Mezzogiorno, negli anni Ottanta da altri paesi. Poco per volta calabresi, siciliani, pugliesi hanno preso il posto dei piemontesi. È il caso del bar Ala, punto di ritrovo degli immigrati all’angolo con via Milano: «abbiamo comprato a luglio del 2007 da due coppie piemontesi, noi siamo di Nocera Inferiore in provincia di Salerno, e chissà forse un giorno venderemo agli arabi!», dice scherzando una delle proprietarie con un forte accento campano. Di fatto poco per volta cinesi, marocchini, indiani e peruviani stanno prendendo il posto dei meridionali. Oggi l’integrazione avviene tra gli stranieri, ossia tra cinesi, marocchini e indiani, non con gli italiani», racconta Remigio, nato a San Lucidio, in provincia di Caserta e oggi panettiere a Porta Palazzo.

Molte attività sono comunque ancora in mano a famiglie torinesi, come nel caso della drogheria Ceni: «il negozio risale agli inizi del Novecento, la famiglia Ceni l’ha rilevata nel 1963. I miei suoceri avevano cominciato con i prodotti sfusi, ovvero farine, risi, cereali, sementi. Inizialmente erano prodotti tradizionali. Negli anni Sessanta hanno tenuto prodotti meridionali, sempre più richiesti. Negli ultimi decenni abbiamo anche prodotti della tradizione africana e asiatica. E poi ci siamo dedicati molto al biologico», spiega Nicoletta Licheroni, moglie del titolare, in azienda da venticinque anni. In vetrina, decine di varietà di lenticchie: «come tutti i legumi più scuri, quella nera è più ricca di ferro, ha un gusto particolare e si abbina bene al pesce. Si fa in umido, asciutta, aggiungendo eventualmente un po’ di pomodoro. Ne abbiamo due tipologie, una della Tuscia, e quindi del Viterbese, e un’altra che viene dal Canada. Quest’ultima costa meno anche se viene da lontano, perché la produzione è più vasta e la raccolta viene effettuata a macchina. Le lenticchie italiane vengono invece raccolte a mano, e quindi sono più costose».

Per tutti loro Porta Palazzo non è soltanto il posto di lavoro, ma un luogo di ritrovo. Anche per questo motivo la composizione del rapporto tra luoghi di provenienza e tipologia di attività commerciale comporta un posizionamento particolare: chi proviene dal Marocco vende frutta e verdura, chi viene dal Bangladesh predilige l’abbigliamento, ai cinesi toccano i prodotti elettronici, mentre gli italiani si suddividono in base alle specialità regionali che nella grande distribuzione non si riescono a trovare: salsiccia calabrese, soppressata calabrese, sardella (i gianchetti con i peperoncini), la ricotta pugliese ascant di pecora piccante, la ‘nduja, lo stoccafisso, i muiccati (le briciole che rimangono in fondo al pentolone).

Il libro di Proglio è un viaggio nel mercato di Porta Palazzo, nei suoi sapori odori ed emozioni. Il testo è strutturato in due sezioni. Nella prima si parte dal colera che colpì Torino nel 1835 facendo trasferire i mercati agroalimentari e dando vita a quello di Porta Palazzo, per poi porre attenzione alle storie raccolte da Proglio e dai suoi studenti di Pollenzo, storie di chi lavora al mercato: contadini, commercianti, distributori, ambulanti, montatori, facchini, volontari, associazioni che recuperano il cibo. La seconda parte è dedicata alle memorie sensoriali delle comunità diasporiche che fanno la spesa quotidianamente a Porta Palazzo. E sono state proprio le donne, quelle che si sentono di appartenere alle otto principali comunità migranti e diasporiche, ad avere scelto in autonomia di intervistare, ciascuna, una decina di persone, prevalentemente donne, a cui hanno dato voce nella lingua delle comunità: i diversi dialetti arabi, l’inglese pidgin, il wolof, il rumeno, l’albanese, il tagalog e lo spagnolo latino-americano. In coda al volume, un’appendice di ricette emerse durante le interviste.

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