Silvana Silvestri
Brigitte Bardot, inafferrabile oggetto del desiderio
il manifesto, 30 dicembre 2025
Ha vissuto mille vite Brigitte Bardot e una sola morte non può cancellarle. Tralasciando le sue ossessioni animaliste e reazionarie, certo dovute all’avanzare dell’età, BB ha rappresentato il simbolo della libertà ed emancipazione per la generazione delle ragazze degli anni cinquanta, e non solo quelle mediterranee che uscivano sempre accompagnate, ma anche delle parigine esperte in seduzione, se Simone de Beauvoir le dedicò attenzione analizzando il «fenomeno». Esempio di ragazza libera e noncurante, BB come bébé «bambina», fuori dagli schemi in un’epoca in cui le maggiorate si contendevano il pubblico, lei con esile corpo da danzatrice classica, libera e ribelle esplode in tutto il suo splendore negli anni Cinquanta con i film vietati ai minori che dirigeva Roger Vadim suo primo marito che la sposò appena diciottenne. Film come Et Dieu…créa la femme: piuttosto si direbbe creò in particolare Pandora perché lei evocava tutti i mali, pur comunicando una sorta di perfetta innocenza.
Aveva iniziato con un piccolo ruolo in Le trou normand (1952), uscendo diciassettenne dalle acque della Corsica, muovendosi per l’isola sempre in bikini succinti mai visti prima sullo schermo mentre la madre porta il velo nero. È Manina sans voile di Willy Rozier (1952): uno studente sta compiendo ricerche di un tesoro, cosa che permette oltre alle riprese subacquee non consuete, anche le mises succinte della Bardot. I marinai commentano: «Che ne pensi della ragazza del faro?» «È una bellezza, una meraviglia, è uno splendore». Lei è senza velo di trucco, capelli perlopiù bagnati e non ancora biondo oro.
Dopo essere stata un’ancella alla corte di Elena di Troia (e sarà Poppea per Steno), diventa protagonista assoluta in Cette sacré gamine (Mademoiselle Pigalle) di Michel Boisrond (1956), En effeuillant la marguerite (Miss spogliarello) di Marc Allégret (1956) successo internazionale, iniziando una serie di rocamboleschi intrecci tra avventura ed erotismo, nonsense, trasgressione e giochi sentimentali. Come se neanche il cinema sapesse bene come prendere quell’oggetto pericoloso e misterioso che negli Usa veniva paragonato a Marilyn (altro esempio di donna bambina).
Sembrerebbero essere più i titoli dei film da lei interpretati a creare scandalo che non gli intrecci spesso basati su ambienti altoborghesi da scompigliare come in Una parigina di Michel Boisrond (1957) dove è la figlia del presidente del consiglio, La ragazza del peccato (En cas de malheur) di Claude Autant-Lara (1958) provinciale appena arrivata a Parigi coinvolta in una rapina. In Femmina (La femme et le pantin) di Julien Duvivier (1959) dal romanzo di Pierre Louys che ispirerà anche Bunuel (Quell’oscuro oggetto del desiderio) ci troviamo a Siviglia dove è capitato il padre esule politico, in un tripudio di flamenco, seduttrice di un seduttore che riduce a un «pantin», un fantoccio.
NELLA SERIE di film della fine degli anni ’50 si nota una serialità di immagini e situazioni, con un candore da ragazza di buona famiglia che diventa immediatamente decisa carica sensuale, prima fra tutte il nudo integrale (tagliato nelle copie italiane, con una censura che consentiva abiti succinti se ad indossarli erano attrici francesi, nell’immaginario esotiche donne dai liberi costumi). In Miss Spogliarello (En effeillant la marguerite) di Marc Allegret (1956) figlia di generale di stanza a Vichy (!) diciottenne autrice di un libro scandaloso inventa una performance audace attribuendosi lo pseudonimo di Sofia e la nazionalità italiana in un concorso di spogliarello suscitando precisi commenti sulla sua personalità («Elle ne ressemble a personne… Elle avait beaucoup de…»).Con Michel Piccoli in «Le mépris» (Il disprezzo) di Jean-Luc Godard (1963)
PRENDE IL SOLE in nudo integrale sulla terrazza tra le lenzuola stese sotto gli occhi di Curd Jurgens in Et Dieu créa la femme (Piace a troppi) di Vadim (1956) orfana che si giostra fra tre uomini di età diverse (tra cui il giovane Trintignant) tra spyder di milionari e camionette di operai, scatenati cha cha cha e la solita serie di animali che la accompagna in tutti i film a sottolineare il suo essere selvatico, come appartenente a una specie indomabile. Qui coniglietti, gatti, uccelli in gabbia da lasciare liberi, ma poi caprette, pesci rossi, fino ad arrivare ai tori nell’arena e a fine carriera, nel buffonesco western di Christian Jacque Le Pistolere dove monta un cavallo selvaggio, ma in abito a quadretti – copiatissimo – bianchi e rosa). In Les bijoutiers du clair de lune (Gli amanti del chiaro di luna) di Roger Vadim (1958) dove è una fanciulla appena uscita dal convento, prende il sole di Spagna senza biancheria che ha abbandonato in un cespuglio per avanzare in una cupa storia di sangue e tradimenti, plazas de toros e l’unico tocco di rosso della sua gonna a ruota tra tutte le donne e uomini in abiti neri, i capelli ora decisamente biondi e non più raccolti in trecce.
Più che i film faranno infatti da cassa di risonanza al personaggio le riviste, i programmi televisivi, gli abiti e le pettinature a choucrute copiate senza limiti, le «ballerine» che tornano ad essere inquadrate con occhio feticistico della macchina da presa, fatte diventare protagoniste in una scena del feuilleton bellico romantico Babette va alla guerra (Christian Jacque, 1959) che la contraddistinguono in ogni film, tolte e messe, ad alludere anche alla sua tendenza a camminare preferibilmente scalza, senza costrizioni, senza imposizione di bon ton e di moda.
A volte basta solo citarla in controfigura, lo fa Cocteau nel Testamnento di Orfeo, dove, tra Yul Brynner, Dominguin e Lucia Bosè, Aznavour e Picasso, compare una replicante vestita e pettinata come lei a evocare la «macchina della celebrità di un minuto o due».
QUELLO DI BB è un brand che si replica, un’equazione con una serie di elementi riproposti all’infinito, dove a volte la curiosità del pubblico per la sua vita privata fatta di successivi fidanzamenti e matrimoni non manca di influenzare anche le sceneggiature (o di anticiparle in maniera anche dolorosa) come in La verità di Clouzot o nell’emblematico e malinconico Vita privata di Louis Malle (1962) dove si anticipa la sua uscita definitiva di scena. Malle la mette a confronto con un altro divo del momento, Marcello Mastroianni: lei troppo bella, troppo ricca, stanca della fama, fuggita dai set, lui editore italiano concentrato nella messa in scena della sua prima regia teatrale a Spoleto. Ma la fama la segue ovunque, ed è costretta a rimanere sempre più reclusa mentre i fotografi la puntano anche dai tetti delle antiche costruzioni della cittadina fino a un finale volo d’angelo che lei compie dall’alto sempre più a rallentatore. Potrebbe essere l’atto finale sulla follia del divismo e il desiderio di sparire, e così sarà dopo una decina di anni e di una serie di film in qualche modo sempre più improbabili, con Il disprezzo di Godard nel 1963 a fare da spartiacque una sorta di Misfits uscito poco prima, non così amaro, ma con un retrogusto velenoso, imposta dalla produzione con una contrattazione di scene di nudo.
Splenderà ancora negli appuntamenti natalizi alla televisione francese e sulle copertine, farà visitare ogni angolo della Madrague, la sua villa a Saint Tropez nei servizi delle riviste, si ascolteranno le sue canzoni, sarà sorprendente come star da andare a visitare nel curioso film di Henry Koster Erasmo il lentigginoso (Dear Brigitte, 1965) la versione americana di Piace a troppi (compresi i bambini, in questo caso, oltre a un impacciato James Stewart). E sarà sempre più affiancata ad altre attrici in voga (Jeanne Moreau in Viva Maria o Claudia Cardinale in Le pistolere) mentre gli sceneggiatori spaesati dai cambiamenti sociali, saranno impegnati a creare futili riferimenti al femminismo, continuando a contrapporre ancora suore e prostitute. Il suo definitivo ritiro sarà nel 1973, quello che segue nella sua vita è tutta un’altra storia.

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