Diego Giachetti
Il decennio che inventò l'Italia
Città futura on-line, 23 dicembre 2025
Con questo libro, Anni 50, il decennio che inventò l’Italia (Segni e parole, Novara, 2025), Gianni Lucini, ci porta a riflettere su un decennio “sottovalutato”, trattato come fosse “una sorta d’inciampo”, un periodo di passaggio verso i “favolosi” anni Sessanta. L’autore ribalta quest’assioma e sostiene che, nonostante le difficili condizioni di partenza, è quel decennio a porre le basi del cambiamento sociale, culturale, economico. Sono anni nei quali l’Italia si reinventa, si scrolla di dosso le macerie della guerra e del fascismo per ricostruire non solo città e fabbriche, ma anche se stessa, la propria identità, il proprio futuro. L’industrializzazione accelerata, disomogenea, comporta lo spostamento della popolazione dalle campagne alle città e dal Sud al Nord del paese.
La ricostruzione non è soltanto materiale, ma culturale, sociale, emotiva, riguarda l’identità nazionale, costruisce mentalità e stili di vita che il miracolo economico consolida, tra il 1958 e il 1963, ponendo le basi di una società moderna industrializzata che risolve problemi e ne propone altri, come la devastazione ambientale, sociale e urbanistica, tipici di una crescita industriale repentina. Come considerare il nascente consumismo? Fattore d’integrazione subalterna in un sistema sociale massificato, oppure variabile stimolante la lotta per salari e condizioni di vita migliori, quelle promesse dalla réclame?
Musica, canzoni, cinema
Negli anni Cinquanta le canzoni cessano di essere una semplice colonna sonora per diventare un fenomeno di cultura di massa. Gran parte delle innovazioni e dei processi della scena musicale che si svilupperanno nel decennio successivo, sostiene l’autore, sono già in essere nei Cinquanta quando emergono interpreti e autori più aperti a ciò che si sta muovendo nel mondo. Singolare ad esempio la prima edizione del Festival di Sanremo il 29 gennaio 1951, dove le canzoni sono le protagoniste, mentre interpreti e interprete sono uno strumento per farle conoscere. Accanto alla fortunata stagione dei Festival, c’è la trasformazione del pubblico, non più fruitore passivo ma protagonista attivo che sceglie, aiutato dai jukebox. Nel 1956 sono cinquecento e aprono a una rivoluzione in un paese abituato a ricevere musica dalla radio scelta da altri. Si abbassa l’età dei fruitori della musica leggera. Lo scontro è tra innovazione e tradizione: Claudio Villa/ Domenico Modugno/ gli urlatori, le cui voci esplodono all’improvviso.
L’impostazione della voce non è più tabù. Re e regina del cambiamento sono Celentano e Mina. Celentano fa dell’esagerazione il suo marchio, elabora il ritmo col corpo prima che con la voce. Il rock and rool rovescia gli stilemi classici della musica popolare occidentale basata su tre registri: il sentimento della ballata amorosa, il melodramma della narrazione cronachistica o fantastica e lo scherzo della ballata triviale o satirica. Il rock ribalta l’impostazione mutando il sentimento in pulsione erotica, il melodramma in violenza e lo scherzo in irrisione. Il nostro rock non è solo fenomeno d’importazione, i protagonisti sono innovatori non scimmiottatori, definiscono una via italiana al rock. Assieme al rock anche il jazz suona nelle corde degli anni Cinquanta. Esemplare il caso di Fred Buscaglione che sfida la melodia tradizionale e il modo di interpretare i testi, come fosse un attore-cantante che racconta storie. È il boom della discografia: tre milioni di dischi nel 1951, nove milioni e mezzo nel 1956, dodici nel 1957, quasi diciassette milioni nel 1958.
Al cinema le storie d’amore, a metà fra il dramma e la commedia, lasciano il posto al racconto di conflitti generazionali provocati dall’incomprensione fra genitori e figli. Nel 1954, con Un americano a Roma, inizia la carriera di Alberto Sordi, l’uomo che incarna vizi e difetti e virtù dell’italiano medio, capace di malizie, piccole vigliaccherie, trucchetti sordidi, ma anche di grandi slanci di solidarietà. I produttori statunitensi sbarcano in massa, trovano in Italia operatori simpatici e creativi, paesaggi ricchi di fascino, costi più bassi e un’elevata professionalità.
Rivoluzione dell’etere e della carta stampata
Cambiano gli strumenti di comunicazione e con essi si afferma una nuova cultura popolare, raccontata nel suo formarsi quotidiano, che scava nel profondo, muta le dinamiche costituenti la personalità. Cinema, televisione, riviste e libri a basso costo diventano strumenti di diffusione di una raccontata “dolce vita” di massa. La carta stampata inventa i sogni, scrive Lucini, riferendosi ai fotoromanzi, sorta di consolazione di fronte alla cruda realtà della vita, elemento importante della cultura popolare, quasi un anello di collegamento tra le pulsioni neorealistiche del cinema e del grande romanzo popolare. Finiscono fotoromanzati i Promessi sposi e Piccolo mondo antico.
Grand Hotel, Sogno, Bolero, ecc., non piacciono ai cattolici, perché inducono al peccato, e ai comunisti in quanto cedimento sentimentale che allontana dalla lotta di classe. Le case editrici, BUR Rizzoli in prima fila, pubblicano edizioni a basso costo, a cominciare dai romanzi di Guareschi, i cui protagonisti, Don Camillo e Peppone, mettono a confronto due idee di vita in perenne conflitto, ma capaci di convergere. Anche le riviste d’impegno politico e culturale si presentano in una veste nuova: Epoca (1950), L’Espresso (1955), il quotidiano Il Giorno (1956), con pagine a vetrina, titoli grandi e vivaci corredati da fotografie.
L’inizio delle trasmissioni televisive nel 1954 cambia le abitudinarie sere degli italiani. Il rito del “guardare la televisione” in famiglia, ospitati dai vicini che la possiedono o in forma collettiva al bar, massifica comportamenti, linguaggi, argomenti d’interesse comuni. I quiz televisivi sono discussi e commentati nelle chiacchiere dei bar, nei quartieri, nei caseggiati, sui mezzi pubblici e nei luoghi di lavoro. Il successo porta la televisione al centro della vita sociale con ricadute non solo limitate alla sfera del fenomeno di costume, stimola infatti la domanda di milioni di apparecchi televisivi. La televisione mina nelle campagne, sulle montagne e nelle isole tutto un modo di vivere quieto e immobile da secoli e contribuisce, più della scuola elementare obbligatoria, a diffondere un italiano standard tra una popolazione ancora suddivisa in vari dialetti. Desiderare o acquistare i prodotti reclamizzati dalla TV costituisce il primo passo verso il riscatto economico e sociale di migliaia di famiglie. Carosello trasforma la pubblicità in un grande spettacolo, entra nelle case e condiziona, senza apparentemente imporre, lo sviluppo dei consumi.
La rateizzazione della vita
La certezza di un lavoro fisso, con contratto a tempo indeterminato, rende possibile fare acquisti a rate, si può investire sul futuro, non più risparmiare per un divenire incerto e insicuro. S’innesca un sistema virtuoso tra la domanda e l’offerta. L’acquisto a rate dei beni consente di aumentare la produzione per un mercato che si va allargando. Ambiti oggetti di consumo sono la televisione, la lavatrice, il frigorifero. Nel 1958 il 13% delle famiglie possiede un frigorifero, sette anni dopo sono una su due. Il cambiamento investe la stessa struttura familiare, il luogo in cui si vive, con la tendenza a rompere con la famiglia contadina allargata e passare a quella ristretta, in un contesto nel quale ancora solo sette nuclei familiari su cento dispongono del bagno con acqua corrente. La spinta a migliorare quella condizione viene anche dalle donne che dichiarano di desiderare una casa con servizi, acqua potabile, elettricità, elettrodomestici e poco affollata. In cima alle richieste rivolte al futuro sposo è la pulizia personale, un uomo che si lavi. Eguale lo sviluppo della motorizzazione privata. Già quattro milioni di motociclette nel 1951, centomila le auto immatricolate, mezzo milione l’anno dopo in un crescendo trascinato dalla messa in vendita della Fiat 600 e 500. Lo sviluppo della motorizzazione favorisce la mobilità sociale, ampia il raggio delle relazioni, rompe il confine chiuso del paese, mescola le persone, consente la gita domenicale fuori porta.
Desiderio di “dolce vita”
L’occupazione nei settori industriali cambia i ritmi di vita e libera tempo rispetto a quelli richiesto dalla produzione agricola. Principali pretendenti consumatori di tempo libero sono i giovani che lo trascorrono nei bar forniti di jukebox, nei locali da ballo e, per chi può, al mare d’estate, in un contesto in cui la pelle abbronzata è ancora simbolo di modesta condizione di vita, è il segno distintivo di chi lavora nei campi e all’aperto. Sulle spiagge si verificano incontri sorprendenti. Le turiste straniere indossano bikini, abiti dalle ampie scollature, passeggiano spesso da sole. In Italia è Lucia Bosè nel 1947 a indossarlo, poi lo faranno Sophia Loren e Gina Lollobrigida, incapaci però di competere con Brigitte Bardot che sembra nata con slip e reggiseno. E in lei che la nuova generazione identifica il simbolo della ribellione contro la tradizione. L’aspirazione a una vita più dolce, allegra e libera trae il titolo dall’omonimo film di Federico Fellini, uscito nel 1960, un impietoso affresco d’epoca che con ironia prende di mira la volgarità dei nuovi ricchi, l’assurdità dell’aristocrazia e la mediocrità della borghesia. La protagonista Anita Ekberg, quella del bagno notturno nella Fontana di Trevi, è considerata da Hollywood una sorta di surrogato abbondante di Marylin Monroe, simbolo di una sensualità carnale destinata a lasciare un segno nell’immaginario collettivo.

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