lunedì 22 dicembre 2025

Chiara Saraceno su Askatasuna


 

Chiara Saraceno 
Askatasuna: la violenza, la criminalizzazione e chi ha tradito i bisogni del quartiere
La Stampa, 22 dicembre 2025

C'è una vittima certa delle violenze scatenate da e attorno ad Askatasuna in queste settimane, culminate, per ora, con la messa a ferro e fuoco del centro di Torino ieri. È la popolazione del quartiere, in particolare coloro che avevano visto in Askatasuna e nel patto firmato con la città e garantito da un comitato la possibilità di avere uno spazio di incontro e confronto, un luogo gratuito e auto-gestito in cui svolgere attività di vario tipo ed anche trovare risposte a bisogni di informazione, di servizi minimi. Una domanda, un desiderio semplice, che dovrebbe essere raccolto da una amministrazione pubblica come parte normale del proprio operare, ma che in troppi luoghi, non solo a Torino, non trova risposta e deve essere conquistato con la forza, anche se non necessariamente con la violenza, occupando spazi dismessi e spesso lasciati al degrado.

La reazione della cittadinanza dopo le violenze

Non stupisce che, come era già successo dopo lo sgombero del Leoncavallo a Milano, centinaia di famiglie, anche con bambini e anziani, siano scese in piazza a manifestare la loro protesta e solidarietà: non per difendere le violenze, l’attacco alle Ogr e la vandalizzazione de La Stampa, ma per difendere una opportunità, un luogo che li aveva accolti. Salvo essere cancellati - dalla narrazione pubblica e dall’immaginario collettivo - dalle immagini di violenza urbana, se non identificati tout court con essa.

Il patto di collaborazione: opportunità mancata

Askatasuna forse non era il soggetto più adatto cui l’amministrazione comunale avrebbe potuto rivolgersi per rispondere a questo bisogno, data la sua storia, legittimamente, antagonista e la non trasparenza della sua composizione. Forse, come suggeriva ieri Cacciari su questo giornale, sarebbe stato meglio fare un bando aperto a tutti i soggetti interessati. Ma una volta deciso, per cercare di uscire da una situazione di illegalità protratta da decenni e pericolo fisico data la fatiscenza dell’edificio, di stipulare un patto con loro, sia il Comune, sia i partiti che si erano spesi perché si arrivasse a questa soluzione, sia il comitato dei garanti avrebbero dovuto osservare meglio che esso fosse osservato in tutte le sue parti: non solo a difesa della legalità, ma la difesa del diritto degli abitanti del quartiere ad usare quel luogo secondo i propri bisogni e interessi, senza che questi diventassero la copertura di progetti di iniziative violente e di reclutamento di nuovi soggetti per le stesse. Ciò che non è avvenuto, in uno scambio tacito tra inganno e cecità intenzionale.

Il silenzio di Comune e garanti

È diventato chiaro e per molti versi irrimediabile soprattutto dall’assalto alle Ogr in poi, che hanno visto sostanzialmente silenti e inattivi sia l’amministrazione comunale sia il comitato dei garanti, fino alla patetica individuazione della causa della rottura del patto, non nella violenza, ma nel fatto che qualcuno aveva continuato ad abitare nelle parti dichiarate inagibili dell’edificio.

Le conseguenze della criminalizzazione

Il risultato è la definitiva criminalizzazione di un esperimento difficile, ma per certi versi necessario almeno negli obiettivi, la sottrazione di uno spazio di incontro libero e gratuito agli abitanti di un quartiere dove non ce ne sono altri, l’ulteriore rafforzamento dell’area dura e violenta di Askatasuna e probabilmente anche la radicalizzazione di parte degli abitanti che in ciò che è avvenuto ritengono di trovare conferma che anche per avere spazi di socialità non di mercato e un minimo di servizi di prossimità è necessario agire con la forza. Che non sia sempre vero, come dimostrano altri spazi di prossimità in giro per la città nati e gestiti in modo diverso, temo non sia di conforto per chi ha perso quello che aveva e stava costruendo con i propri vicini e simili.

Responsabilità collettiva nel tradimento del patto

Di questo tradimento e creazione di sfiducia non porta la responsabilità solo un clima politico che in nome della legge e dell’ordine criminalizza ogni dissenso, e neppure solo quella parte di Askatasuna che sembra aver identificato nella lotta violenta purchessia la propria identità antagonista. La portano anche, se non soprattutto, coloro che avrebbero dovuto stare dalla parte dei cittadini, dei loro bisogni e desideri di socialità e di essere ascoltati, tanto più perché se ne erano fatti garanti.

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