giovedì 7 novembre 2024

L'ombra di Elon Musk


Aldo Cazzullo, Il ritorno e i motivi, Corriere della Sera, 7 novembre 2024

 Trump torna ricco e spietato, ma la vera sorpresa non è questa. Non è il miracolo di sopravvivere alla sconfitta del 2020, al tentativo di colpo di Stato, alla traversata del deserto in un’America per metà ostile, in un partito repubblicano i cui ultimi leader lo detestano. Il suo vero miracolo è essere tornato senza cambiare se stesso. Non vince nonostante sia Trump; vince perché è Trump. 
Trump torna come il conte di Montecristo senza rinunciare a nulla, anzi mostrandosi ancora più rozzo, volgare, aggressivo. Voleva vendetta; e vendetta ha avuto. Ha stravinto senza seguire nessuno dei buoni consigli dei collaboratori, non a caso licenziati di continuo. Senza rinunciare a nessuna delle cose che feriscono, indignano, fanno ridere gli avversari.
Trump non è cambiato; si è espanso. Ad esempio è sbarcato su Tiktok, i suoi video sono stati visti da decine di milioni di giovani, e molti hanno votato per lui. Come il poeta Fernando Pessoa, può dire di sé: «Sono straripato, non ho fatto altro che traboccarmi, mi sono spogliato, mi sono dato, e in ogni angolo della mia anima c’è un altare a un dio differente». Il suo, ovviamente, non è il Dio cristiano pregato in ogni suo comizio, il Dio che lui pensa abbia deviato il proiettile di Thomas Matthew Crooks, l’attentatore della Pennsylvania; è il denaro. Trump ne ha fatto molto meno del suo nuovo amico Elon Musk; ma ne ha fatto comunque tanto, e sempre vendendo se stesso, dedicando la vita al proprio brand, piazzando vari prodotti — i grattacieli Trump, l’università Trump, i casinò Trump, il vino Trump — uniti da un solo dettaglio comune: il suo nome. Per questo sul palco della vittoria ha elogiato la moglie: «Il libro di Melania è in testa alla classifica!» (non è vero, su Amazon è terzo; mai però sporcare con la verità una storia a lieto fine).

L’antipolitico

Trump ha fatto lo stesso in politica. Nonostante le tre campagne presidenziali e i quattro anni alla Casa Bianca, non è percepito come un politico. Se lo votano sia le classi popolari sia i milionari, è perché entrambe le categorie possono dire: «Donald è uno di noi». Lui stesso ama definirsi un povero con i soldi, il campione di quella «white trash», spazzatura bianca, che in questi anni ha pagato l’inflazione e l’impoverimento, e non ha digerito né la lezioncina morale del politicamente corretto, né il declino della potenza americana.

Trump adora i dittatori, e i dittatori adorano lui. Gli uomini forti del pianeta si sono affrettati a congratularsi. Putin, Erdogan, Xi si rallegrano, si compiacciono, un po’ si specchiano. E pure per qualche leader democratico, per primo Netanyahu, non poteva esserci notizia migliore. Ma proprio perché la dimensione personale e autoritaria del potere è in ascesa in tutto il mondo, gli americani volevano al posto di comandante in capo un uomo — non una donna — percepito come forte, o almeno come imprevedibile: il «cane pazzo» che nessuno molesta perché nessuno sa come reagirà. E chissà perché tutti ora si aspettano la pace: in Ucraina, in Medio Oriente, nel pianeta. Come se Trump avesse un altro modo di fare la pace diverso dal disimpegno: che se la vedessero tra loro, russi e ucraini, e tutti gli altri.

Poi certo i democratici ci hanno messo del loro. Hanno fatto le primarie per confermare Biden nonostante la seminfermità, hanno atteso che sparassero a Trump per cambiare candidato, e poi si sono illusi che Kamala Harris, nonostante le palesi lacune di leadership, potesse batterlo o almeno tenergli testa. La sconfitta invece è netta: persi tutti gli Stati in bilico, il Senato, la Camera, il voto popolare, e pure la faccia. Ancora una volta, i sondaggi hanno sottovalutato Trump, non hanno colto il movimento in suo favore negli ultimi giorni.


L’abbaglio


A ben vedere, l’errore culturale dei democratici americani è lo stesso degli europei: pensare che Trump sia un leader debole, che debba pagare un prezzo alla sua scorrettezza politica — diciamo pure maleducazione —, alla sua immediatezza – o meglio rozzezza —, alla sua tracotanza. È vero il contrario: Trump ai suoi piace anche per questo, perché non pensa, non sente, non parla come un politico o un moralista o un intellettuale, ma come una star, cui tutto è concesso. Anche nella sua New York è andato meglio del previsto. La sua America è in maggioranza bianca, maschia, cristiana, ma hanno votato per lui molti latinos, molti neri, e molte donne. Perché, se tante lo vedono giustamente come un pericolo alla loro libertà, altrettante adorano Trump; e non soltanto le ragazze vestite di rosso che l’altra sera spingevano come forsennate per avvicinarsi al palco ornato da cinquanta bandiere americane e cinquanta aquile, pettinate come lui, con il ciuffo da uccello da preda.

Gli europei, già abbastanza divisi di loro, hanno davanti quattro anni durissimi. Anche l’Europa è stata spazzata dal vento anti-sistema, antiélites, anti-establishment, anti-politico che infuria qui in America. Solo che l’Europa, finora, aveva resistito: i populisti sono andati al governo in uno solo tra i grandi Paesi (indovinate quale). Ma ora i centristi — Von der Leyen, Macron — e i progressisti — Scholz che l’anno prossimo perderà le elezioni, Sánchez inseguito dagli alluvionati con i bastoni — se la dovranno vedere con Trump. Che disprezza apertamente gli europei e l’Unione europea, non la riconoscerà, e tratterà direttamente con i singoli Stati, certo da posizioni di forza. Minaccerà dazi, prometterà favori, chiederà più soldi per la Nato. Dividerà per imperare. L’ha già fatto la prima volta; ma allora Macron era all’inizio, non alla fine; e la Germania aveva Angela Merkel.

Oggi il vento del sovranismo che in Europa spira da Est sarà più forte. In Italia vince ovviamente Salvini, ma pure la Meloni esce rafforzata nei rapporti con Bruxelles, Parigi, Madrid, Berlino. Nella speranza che la nuova era Trump diventi un vantaggio strategico, non un richiamo della foresta populista. E c’è un messaggio pure per Elly Schlein: se la sinistra non si rende conto che il prezzo dell’immigrazione incontrollata lo pagano le classi popolari, in termini di diritti, sicurezza, salari, perderà pure le prossime elezioni, e le prossime ancora.

Quattro anni di Trump non implicano solo un’incognita in politica estera. Non significano soltanto che sarà lui a officiare riti sportivi di immenso impatto, dai Mondiali di calcio del 2026 all’olimpiade di Los Angeles 2028. Significa una pericolosa battuta d’arresto nella lotta contro il cambio climatico. Trump denunciò gli accordi di Parigi, Biden riportò l’America al tavolo, il Trump conte di Montecristo si chiamerà di nuovo fuori; e a questo punto perché India e Cina dovrebbero impegnarsi? E davvero non si capisce perché la destra mondiale consideri il cambio climatico un’ubbìa da progressisti, e non avverta la responsabilità che nella Bibbia Dio assegna all’uomo e che dovrebbe essere cara ai conservatori: custodire il creato, proteggere la natura.


I fedelissimi


Ma il vero capo della nuova destra globale non è Trump. Trump ha 78 anni. Ha davanti un periodo importante, cruciale, denso, ma limitato. Dietro di lui qualcuno intravede l’ombra della figlia Ivanka, l’altra sera peraltro non nominata, a differenza del più piccolo, Barron, il figlio di Melania, che non è più il bambino visto sbadigliare in mondovisione otto anni fa, ma ha la stessa aria spaurita di allora. Personaggio interessante è il vicepresidente, J.D. Vance. Stavolta Trump non si affiderà a generali e a personaggi dell’establishment; si circonderà di fedelissimi; farà di testa sua, e vedremo cosa saprà fare.

Il vero capo della nuova destra globale, però, è Elon Musk. Se un miliardario asiatico o africano avesse messo in palio un milione di dollari al giorno tra gli elettori indecisi, gli osservatori Usa avrebbero invalidato le elezioni per brogli. I magistrati della Pennsylvania prima hanno bloccato la lotteria, poi l’hanno sbloccata con tante scuse. Musk ha versato a Trump 130 milioni di dollari, e ne ha guadagnati 13 miliardi solo con il balzo di Tesla a Wall Street. Ma ormai è chiaro che per Musk i soldi sono solo un mezzo per il suo vero obiettivo: il potere sulle anime. La politica non cambierà il mondo; Musk sì, o almeno è convinto di farlo, di esplorare lo Spazio e l’uomo, sino ai confini dell’immortalità. Per Trump e quelli come lui è il nuovo sogno americano; per altri è un incubo. Di sicuro Musk ha comprato Twitter, gli ha cambiato nome, l’ha messo al servizio di Trump, e «intervistandolo» ha detto la frase più agghiacciante del nuovo secolo: «A Hiroshima e Nagasaki ora ci sono di nuovo delle città». La bomba atomica, che sarà mai. Davvero hanno vinto i pacifisti? Di sicuro, la maggioranza del popolo americano pensa che si stava meglio quattro anni fa, e ha fiducia di stare meglio tra quattro anni. E il popolo americano, si sa, è irrequieto, ribelle, ottimista. Molto ottimista.

Nessun commento:

Posta un commento