venerdì 8 novembre 2024

La memoria delle parole




Nel dialetto che parlavo quand'ero ragazzo e che ancora capisco, c'erano delle parole di origine greca. Tanto tempo fa, nel 1937, un filologo tedesco, Gerhard Rohlfs, scrisse un articolo nel quale tentò di dimostrare che una parte almeno di quelle parole veniva dal greco classico. Il Cilento, dove abitavo, ha sul suo territorio i ruderi di Poseidonia (Paestum) e di Elea (Velia). Il culto diffuso in Germania per il patrimonio culturale della Grecia classica aiuta a intravedere le ragioni di una tale pensata. Rohlfs con ogni probabilità aveva torto. I grecismi del Cilento corrispondono spesso a parole latine di origine greca e, se proprio hanno a che fare con una presenza greca nella zona, è più sensato pensare all'insediamento di numerosi monaci bizantini in un'epoca successiva che non alle colonie cancellate in quanto tali dalla dominazione romana già nel terzo secolo avanti Cristo. 

Come che sia, alcune tra le parole di origine greca nei dialetti cilentani conservano per me un fascino che con l'età è andato addirittura crescendo. Ho lasciato quei luoghi da giovane e non sono più tornato. Allora la parola greca che ritorna nella memoria si carica di tutto il peso di un passato che, pur appartenendomi, si colloca ormai fuori della mia portata. Quella parola porta con sé una ventata di esotismo, mi conduce a riflettere su quanto possa essere incerta la nozione di identità. Sono stato il ragazzo che usava senza pensarci troppo certe espressioni, sono sempre la stessa persona ma non sono più in grado di tenere una conversazione decente in quel dialetto. Mi rimangono alcune parole e mi danzano nella testa. Volendo, agiscono come la madeleine in Proust. Sono l'occasione che scatena il ricordo. Si tirano dietro tutto un mondo di sensazioni, sapori, odori, immagini.  
Vediamo alcuni esempi.
Artéteca è una parola che si usa tanto a Napoli quanto nel Cilento. Arthron in greco sta per giuntura, articolazione. La radice greca è passata attraverso il latino e ha prodotto arthritis. Arteteca viene da arthritis e ha un equivalente italiano approssimativo che è “irrequietezza”. Il termine dialettale si riferisce a una malattia, in realtà, e si applica soprattutto ai bambini, un pargoletto che non sta mai fermo “tiene” l’arteteca essendo dotato di un temperamento vivace e irrequieto. Un equivalente francese è bougeotte, che però indica la tendenza a spostarsi, a viaggiare.
Carocchia. Il termine napoletano e cilentano deriva dal greco “karà”, testa. Indica un tipo particolare di percossa, un colpo secco e doloroso assestato al capo e portato con movimento veloce dall’alto verso il basso usando le nocche maggiori delle dita della mano serrata a pugno. Una possibile traduzione italiana potrebbe essere nocchino”, che è pure un termine regionale. Non è risolutiva in quanto corrisponde a un piccolo gesto ripetuto, mentre la carocchia è una sola botta decisa. Cambia l’intensità: il nocchino è un colpetto più o meno indolore, la parola napoletana invece si avvicina nel significato alla batosta. Nell’espressione ‘na brutta carocchia il senso è proprio quello di batosta: un duro colpo riguardo al lavoro, alla salute o all’autostima. Notevole anche il proverbio “A carocchie, a carocchie, Pulecenella accerette ‘a mugliera”. Pulcinella uccise la moglie con ripetute botte in testa, ossia continui piccoli danni possono provocare grave nocumento.
Cárcara: Rohlfs definisce la cárcara come “parte del mulino dove gira la ruota e dove esce l’acqua”. Esiste tuttavia un altro significato della parola: “piccola fabbrica di calce” (vocabolario di Sicilì). Questa poteva anche ridursi a una buca o una fossa scavata nel terreno. Ormai la calce si fabbrica in modo industriale. La fossa scavata nel terreno permetteva invece una produzione domestica. Era l’equivalente in campo edilizio del forno domestico per il pane. La pratica che risaliva al tempo dei greci e dei romani cessa solo negli anni Ottanta del Novecento. Nel mio ricordo la cárcara nell’orto sotto casa corrisponde all’immagine di una impresa spettacolare. La calce che ribolle e che non si può toccare tanto è calda. Una grande macchia bianca. 

https://machiave.blogspot.com/2024/11/la-filastrocca-delle-lucciole.html






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