Voltaire, Candido o l'ottimismo, 1759, traduzione di Maria Moneti
Garzanti, Milano 2008 (1973)
Pangloss insegnava la metafisico-teologo-cosmologo-scempiologia. Egli dimostrava mirabilmente che non c'è effetto senza causa, e che in questo migliore dei mondi possibili, il castello di Sua Grazia il Barone era il più bello di tutti i castelli, e la di lui consorte la migliore delle possibili baronesse.
È provato, diceva, che le cose non potrebbero stare altrimenti: essendo tutto quanto creato in vista di un fine, tutto è necessariamente inteso al fine migliore. I nasi, notate, son fatti per regger gli occhiali: e noi infatti abbiamo gli occhiali. Le gambe non è chi non veda come siano istituite per essere calzate: e noi abbiamo appunto le calzature. Lo scopo delle pietre è di esser tagliate e murate in castelli: e Sua Grazia possiede precisamente un castello bellissimo. Il maggior barone della provincia ha da essere il meglio alloggiato; e i porci essendo creati perché si mangino, noi mangiam porco tutto l'anno. Ne consegue che coloro i quali hanno affermato che tutto va bene, han detto una castroneria. Bisognava dire che meglio di così non potrebbe andare.
Candido ascoltava con attenzione, e con innocenza credeva. Madamigella Cunegonda gli pareva infatti bellissima, quantunque non trovasse mai il coraggio di dirglielo. Secondo le sue conclusioni, il primo grado della felicità era quello d'esser nato Barone di Thunder-ten-Tronckh; il secondo, d'esserci la damigella Cunegonda; il terzo, di vederla tutti i giorni; il quarto, d'ascoltare Mastro Pangloss, il più gran filosofo di tutta la provincia, e perciò del mondo intero.
Cunegonda, passeggiando un giorno nei pressi del castello, capitò nel boschetto che aveva nome di parco, e vide tra le frasche il dottor Pangloss nell'atto d'impartire una lezione di fisica sperimentale alla cameriera della Baronessa, brunetta graziosa e docile molto. D'ingegno ottimamente aperto alle scienze, madamigella osservò senza fiatare le replicate sperimentazioni che si compivano dinanzi ai suoi occhi; notò chiaramente la ragion sufficiente del dottore, gli effetti e le cause; e se ne venne via tutta commossa, tutta pensierosa, tutta occupata dalla brama di addottrinarsi, parendole di poter essere lei molto bene la ragion sufficiente del giovane Candido, ed egli la sua.
Incontrò Candido mentre tornava al castello, e arrossì. Candido si fece rosso a sua volta. Ella gli diede il buon giorno con voce rotta, egli rispose senza saper quello che dicesse. Il giorno seguente, all'uscir di tavola dopo il pranzo, Candido e Cunegonda si ritrovarono dietro un paravento. A Cunegonda cadde il fazzoletto, Candido lo raccattò; ella gli prese innocentemente la mano, e innocentemente il giovane depose un bacio sulla mano della damigella, dando mostra d'una particolarissima animazione, grazia e sensibilità. Le bocche s'incontrarono, gli sguardi s'infocarono, le ginocchia tremarono, le mani si fuorviarono. Il signor Barone di Thunder-ten-Tronckh venne a passare accanto al paravento, e accortosi di quella causa e di quell'effetto, scacciò Candido dal castello a gran calci nel sedere. Cunegonda perse i sensi; appena li ebbe ritrovati fu presa a ceffoni dalla signora Baronessa. Il più bello e ameno di tutti i castelli fu in preda a una generale costernazione.
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