Petrusino. Secondo alcuni la parola deriverebbe dal greco petroselinon, πέτρος σελινον, dove selinon sta per sedano. Forse non è necessario cercare tanto lontano, esistendo in latino il vocabolo petrosilium, prezzemolo. Senza contare che in botanica si registra la varietà petroselinum crispum neapolitanum. La parola è legata in particolare a un modo di dire: petrusino, ogne menesta. La formula indica una persona che si intromette in ogni discussione, che non perde mai l’occasione per mettersi in “mezzo”. Ma perché paragonarla al prezzemolo? Il rapporto con questa erba è facile da cogliere. Il prezzemolo, infatti, è usato se non in tutte ma di certo in moltissime pietanze, è sempre chiamato in causa dunque, soprattutto quando si parla di minestre. Ecco dunque l’ispirazione per il detto napoletano. Ad una persona che si infila sempre in ogni discussione, anche quelle che non la riguardano, si dice che sembra un prezzemolo in ogni minestra. In fondo chi si esprime in questa maniera ammette che l'intrusione può avere ogni volta le sue ragioni pur trovandone eccessiva la frequenza o la ripetizione. Nothing personal, in altri termini: l'osservazione sgradevole non comporta l'intenzione di offendere.
Picca La parola figura tra quelle di origine greca nell'elenco tracciato da Rohlfs ("Mundarten und Griechentum des Cilento"). L'etimologia potrebbe rinviare a πολύ λίγο molto poco. Picca si ritrova in napoletano, in siciliano e nei dialetti cilentani e lucani. Ѐ tra le parole usate da Camilleri nei suoi romanzi. In siciliano esistono i proverbi: cu' picca havi, caru 'u teni, "chi poco ha, caro se lo tiene" e cu' picca parra, picca sbagghia, "chi poco parla, poco sbaglia".
Strummolo. L'etimologia rimanda alla parola greca strombos (στρόμβος, manovella) o strobilos (στρόβιλος), cioè "turbina" o "mulinello". Strombos e stròbilos si ritrovano ugualmente nel nome del vulcano Stromboli. Come oggetto, 'u strùmmolo è un piccolo cono di legno con una punta di acciaio. Funziona come una trottola. Si trattava più che altro di un gioco tra ragazzi da praticare per strada soprattutto nelle giornate invernali. Per ottenere la rotazione dello strummolo occorre avvolgere una cordicella intorno al cono, partendo dalla punta. Una volta terminato l'avvolgimento, tirando con uno strappo la cordicella e lanciando la trottola per terra, si ha l'effetto della rotazione. Il cono di legno con il chiodo in punta in italiano porta il nome di picchio; nelle valli piemontesi si parla di sàtula o sòtula. Già il giocattolo che si stacca dalla mano, vola per aria e si posa al suolo restando dritto e mettendosi a girare rappresenta una prodezza che ha qualcosa di magico. I più bravi riuscivano a ”raccogliere” lo strummolo: mentre questo girava il ragazzo inseriva sotto al chiodo la propria mano aperta, facendo salire la trottola sul palmo, nello spazio tra il dito indice e il medio tenuti divaricati, e lo strummolo continuava a girare sul palmo della mano, finché avesse forza. Più spesso il picchio dava luogo a delle gare che potevano essere di due tipi. In un caso, vinceva chi faceva durare più a lungo il movimento della trottola. Occorreva scegliere il punto più adatto per il lancio. La dimostrazione di bravura presupponeva un lungo apprendimento e un costante esercizio. Bisognava calcolare la lunghezza dello spago: uno troppo corto non avrebbe impresso alla trottola il movimento rotatorio sufficiente a tenerla per molto tempo in piedi; uno troppo lungo non si sarebbe svolto in tempo da liberare lo strumento prima che questo avesse raggiunto il suolo. Bisognava anche graduare la forza di lancio: lanciare con molta forza avrebbe trasformato il lancio in una fiondata; un tiro troppo debole avrebbe fatto semplicemente cadere a terra la trottola. L'altro tipo di gara era detto spacca strummolo (spacca picchio, spicàs nelle valli piemontesi) ed era riservato ai ragazzi più grandi e provetti. Si sorteggiava, tra i due contendenti, chi dovesse ”mettere sotto” il suo strummolo, cioè deporlo a terra a costituire bersaglio. L’altro avvolgeva lo spago alla sua trottola e la lanciava levando al massimo il braccio in modo da imprimere allo strumento la massima forza. Se la trottola colpiva quella giacente a terra, questa quasi sempre si spaccava perché il chiodo della punta faceva da cuneo: lo strumento colpito era perduto. Se il giocatore non aveva colpito il bersaglio, la sua trottola diventava bersaglio e l’altro giocatore provava a sua volta a spaccarla. Era un gioco crudele, che lasciava l’amaro in bocca anche ai ragazzi che avevano assistito al duello.
Per sganciare lo strùmmolo vi
erano tre modi: il tirafilaccio,
che si effettuava tenendo la trottola a punta in giù e tirando indietro lo spago con forza a livello del
suolo; sottemàne (d’sutmëŋ, in Piemonte) che consisteva nel tenere l'ultimo tratto dello spago tra l'anulare e il mignolo, stringendo la trottola in pugno e volgendone la punta verso il basso: era il lancio dei principianti e aveva il difetto di dare poca forza alla trottola; ncoppamàno (d‘giurmëŋ, in Piemonte) era la maniera degli esperti e consisteva nel tenere la trottola in pugno con la punta in alto, con lo spago tra l'anulare e il mignolo, sicché quando si effettuava il lancio, bisognava far ruotare la mano sul polso per far cadere la trottola a punta in giù.
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