venerdì 29 novembre 2024

Crimini gravi, non un genocidio



Liliana Segre, Attenti alle parole: a Gaza crimini gravi, non un genocidio
Corriere della Sera, 29 novembre 2024

Le parole, a volte, diventano clave. Negli ultimi mesi ho fatto appelli per il cessate il fuoco, ho
condannato le violenze, ho espresso la più profonda partecipazione al dramma delle vittime innocenti palestinesi e israeliane, ho invocato un rispetto sacrale verso i bambini di ogni nazionalità, di ogni credo, di ogni religione, ho manifestato ripulsa verso lo spirito di vendetta.

Eppure, o ti adegui e ti unisci alla campagna che tende ad imporre l’uso del termine «genocidio» per descrivere l’operato di Israele nella guerra in corso nella Striscia di Gaza, o finisci subito nel mirino come «agente sionista».

Le cose in realtà sono più complesse e colpisce che alcuni tra i più infervorati nell’uso contundente della parola malata si trovino in ambienti solitamente dediti alla cura, talora maniacale, del politicamente corretto, del linguaggio sorvegliato che si fa carico di tutte le suscettibilità fin nelle nicchie più minute.

Nella drammatica situazione di Gaza non ricorre nessuno dei due caratteri tipici dei principali genocidi generalmente riconosciuti come tali — il Medz Yeghern degli armeni, l’holodomor dei kulaki ucraini, la Shoah degli ebrei, il Porrajmos dei rom e sinti, la strage della borghesia cambogiana, lo sterminio dei tutsi in Ruanda — mentre sono piuttosto evidenti crimini di guerra e crimini contro l’umanità, commessi sia da Hamas e dalla Jihad, sia dall’esercito israeliano.

I caratteri tipici dei genocidi sono essenzialmente due, uno è la pianificazione della eliminazione, almeno nelle intenzioni completa, dell’etnia o del gruppo sociale oggetto della campagna genocidaria, l’altro è l’assenza di un rapporto funzionale con una guerra. Anche i genocidi commessi durante le due guerre mondiali (armeni, ebrei, rom e sinti) non ebbero la guerra né come causa né come scopo, anzi furono eseguiti sottraendo uomini e mezzi allo sforzo bellico.

D’altronde, anche di fronte ad operazioni militari volte intenzionalmente a produrre vittime civili e che hanno causato morti innocenti nell’ordine di decine di migliaia (Dresda) o centinaia di migliaia in pochi giorni (Hiroshima e Nagasaki) o addirittura un milione (assedio di Leningrado), non si è mai parlato di genocidi.

L’abuso della parola genocidio dovrebbe essere evitato con estrema cura per più di una ragione.

In primo luogo, solo coprendosi occhi e orecchie si può evitare di percepire il compiacimento, la libidine con cui troppi sembrano cogliere un’opportunità per sbattere in faccia agli ebrei l’accusa di fare ad altri quello che è stato fatto a loro. Un complesso di colpa collettivo prodotto dalla storia si scioglie in un rabbioso sfregio liberatorio verso lo Stato ebraico di Israele, non solo equiparandolo ai nazisti ma rinfocolando tutti i più vieti stereotipi sugli ebrei vendicativi, suprematisti, assetati del sangue dei bambini non ebrei. L’impennata delle manifestazioni di antisemitismo nel mondo, a livelli mai visti da decenni, dimostra l’effetto devastante delle tossine che sono tornate in circolo.

In secondo luogo, l’accusa strumentale del genocidio proietta sull’intero Stato di Israele e su tutto il popolo israeliano — non solo sul pessimo governo in carica — l’immagine del male assoluto. Una demonizzazione ingiusta, ma anche controproducente per le prospettive di pace e convivenza. Ogni riduzione dell’altro a mostro, ogni cancellazione manichea delle sue ragioni — vale per i sostenitori acritici dei palestinesi, ma vale specularmente anche per i sostenitori acritici del governo israeliano — serve solo a perpetuare la guerra, a rinsaldare la trappola dell’odio e ad allontanare il giorno in cui potrà, dovrà sorgere uno Stato di Palestina accanto allo Stato di Israele.

In terzo luogo, la cultura antifascista e antitotalitaria ha avvertito da sempre le implicazioni velenose delle operazioni di negazionismo, riduzionismo, relativizzazione, distorsione o banalizzazione dei genocidi. Di lì passano inesorabilmente le rivalutazioni delle peggiori dittature e le campagne nostalgiche. Da lì parte il sistematico abbassamento degli anticorpi che sorreggono la coscienza democratica dei cittadini. Inquieta che anche alcuni di coloro che meritoriamente si dedicano alla tutela e alla trasmissione della Memoria sembrino non capire che lasciar passare oggi l’abuso del termine genocidio significa produrre una crepa in un argine. E se crolla quell’argine, domani, potrà passare ben altro.


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Riguardo al fatto se sia genocidio

Mark O'Connell: riguardo all'interrogativo se le azioni di Israele in Palestina possano essere considerate o no un genocidio, mi sembra molto difficile dare un senso a quello che stanno facendo se non si crede che, almeno, sia in corso un qualche progetto di pulizia etnica.

Rashid Khalidi: Devi capire un paio di cose. Uno, c'è un desiderio quasi inestinguibile di vendetta per quanto accaduto il 7 ottobre dello scorso anno: la distruzione non solo della divisione di Gaza dell'esercito israeliano ma di un gran numero di insediamenti lungo il confine con Gaza; l'uccisione del maggior numero di civili israeliani dal 1948; il rapimento di oltre cento civili e forse un centinaio di soldati; la distruzione del senso di sicurezza, che è la pietra angolare di come si vedono gli israeliani. Quindi la sete di vendetta per ciò che è successo sembra essere inestinguibile. Questa è la prima cosa.

La seconda cosa è che l'establishment israeliano ha un piano. Ogni volta che Israele è in guerra, attacca le popolazioni civili con la scusa che lì c'è un bersaglio militare. Ha sempre fatto questo. C'è sempre stato un bersaglio militare apparentemente da qualche parte, ma il punto non è mai stato solo quell'obiettivo militare. Il punto era anche punire i civili e costringerli a rivoltare contro i ribelli. Questa è la loro pratica e lo è sempre stata. È tratta direttamente dalla dottrina militare britannica. Pensate alle guerre britanniche in Kenya, andate in Malesia, e vedrete che l'esercito britannico ha fatto la stessa cosa. Il punto è, quindi, che stanno uccidendo di proposito i civili. Stanno rendendo la vita impossibile di proposito. Stanno rendendo Gaza apposta inabitabile, come mezzo - nelle menti contorte e criminali di guerra dello Stato Maggiore - per costringere la popolazione a rivoltarsi contro gli insorti.

E la terza cosa è che c'è un progetto coloniale nel nord di Gaza: riprendersi un pezzo di Gaza, svuotarlo della sua popolazione e piantare coloni. Questo può succedere o meno, ma molti ministri anziani hanno chiesto nuovi insediamenti lì. Tutti e tre quegli elementi, direi, spiegano le atrocità cui stiamo assistendo. Se questo non corrisponde alla descrizione del genocidio, basta buttare per aria la Convenzione sul genocidio. Non vale assolutamente nulla.




https://www.nybooks.com/articles/2024/12/19/israels-revenge-an-interview-with-rashid-khalidi-mark-oconnell/?srsltid=AfmBOopv9ybSPzESGKU5tZaNPDhRu77qmfcJ7ZESUJFw5VmqcTctZQUI




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