Jules Michelet, La Strega, traduzione di Stefano Lanuzza
Nuovi Equilibri, Viterbo 2005
Unico medico del popolo fu, per mille anni, la strega. Imperatori, re, papi, i più ricchi baroni avevano qualche dottore di Salerno, qualche moro o ebreo; ma la grande massa, un po' tutti e d'ogni condizione, consultavano solo la Saga o Saggia-donna. Non guarendo, la insultavano e le dicevano strega. Ma di solito, per rispetto e anche timore, la chiamavano Buonadonna o Belladonna: lo stesso nome dato alle fate.
Le capitò quanto ancora capita alla sua pianta preferita, la belladonna, e alle pozioni benefiche da lei usate, rimedi dei grandi flagelli del medioevo. Il ragazzo e l'ignaro passante maledicono queste livide erbe senza conoscerle. I colori indefiniti li terrorizzano. Arretrano, s'allontanano. Eppure si tratta solo di lenitivi (solanacee) che, somministrati con misura, hanno spesso guarito e alleviato molti mali.
Li trovate nei luoghi più sinistri, solitari e pericolosi, tra macerie e ruderi. Anche in questo somigliano a chi li utilizzava. Dove se non in lande selvagge avrebbe potuto vivere quell'infelice così perseguitata, quella maledetta, reproba, avvelenatrice che guariva e salvava? La sposa promessa del diavolo e del Male in persona, colei che ha fatto tanto del bene, come dice il gran dottore del Rinascimento Paracelso: che, nel 1527, fece a Basilea un falò di tutta la medicina, dichiarando di non sapere niente oltre a quanto appreso dalle streghe.
Meritavano un premio. L'ebbero. Le compensarono con torture e roghi. S'escogitarono appositi supplizi, inediti strazi. Venivano giudicate in massa e condannate per una parola. Mai ci fu più spreco di vite umane. Per non dire della Spagna, classica terra di roghi dove non c'è moro né ebreo senza strega, se ne contano settemila a Trèviri e non so quante a Tolosa. A Ginevra, cinquecento in tre mesi (1513); ottocento a Würzburg, quasi in un'infornata; e millecinquecento a Bamberg (due piccolissimi vescovadi). Ferdinando II in persona, il bigotto e crudele imperatore della guerra dei trent'anni, fu costretto a controllare i suoi bravi vescovi: non avrebbero risparmiato un solo suddito. Nella lista di Würzburg trovo uno stregone undicenne, uno scolaro e una strega di quindici anni; a Bayonne due di diciassette, per loro disgrazia graziose.
A quando risale la strega? Rispondo senza esitare: "Ai tempi della disperazione". Della profonda disperazione causata dal mondo della Chiesa. Senza esitare, dico che "la strega è il suo delitto".
Nemmeno mi soffermo su ipocrite spiegazioni che vorrebbero minimizzare: "Debole, fragile era la creatura, facile alle tentazioni. La concupiscenza l'ha spinta al male". Ma, nell'indigenza e nella carestia dell'epoca, come poteva una passione portarla alla furia diabolica? Se la donna innamorata, trascurata e gelosa, se la ragazza scacciata dalla matrigna o la madre malmenata dal figlio (vecchi temi di leggende), hanno avuto la tentazione d'invocare lo spirito maligno, tutto questo non è la strega. Che queste povere creature invochino Satana, non significa che vengano accettate. Sono ancora lontane, ben lontane, dall'essere pronte per lui. Non hanno l'odio di Dio.
Per capire un po' meglio, leggete gli odiosi registri tramandati dall'Inquisizione non negli estratti di Llorente e Lamothe-Langon, ma in ciò che resta degli originali di Tolosa. Leggeteli nella loro piattezza, nella loro lugubre aridità così spaventosamente feroce. Bastano poche pagine, per sentirsi gelare. Vi assale un freddo crudele. La morte, la morte, la morte: ecco cosa si sente a ogni riga. Siete alfine nella bara, o in una stretta cella di pietra dai muri ammuffiti. I più fortunati vengono messi a morte. La cella, l' in pace, è l'orrore. Tale formula ricorre all'infinito, come una campana d'infamia che suoni e risuoni per avvilire i morti in vita. Sempre la stessa parola: Murati.
Orrifico sistema per annientare e opprimere, spietata pressa per schiacciare l'anima. Un giro di vite dopo l'altro, strozzata, zoppicante, schizzò dal marchingegno cadendo nell'ignoto. La strega, al suo apparire, non ha padre né madre; non ha figli, marito, famiglia. È un mostro, una meteora giunta chissà da dove. Chi, gran Dio, oserebbe avvicinarla?
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