Si
può pensare che una rappresentazione sacra, sempre uguale,
appassioni sempre meno il suo pubblico da un anno all’altro. Il
Palio di Siena è preceduto dal corteo storico che si ripete identico
ad ogni ricorrenza della festa. Al rito immobile segue la corsa che
ha di volta in volta un andamento diverso. Dopo l’eterno ritorno,
la novità. Eppure, la rappresentazione sacra pur ripetuta in forma
identica di anno in anno non determina assuefazione e rigetto. Ci
sono almeno due ordini di spiegazioni per questo. Prima di tutto la
monotonia del rito rassicura gli spettatori, ribadisce la loro
appartenenza a un certo mondo, alla zona ma soprattutto al paese di
origine, o alla dimora. In secondo luogo la rappresentazione stessa
ha un contenuto che va oltre la fede religiosa e che si riassume nel
trionfo del bene. La vita procede diversamente in molti casi, ma è
consolante sapere che, da qualche parte, la giustizia prevale
sull’abuso.
Nel Cilento il volo dell’Angelo si ritrova
in tutta una serie di paesi diversi, Rutino, Prignano, Camella, Vatolla e
Eredita.. Tanta popolarità ha ancora un’altra spiegazione
possibile. Il volo equivale a una metafora del miracolo. Nel giorno
della rappresentazione si festeggia un santo patrono e il volo
riflette la virtù soprannaturale del protettore celeste.
A
Eredita, il taumaturgo è San Giovanni Battista. La rappresentazione
sacra riguarda un episodio che si sarebbe verificato al tempo delle
incursioni saracene. Il condottiero nemico ha già assaltato le
popolazioni della piana sottostante quando rivolge la sua attenzione
al villaggio di Eredita sulla collina. Medita un assalto ma non
riesce ad attuare rapidamente il suo proposito, perché sbaglia
strada per colpa di un pastore al quale aveva chiesto indicazioni sul
percorso più breve da seguire. Così gli abitanti di Eredita hanno
modo di rifugiarsi tra la mura della chiesa. Molte ore dopo il
condottiero, giunto infine al paese, riconosce il pastore
nell’effigie del Battista. Allora desiste dal suo proposito e
invita i fedeli a ringraziare il santo. In segno di riverenza fa poi
dono al patrono della sua tracolla.
A
ben vedere il racconto somiglia molto a quello di Cappuccetto rosso e
ha una altrettanto efficace funzione catartica. Comporta
l’apparizione di un mostro che è fonte di spavento. Per un breve
tempo, la minaccia sembra prendere corpo, se non che alla fine le
vittime innocenti escono indenni dalla prova. Gli spettatori possono
tirare un sospiro di sollievo. Alla fine dello spettacolo un bambino
sospeso per aria fa la parte di un angelo e recita antichi versi
dedicati al Battista.
La
più famosa e popolare di queste rappresentazioni sacre è quella che
si svolge ogni anno a Rutino nella seconda domenica di maggio.
Secondo una voce diffusa, trarrebbe la sua ispirazione dal Paradiso
perduto
di Milton. A Rutino il santo patrono è un angelo, anzi un arcangelo,
san Michele, che ha come nemico Lucifero in persona.
È
impersonato sulla scena da un bambino. Si
presenta vestito di azzurro con ricami d’oro e con una scritta sul
petto: Qui ut Deus, “Chi è come Dio?”, significato del nome
Michele. Indossa un elmo, è munito di scudo e spada e indossa una
parrucca bionda. Notoriamente il giallo è il colore della luce
solare, dell’oro, della santità. “Chi è come Dio?” è
peraltro il grido dell’Angelo nella battaglia con Lucifero. La
rappresentazione si svolge in due tempi, al mattino e al pomeriggio.
All’inizio il bambino parte
dalla loggia della casa canonica imbragato ad una carrucola che
scorre su una corda a dieci metri da terra. Viene fatto avanzare
lentamente fino a posizionarsi sopra il palco che rappresenta
l'Inferno.
Lucifero appare poco dopo, accompagnato da altri diavoli. Indossa una
tuta rossa con tracce marginali di nero sul volto e sui bordi della
stoffa. Neri sono anche i suoi guanti. L'Angelo
mette Lucifero sotto
accusa per
la ribellione a Dio e gli annuncia che la disobbedienza gli sarebbe
costata molto cara. Il diavolo si
dichiara pronto alla battaglia e sfida l'Angelo,
che accompagnato
da scrosci di applausi raggiunge il lato opposto della piazza.
Intanto la statua di San Michele, in processione riprende il suo
percorso lungo le vie del paese. Al ritorno del corteo in piazza,
l'Angelo
si fa avanti di nuovo
ed affronta Lucifero.
Dopo un simbolico duello, sconfigge il suo nemico spedendolo
a terra. Umiliato e confuso Lucifero si dichiara sconfitto e scompare
imprecando a testa in giù, tra il fumo e i botti. Sprofonda e
ritorna all’inferno. L'Angelo nel riprendere tra gli applausi il
volo di ritorno canta:
Inneggiate dal cielo eccelsi cori
O Serafini al tron del sommo Iddio
Cadde d’abisso nei profondi orrori
dei ribelli lo stuolo iniquo e rio.
Gloria al Signor del Ciel tra gli splendori.
Sia pace in terra all’uomo umile e pio.
A te del Creator campion fedele
onore eterno Arcangelo Michele.
Francesco Maria Piave avrebbe forse prodotto un testo migliore. L’inno è solenne e vuoto come un cattivo libretto d’opera. Serve tuttavia a celebrare la vittoria del bene sul male. Che è poi, in poche parole, il senso della rappresentazione rituale.
https://machiave.blogspot.com/2017/04/lopera-dei-turchi-prignano.html
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