domenica 3 novembre 2024

Il monologo di Molly Bloom

 


Ulisse
di James Joyce (1921), traduzione di Marilena Beltramini

Le ultime parole famose

Che ora bestiale mi dà l'idea che in Cina si stanno alzando a quest'ora e si pettinano i codini per la giornata tra poco le monache suoneranno l'angelus non c'è nessuno che vada a disturbare i loro sonni se non qualche prete per le funzioni della notte la sveglia di quelli accanto al primo chicchirichì mi fa uscire il cervello a forza di far fracasso guardiamo un po' se riesco ad addormentarmi 1 2 3 4 5 che razza di fiori sono quelli che hanno inventato come le stelle la carta da parati di Lombard street era molto più carina quel grembiule che mi ha dato assomigliava un po' solo che l'ho portato solo due volte meglio abbassare la lampada e provare ancora in modo da alzarsi presto voglio andare da Lambes là vicino a Findlaters e farmi mandare dei fiori da mettere per casa nel caso lo portasse qui domani cioè oggi no no il venerdì porta male prima voglio fare un po' di pulizie la polvere sembra che si ammucchi mentre dormo poi un po' di musica e qualche sigaretta posso accompagnarlo prima devo pulire i tasti del piano col latte cosa mi devo mettere porterò una rosa bianca o quelle brioches di Lipton mi piace l'odore di un bel negozio di lusso a sette penny e mezzo la libbra o quelle altre con le ciliegine e lo zucchero rosa 11 pence un paio di libbre di quelle e poi una bella piantina in mezzo alla tavola si trova a minor prezzo da un momento dove le ho viste non è mica tanto io amo i fiori vorrei che la casa nuotasse nelle rose Dio del cielo non c'è niente come la natura le montagne selvagge poi il mare e le onde galoppanti poi la bella campagna con campi d'avena e di grano e ogni specie di cose e tutti quei begli animali in giro ti farebbe bene al cuore veder fiumi laghi e fiori ogni specie di forme e odori e colori che spuntano anche dai fossi primule e violette e questa la natura e quelli che dicono che non c'è un Dio non darei un soldo bucato di tutta la loro sapienza perché non provano loro a creare qualcosa gliel'ho chiesto spesso gli atei o come diavolo si chiamano vadano e si lavino un po' prima e poi strillano per avere il prete quando stanno per morire e perché perché perché hanno paura dell'inferno per via della loro cattiva coscienza ah si li conosco bene chi è stato il primo nell'universo prima che ci fosse qualcun altro che ha fatto tutto chi ah non lo sanno e nemmeno io eccoci tanto vale che cerchino di impedire che domani sorga il sole il sole splende per te disse lui quel giorno che eravamo stesi tra i rododendri sul promontorio di Howth con quel suo vestito di tweed grigio e la paglietta il giorno che [gli] feci fare la dichiarazione sì prima gli passai in bocca quel pezzetto di biscotto all'anice e era un anno bisestile come ora sì 16 anni fa Dio mio dopo quel bacio così lungo non avevo più fiato sì disse che ero un fior di montagna sì siamo tutti fiori allora un corpo di donna sì è stata una delle poche cose giuste che ha detto in vita sua e il sole splende per te oggi sì perciò mi piacque sì perché vidi che capiva o almeno sentiva cos'è una donna e io sapevo che me lo sarei rigirato come volevo e gli detti quanto più piacere potevo per portarlo a quel punto finchè non mi chiese di dir di sì e io dapprincipio non volevo rispondere guardavo solo in giro il cielo e il mare e pensavo a tante cose che lui non sapeva di Mulvey e Mr Stanthope e Hester e papà e il vecchio capitano Groves e i marinai che giocavano al piattello e alla cavallina come dicevano loro sul molo e la sentinella davanti alla casa del governatore con quella cosa attorno all'elmetto bianco povero diavolo mezzo arrostito e le ragazze spagnole che ridevano nei loro scialli e quei pettini alti e le aste [vendite] la mattina i Greci e gli Ebrei e gli Arabi e il diavolo chi sa altro da tutte le parti d'Europa e Duke Street e il mercato del pollame un gran pigolio davanti a Larby Sharans e i poveri ciuchini che inciampavano mezzi addormentati e gli uomini avvolti nei loro mantelli addormentati all'ombra sugli scalini e le grandi ruote dei carri dei tori e il vecchio castello e vecchio di mille anni si e quei bei mori tutti in bianco e turbanti come re che chiedevano di metterti a sedere in quei buchi di botteghe e Ronda con le vecchie finestre delle posadas fulgidi occhi celava l'inferriata perché il suo amante baciasse le sbarre e le gargotte mezzo aperte la notte che perdemmo il battello ad Algeciras il [guardiano] che faceva il suo giro con la lampada e Oh quel pauroso torrente laggiù in fondo Oh e il mare il mare qualche volta cremisi come il fuoco e gli splendidi tramonti e i fichi nei giardini dell'Alameda sì e tutte quelle stradine curiose e le case rosa e azzurre e gialle e i roseti e i gelsomini e i gerani e i cactus e Gibilterra da ragazza dov'ero un Fior di montagna sì quando mi misi la rosa nei capelli /come facevano le ragazze andaluse o ne porterò una rossa sì e come mi baciò sotto il muro moresco /e io pensavo beh lui ne vale un altro e poi gli chiesi con gli occhi di chiedere ancora sì allora mi chiese se io volevo sì dire di sì mio fior di montagna e per prima cosa gli misi le braccia intorno sì e me lo tirai addosso in modo che mi potesse sentire il petto tutto profumato sì e il suo cuore batteva come impazzito e sì dissi sì voglio sì. 

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Nicola Lagioia, E Molly (ri)creò il mondo, la Repubblica, Robinson, 3 novembre 2024

Quando ho riletto Ulisse non più ventenne, ma da trentenne e quarantenne, i miei favori e il mio affetto hanno cominciato a spostarsi verso Leopold Bloom. «L’uomo medio sensuale » , come l’aveva definito Ezra Pound, cominciò ad apparirmi ben più eroico (e comico) dello spigoloso Stephen ( Dedalus). Cos’è che ho iniziato ad amare in Leopold? La pazienza, certo, ma anche gli appetiti, la capacità di sopportare dolori e frustrazioni, ma anche la curiosità, la composita natura del combustibile che lo fa errare in lungo e in largo per Dublino.
...  La mia esperienza da cinquantenne dell’Ulisse si concentra invece su Molly. (Non posso non trovare singolare che la mia predilezione, nel tempo, si sia mossa in parallelo a come, nello spazio del romanzo, è dato progressivo risalto ai tre personaggi). Nel dormiveglia di Molly tutto precipita nella notte e tutto si ricompone. È lei in definitiva – Penelope, non Ulisse; la Grande Madre più che il figlio ribelle e il padre putativo – la vera narratrice del romanzo. La tela, del resto, ha che fare con la trama.
Non starò ad analizzare i tantissimi momenti prodigiosi del monologo finale, è stato fatto in maniera eccellente e per fortuna incompleta, dal momento che questo libro non è ancora esaurito dalle interpretazioni di tutti quelli che vi si sono avvicendati. Dirò due piccole cose, minuscole intuizioni da sottoporre a verifica, pronte a essere spazzate da letture più illuminanti.
La prima è che, dietro certi pensieri frivoli di Molly, pulsa una coscienza gigantesca, una conoscenza notturna, sotterranea, acquorea, l’anima del mondo di cui il corpo della donna (indistinguibile a un certo punto dal suo pensiero) è la parte per il tutto. Il ventre per tutti i ventri, verrebbe da dire. È qui che il flusso di Molly-Penelope dialoga, ho l’impressione, con almeno tre gigantesche entità. La prima è l’Odissea anteriore a Omero, cioè il racconto orale (e corale) delle gesta di Odisseo, così mobile e vivo, che ha preceduto per secoli la successiva cristallizzazione nel testo scritto. L’intera cifra di Ulisse,la sua polilingua, elettrica e sensuale, che nel monologo di Molly Bloom raggiunge il suo culmine, si può considerare un tentativo di risvegliare-resuscitare – dall’interno dell’umanità, dal nostro inconscio – quel “morto orale” che è la vera vittima di 2500 anni di letteratura scritta. Gli altri due classici del pensiero occidentale a cui James Joyce, attraverso Molly Bloom, dà del tu nel monologo finale mi sembrano ilDe rerum natura di Lucrezio eLe metamorfosi di Ovidio, libri dei mutamenti e dell’eternità. Il mito (come scopriranno per pochi istanti anche l’Ulrich e la Agathe dell’Uomo senza qualità nelle pagine più belle e struggenti del libro di Musil) non possiede una vera origine, un momento ontologico a cui tornare, tutto il contrario, è l’esito di un gioco infinito ed eterno, il frutto di una continua negoziazione tra le forze più belle e perturbanti del cosmo, alle quali la nostra parte migliore può cercare, quando riesce, di accordarsi.
Questo porta alla seconda piccola intuizione su Penelope. Riguarda il « sì » finale. A una lettura superficiale l’avverbio in questione si riduce a una semplice risposta alle richieste di Leopold, addirittura un cedimento. La classica lettura dell’Ulisse legge quel «sì», piuttosto, come una generale accettazione della vita: tutto ciò che non riescono a risolvere prima Stephen e poi Leopold lo scioglie Molly accogliendo la vita con tutto il suo splendore e i suoi drammi, i suoi dolori e i piccoli momenti di gloria. Da qualche tempo a questa parte, quella parola finale a me sembra, però, anche altro, più potente dell’accoglimento di una richiesta, più vasto persino di un’accettazione generalizzata. Quello di Molly, credo oggi, è anche un « sì » generativo. È pronunciando quella sillaba che Molly Bloom genera la storia che abbiamo appena finito di leggere. Senza quel «sì» le complicate e banali e così care vicende di Molly e Leopold e Milly e Boylan e Rudy non si sarebbero mai intrecciate tra loro, così come non si sarebbero incrociati in quel modo, sul far della notte, Leopold e Stephen. È con quel « sì » che Molly crea il mondo.
«In principio era il Verbo» scrive san Giovanni. Bene. Spostare quel Verbo dalla bocca di Dio ai pensieri di una donna stesa nel suo letto al 7 di Eccles Street, a Dublino, è tra i gesti più audaci che uno scrittore abbia mai compiuto, l’uscita (attraverso un libro magico) di noi lettori dall’incubo della narrazione storiografica, proprio mentre la Storia [...]  si preparava ad allestire nuovi incubi.




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