Tommaseo-Bellini, Dizionario della lingua italiana
Antonio Floridia, M5S, la zavorra dei sospetti e l'illusione dell'egemonia
il manifesto, 26 novembre 2024
Le conclusioni dell’assemblea del M5S segnano alcuni punti all’attivo per il partito-movimento, ma lasciano anche aperti molti interrogativi. All’attivo, si può mettere il fatto che, per la prima volta da molti anni, il M5S ha costruito un momento collettivo di partecipazione che ha coinvolto alcune decine di migliaia di militanti. Una premessa necessaria, anche se non sufficiente, per le future battaglie elettorali. Gli interrogativi riguardano altro: è riuscito il M5S a definire la sua identità e la sua collocazione politica? La risposta deve partire da alcuni presupposti: al M5S, per la sua storia e per la cultura politica dei suoi elettori e militanti più fedeli, non si può chiedere di essere, semplicemente, un «partito di sinistra». Si può e si deve chiedere altro: che questa identità e questa collocazione siano chiaramente ancorati ad un rapporto di collaborazione con altre forze democratiche e di sinistra.
È positivo che l’Assemblea abbia votato a favore della possibilità di coalizioni politiche fondate su programmi comuni; ma questo, per così dire, è il minimo: ci mancherebbe altro, verrebbe da dire… Ma non si può, alla lunga, rendere credibili coalizioni e alleanze se queste vengono prospettate su un fondo di sospetti e di diffidenza, quasi di mala voglia, con l’idea di rassicurare i militanti sulla purezza delle proprie azioni.
«Non abbiamo paura di sporcarci le mani!», ha esclamato più volte Conte nel suo discorso conclusivo: ma è proprio questo l’errore di fondo, accreditare l’idea che i necessari compromessi e le necessarie mediazioni siano qualcosa che mette a repentaglio la propria identità. In questo modo, presentando così le cose, non si aiuta nemmeno un processo di maturazione del proprio elettorato: che, stando ai sondaggi, sembra «tenere» sul piano nazionale, ma appare estremamente volatile in tutte le altre elezioni. D’altro canto, anche questa identità appare piuttosto incerta: definirsi «progressisti», e per di più «indipendenti», appare alquanto vago.
Il M5S resta di fatto ancorato al modello del «contratto» (non è il solo, a dire il vero: in questi giorni il partito di Sahra Wagenknecht ne ha appena firmato uno in Turingia, non solo con la Spd ma anche con la Cdu!): può essere una formula efficace, forse, per convincere elettori riluttanti e tendenzialmente isolazionisti; ma allora, bisognerebbe aggiungere chiaramente che, sulla base delle proposte di merito approvate dall’Assemblea (tutte, in varia misura, con un segno politico «di sinistra»), l’unico contratto possibile (non facile e immediato, certo, ma è questione appunto di trattative) è oggi quello con il Pd e l’Alleanza Verdi-Sinistra. Né ci sono oggi i rapporti di forza e le circostanze che resero possibile nel 2019 il «contratto» con la Lega (ma ricordiamolo, fu Renzi a far fallire l’incarico a Fico per un governo con il Pd).
Manca ancora molto alle elezioni politiche, ma già il prossimo anno ci sono importanti elezioni regionali: la credibilità delle alleanze non la si costruisce last minute. Il quadro è oramai chiaro: a destra, per quante tensioni ci possano essere tra i diversi partiti, esiste una forte cornice ideologica che tiene insieme e accomuna, innanzi tutto, gli elettori.
Anche le ultime elezioni regionali confermano che il principale movimento elettorale è quello dall’astensione al voto, o viceversa, con pochi passaggi tra i blocchi. A sinistra, no, non c’è alcuna cornice ideologica comune immediatamente disponibile nella cultura politica degli attori politici e degli elettori. Va costruita, pazientemente, innanzi tutto come difesa dai pericoli a cui questa destra espone la nostra democrazia; ma non basta questa posizione difensiva, occorre saper prospettare una visione che affronti con radicalità e realismo i disastri della società italiana. Per questo, cominciare a stabilizzare la coalizione alternativa alla destra è una premessa necessaria, ma non è compito che si possa rimandare alla vigilia delle prossime elezioni.
Per quanto riguarda il M5S, si potrebbe pensare che una dialettica di emulazione/concorrenza con il Pd sia una strada perseguibile: ma è un gioco pericoloso, è difficile distinguere tra la logica del «marciare divisi per colpire uniti» e quella che invece che poi, alla fine, indebolisce e delegittima l’azione unitaria. Continue fibrillazioni ne minerebbero alla radice la credibilità e l’affidabilità. Il Pd, dal canto suo, deve rinunciare alla sciagurata teoria della «vocazione maggioritaria»: Elly Schlein, meritoriamente, ad ogni piè sospinto, ripete che il Pd non si considera autosufficiente; ma in casa Pd pare che ci siano ancora molti nostalgici.
E allora, diciamolo chiaramente, l’«egemonia» è come il coraggio di Don Abbondio: se uno non la esercita nei fatti, non può pensare di affermarla battendo i pugni sul tavolo o, nel caso del M5S, rinchiudendosi in un atteggiamento diffidente e sospettoso, o inutilmente assertivo («i valori non negoziabili»). Né tanto meno proclamandosi «indipendenti»: se si è sicuri di sé stessi e della propria identità non ci sarebbe bisogno di dirlo e non si guarderebbe alle alleanze come ad un male necessario, ma come ad un positivo strumento per realizzare i propri programmi. E dicendolo. Sarà questa la vera prova di maturità, per il M5S: non l’uccisione del padre-Grillo.
Nessun commento:
Posta un commento