sabato 9 novembre 2024

Il presepe e l'odore del pane

 


Lippo. Questa parola per me è legata al Natale e al presepe. Lippo è il muschio che si trovava qua e là negli angoli umidi, lungo una scalinata, o su un muro al riparo dal sole. In casa si liberava un tavolo che veniva addossato a una parete. Sopra il tavolo si mettevano, per simulare delle montagne, alcuni mucchi di libri disposti a piramide. C’era anche la pianura, o la valle, con un qualche laghetto rimpiazzato da un po’ di carta argentata. Sopra il tavolo e sopra i libri veniva stesa una coperta e il lippo finiva sopra la coperta. Per la notte di Natale si andava in Chiesa, qualcuno suonava l’organo e il sarto Mimì che aveva una bella voce baritonale intonava l'assai leggiadro canto composto da Sant’Alfonso dei Liguori: Tu scendi dalle stelle. Da piccolo ho sempre sentito cantare questo pezzo in italiano. Ho scoperto anni dopo, che in un primo tempo, lo stesso inno aveva una versione napoletana con una melodia in parte diversa: Quanno nascette ninno. E napoletano in sostanza era pure il suo autore, un santo proclamato da Pio XII "celeste patrono di tutti i confessori e moralisti". Senza voler stabilire che carattere avesse Alfonso dei Liguori, il canto aveva tuttavia ed ha un suo andamento soave che lo rende simile ad altri prodotti classici della tradizione napoletana e ne spiega la popolarità successiva: passa per essere la più famosa pastorale natalizia italiana. Per uno scherzo del destino, nel 1961 ha poi fornito la base musicale per una canzoncina estiva degli Hermanos Rigual: Cuando calienta el sol. Con un testo assai lontano dalla atmosfera angelica delle origini: "Cuando calienta el sol aquí en la playa/ Siento tu cuerpo vibrar cerca de mí".

Matra. La matra o mandra era la madia. Era di legno e sembrava costituita da un unico blocco. Aveva un uso limitato, serviva a fare una cosa sola, impastare la farina mescolata con l’acqua. Ogni famiglia aveva la sua. Si usava il lievito naturale, il lievito madre: lo si andava a prendere ogni volta da un’altra famiglia del paese; questo prezioso ingrediente aveva un odore appena percettibile: bisognava mettere la testa sul piatto per avvertirlo. Si faceva l’impasto che veniva lavorato con i pugni, girato e rigirato, nella matra. Questo è un nome dotato di una sua solennità, si discosta di poco dal suono della parola “madre”, mater in latino. Nel ricordo la consistenza dell’oggetto un po’ di perde, mentre forte resta l’impressione legata a un odore. La cottura del pane nel forno a legna emanava un aroma intenso che si diffondeva nell’aria mescolandosi al respiro. Una abitudine diffusa conduce a insistere sulla simbologia, trascurando ogni accenno alla prepotenza delle sensazioni immediate. Quello che colpiva sul momento era l’effluvio persistente che promanava dalla cottura del grano miscelato con il lievito madre. Il caso vuole poi che il verbo “odorare” sia vicino nel suono all’altro verbo “adorare”. Giovanni da piccolo con le sue sorelle recitava una preghiera al Signore che doveva iniziare con le parole “Ti adoro mio Dio”. A lui e alle sue sorelle invece veniva fatto di dire: “Ti odoro mio Dio”, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo. E l’odore del pane appena cotto era un odore naturale, mediterraneo, come quello riscoperto anni dopo della lavanda in Provenza, tanto per dire. Capita ora, nella nostra civiltà consumistica e distratta, di leggere che l'odore del pane appena sfornato produrrebbe una sensazione di felicità. Non è questa la sensazione che mi è rimasta impressa. La cottura del pane, con l'odore che ne derivava, mi comunicava un senso di armonia con il mondo. A cose fatte, dopo tanto tempo, potrei tirare in ballo una sorta di appagamento vicino alla plenitudine. Questo sì, per parlare come Molly Bloom nel famoso monologo finale dell'Ulisse. 

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