Se
La
montagna magica
è un romanzo di formazione, il ruolo degli educatori è tenuto da
due personaggi esemplari, il razionalista Lodovico Settembrini e il
mistagogo Leo Naphta. Quello tra i due è un dialogo ad armi pari.
L'autore del romanzo, Thomas Mann, lascia che ognuno dei due esprima
nel modo migliore possibile il proprio punto di vista. A Settembrini
che dichiara orgoglioso: «Persino Voltaire fu favorevole
alla guerra per la civiltà e consigliò a Federico II la guerra
contro i turchi.» Naphta replica con puntiglio: «Che invece
strinse un’alleanza con loro, eh, eh, eh. Che dire poi della
repubblica universale? Rinuncio a informarmi dove vada a finire il
principio del moto e della ribellione una volta che siano instaurate
la felicità e l’unione. In quel momento la ribellione sarebbe un
delitto…» Alla fine Naphta si suicida e lascia libero il campo al
suo antagonista Settembrini verso il quale Thomas Mann non si mostra
sempre generoso: l'umanista italiano a volte si rivela senza volere
molto superficiale e ottuso, prestando il fianco alle obiezioni feroci di chi non è disposto a perdonargli nulla.
Nella
seconda
metà
del romanzo, gli interrogativi rimasti in sospeso trovano una
risposta. Il
personaggio centrale, Hans
Castorp, decide di fare un’escursione sugli sci, sulle piste
innevate intorno al sanatorio. Colto da una violenta quanto
brevissima bufera, si perde in mezzo alla neve e ai boschi. Intorno a
lui l’ombra delle montagne aumenta. È pomeriggio inoltrato e se
non riesce a tornare prima che faccia buio, la sua situazione diventa
pericolosa. La tempesta si placa e lui trova rifugio dietro un
capanno chiuso, nel quale non può entrare, ma che lo ripara dal
vento. In preda alla stanchezza si assopisce, in piedi, sugli sci,
appoggiato al muro del capanno. Un sonno profondo lo avvolge e si
ritrova a sognare. È un sogno vivido, come fosse la realtà. È su
una bellissima spiaggia di sabbia bianca, evidentemente è una delle
isole greche. Intorno a lui bellissime giovinette e bellissimi
giovani, conversano, giocano, si amano. È un quadro di pace e
serenità senza uguali. Tutto è perfetto, la luce meravigliosa del
sole illumina un momento di eternità. È un momento assoluto, di
felicità completa. Hans cammina su quella spiaggia meravigliosa e si
dirige verso un tempio lontano, mentre le ombre della sera calano.
All’interno del tempio ci sono delle donne. Castorp si avvicina in
preda a una strana inquietudine. Capisce che sta per assistere a
qualcosa che è l’origine della pace meravigliosa che ha visto su
quella spiaggia. Le donne si girano verso di lui e sono vecchie,
rugose, con i seni grinzosi e penduli, delle orribili megere. Le
vecchie sono intente a dilaniare
un bimbo piccolo.
Castorp intuisce con raccapriccio che qualsiasi promessa di armonia,
nasconde dietro sé, nel profondo, sepolta in modo che nessuno possa
vedere, un atto di violenza terribile. In preda all’angoscia, Hans
schiude
le palpebre, ma non si risveglia del tutto, in qualche modo seguita a
sognare. Traccia un bilancio delle sue esperienze più recenti: “Mi
sono perduto con Naphta e Settembrini, su montagne pericolosissime.
So tutto del genere umano”. Cerca
allora di dare un senso alle scene di cui è appena stato spettatore:
“Il mio sogno rappresentava la condizione dell’uomo, quella della
sua affabile, assennata comunità, dietro alla quale, nel tempio, ha
ha luogo l’atroce banchetto di sangue. Erano forse quelle solari
creature così cortesi e deliziose le une con le altre proprio nella
tacita prospettiva di quell’orrore? La conclusione che ne
trarrebbero sarebbe davvero fine e galante! Nel profondo della mia
anima desidero stare dalla loro parte, non con Naphta… e nemmeno
con Settembrini, tanto entrambi sono solo dei chiacchieroni”. La
riflessione si sposta sul
tema della morte: “Voglio essere buono. Non intendo concedere alla
morte il dominio sui miei pensieri! Poiché in questo e in
nient’altro consistono la bontà e l’amore fra gli uomini. La
morte è una grande potenza”. Poco oltre nel testo lo stesso
discorso è riassunto in un’unica formula: "In
nome della bontà
ed dell'amore
l'uomo non deve concedere alla morte il
dominio sui
suoi
pensieri” (corsivo
nel testo).
Alla
fin fine Hans Castorp si sbarazza dei suoi due tutori spirituali. La distanza che lo separa da Naphta è maggiore di quella che
intercorre fra lui e Settembrini. Resta il rifiuto per entrambi i presunti maestri. Facendo appello alla bontà e all’amore, il
protagonista del romanzo mostra la sua determinazione nel voler
seguire una strada diversa, improntata alla tolleranza e all’amore
per il prossimo.
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