... Il caso di Maga [Make America Great Again = pretesa di grandezza] più tragico e terribile, prima di tutto per gli altri, ma quasi sicuramente anche per la stessa Russia, è quello si sta sviluppando da circa vent’anni in una Mosca educata già ai tempi sovietici al culto della conquista di Berlino, Varsavia e Praga. Pur essendo dovuto a cause essenzialmente interne (ricordiamo che agli inizi degli anni Ottanta del Novecento l’attesa di vita dei maschi sovietici era di circa 15 anni inferiore a quella occidentale, e gli aborti superavano di diverse volte le nascite), il tracollo dell’Urss, infinitamente più drammatico del lento declino europeo e di quello relativo statunitense, ha nutrito il violento, velenoso e irrealistico desiderio di fare la Russia di nuovo grande di Vladimir Putin, anticipato in sedicesimo, e con differenze importanti, da quello del serbo Miloševic. Al di là delle strade aggressive e omicide da esso imboccate e delle sofferenze umane che ha già provocato (ricordiamo che la sola aggressione all’Ucraina ha fatto sinora circa un milione tra morti e feriti), il tentativo di rifare un “mondo russo” stride con il peso tecnologico e demografico di una Russia che ha un decimo della popolazione indiana o cinese e produce semilavorati e materie prime. Quel tentativo ha quindi tratti anche grotteschi, come lo furono quelli di altri nazionalismi dalle ambizioni smisurate (tra cui il nostro), ma non per questo meno tragici per gli altri, ceceni, georgiani e ucraini prima di tutti, ma anche noi europei e gli stessi russi. Diversi fattori rendono tuttavia difficile che il prezzo che Mosca sarà prima o poi chiamata a pagare venga presto esatto. Vi si oppongono l’arsenale nucleare russo, rafforzato nel 1993 dalla decisione di far consegnare a Mosca gli arsenali atomici ucraino e kazaco presa in una Washington che ragionava ancora, comprensibilmente ma ingenuamente, in termini bipolari, un arsenale la cui presenza basta a “calmierare” il sostegno militare statunitense e europeo all’Ucraina; l’appoggio cinese a Putin, a sua volta alimentato dalla attraente e realistica prospettiva di sottrarre al vecchio Occidente le straordinarie risorse naturali russe; e infine i proventi di queste stesse straordinarie risorse, soprattutto ma non solo energetiche, che rendono possibile alla Russia affrontare scosse economiche e sociali che scuoterebbero altri paesi.
Ma sono oggi all’opera nel mondo anche altri Maga, prima di tutto quello cinese e quello indiano che guardano a passati più lontani di quello della “grande” Europa padrona del pianeta, ma altrettanto gloriosi del suo. Malgrado le notevoli differenze che li separano, si tratta infatti degli altri due principali “fuochi” della civiltà umana (quello del Medio oriente è un caso più complesso e comunque legato al Mediterraneo e all’Europa). E se la Cina di Xi Jinping pensa di poter tornare a occupare il centro del mondo, una posizione che ritiene ingiustamente strappatagli dal mondo bianco nel XIX secolo, l’India prima che a una rivalsa su un “Occidente” che sa avergli dato molto oltre che imposto un pesante fardello, pensa prima di tutto a quella sui musulmani che la sottomisero secoli prima dell’arrivo degli europei.
L’ascesa di questi due nuovi giganti, che contano circa un miliardo e mezzo di abitanti ciascuno (anche se l’ex Raj britannico potrebbe essere coinvolto da nuove “partizioni” dopo quelle che hanno portano al distacco della Birmania, del Pakistan e infine del Bangladesh), ha fatto emergere con nettezza la forte, ancorché banale verità di quella che si potrebbe chiamare la “legge di Charles Henry Pearson”. Uno dei più acuti analisti britannici di fine XIX secolo, questi vide già allora con chiarezza che in un mondo dove istruzione, conoscenze e competenze si diffondevano in modo grosso modo uniforme, non c’era in futuro spazio per il dominio di piccoli paesi, come quelli europei, che dovevano la loro posizione al monopolio sulla rivoluzione scientifico-tecnologica.
E’ quindi lecito chiedersi cosa vuol dire oggi questo per la nostra Europa continentale “napoleonica”– che a questo è ridotta, speriamo non per sempre, l’Unione europea dopo aver perso Londra e Mosca. Per essa e i paesi che la compongono è difficile sognare e perseguire un ritorno alla grandezza perché il continente nel suo insieme e i suoi stati presi singolarmente vengono tutti, Francia compresa, da un secolo di sconfitte, certo mitigate dai “miracoli” del secondo dopoguerra. Tutte o quasi le loro capitali sono state occupate da uno o due eserciti invasori e la decolonizzazione ha poi fatto giustizia di un plurisecolare dominio sul mondo. Il fenomeno ha quindi preso finora fattezze peculiari: in Italia, per esempio, quelle innovatrici del Berlusconi che prometteva un nuovo, grande miracolo italiano. Ma, anche a voler escludere un Maga tedesco, che è difficile augurarsi, un grande passato chiuso da grandi sconfitte può anche nutrire stagioni di chiusura e depressione altrettanto autolesioniste, ancorché meno aggressive, dei tentativi di tornare potenti.
Vedere e accettare la realtà, cioè vivere al meglio per come si è, aprendosi al mondo e al futuro è l’unica risposta sensata, e proporre di diventare saggiamente “vecchi” non è la soluzione giusta, perché le popolazioni (un termine che preferisco a popoli) europee, e non solo loro, non sono super-individui con una sola età ma aggregati formati da milioni di persone diverse, tra cui oggi molti vecchi ma anche tanti giovani che hanno il diritto di essere e sentirsi tali. Piuttosto, nel mondo intravisto a fine XIX secolo da Pearson e che oggi è sotto i nostri occhi, un’Unione europea capace di farsi più stato è l’unica ragionevole priorità, che tutti sono in grado di capire, fosse solo per evidenti ragioni di scala e per i pericoli che si corrono a navigare su piccoli vascelli un mare popolato da giganti. La sua costruzione, anche ma non solo in campo militare, è quindi la vera, seria sfida per una rinascita lontana dai velenosi desideri di tornare grandi. Non è detto ci si riesca, perché farlo è molto più difficile che capirlo, e naturalmente, per tornare da dove abbiamo cominciato, un’eventuale vittoria di Trump renderebbe la cosa certo più urgente, ma ancora più difficile. Ma sarebbe fondamentale almeno provarci.
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