Valerio Cappelli, "Lenù mi ha cambiata", Corriere della Sera, 26 ottobre 2024
ROMA Ci sono ruoli che possono cambiare una persona, e questo è successo ora ad Alba Rohrwacher. Dalla primavera dell’adolescenza all’autunno della vita adulta, si conclude forse la serie tv più celebre. Un viaggio dentro la scrittura di Elena Ferrante, misterioso come l’identità della sua autrice. L’amica geniale arriva all’epilogo in modo epico ma con passo naturale, poggiata sul fluire delle cose. La quarta serie, tratta da Storia della bambina perduta, in dieci episodi su cinque serate, va dall’11 novembre su Rai1, e ora in anteprima alla Festa del cinema.
La nuova regista è Laura Bispuri che pur mantenendo il suo stile fatto di dettagli impressionisti entra «in punta di piedi, al servizio della serie, nelle relazioni vere, sincere, autentiche tra i personaggi». La vita adulta, dagli anni 80 a oggi, impone un nuovo cast. Irene Maiorino è Lila, Elena (Lenù) è Alba Rohrwacher, e il suo amante Nino, «uomo ridicolo con patologie narcisiste», ambiguo come Jago benché con minore evidenza diabolica, è Fabrizio Gifuni.
Alba, la sua Elena antepone alle figlie la necessità di avere accanto l’uomo che ama.
«È una scelta difficile, scomoda, soprattutto in un’epoca poco conforme al ruolo che una donna doveva rivestire in famiglia. Questo era uno degli aspetti più interessanti da portare in scena. Dall’altra parte si parla di emancipazione femminile e di una donna autonoma e indipendente che si infila in una relazione tossica. È piena di sfaccettature, si tratta di riuscire a far coincidere i suoi ideali femministi con la vita che ha scelto».
Cosa chiederebbe a Elena Ferrante?
«Non lo so, perché è come se lei mi abbia detto tutto. La sua scrittura, attraverso personaggi sbagliati, pericolosi, che inciampano e si rialzano, portano a riflettere su noi stessi. Lei ha questo potere di farci guardare dentro. Ma posso dire che l’ho sognata. Io entravo in una casa sconosciuta e c’era una donna semi nascosta che dietro una libreria mi guardava. Era lei. Osservando me, mi oltrepassava guardando dietro una finestra. Allora io mi giravo e vedevo casa mia. Sì, i suoi libri ci portano a guardare dentro di noi».
Questa serie è stato lungo viaggio per lei.
«È cominciato sei anni fa, come voce narrante. Non mi capiterà mai più di conoscere in modo così assoluto un personaggio, e di portarmelo nella vita. L’incontro tra la mia voce e il mio volto è stato liberatorio. Lenù mi ha cambiata. Da lei ho imparato la capacità di stare senza agire, di registrare quello che mi succede intorno senza intervenire. Ho imparato l’acquiescenza, la morbidezza anche negli scatti di rabbia. Sono profondamente grata agli sceneggiatori, Francesco Piccolo, Laura Paolucci, Saverio Costanzo, e a Elena Ferrante, lo spirito guida che ci ha permesso di ritrovare la strada, capace di intercettare l’archetipo dell’amicizia in cui tutto il mondo si riconosce».
Alcuni episodi li diresse sua sorella Alice. Quale suo lato le piacerebbe che Alice raccontasse?
«In realtà mi piacerebbe interpretare lei stessa, Alice; o che magari mi mettesse in una commedia, che frequento poco. La nostra sorellanza è un legame d’amore».
E la sua amica del cuore, la sua Lila, chi è stata?
«Nei primi anni, quando abitavo in campagna, ho avuto un modello estremo, una ragazza che ha bruciato tutte le tappe, molto diversa da me, anche lei non veniva da quel paese. Nell’adolescenza il cinema era lontano da me, ricordo da bambina mio padre che guardava Novecento di Bertolucci in tv. Ero troppo piccola per capire, ma avvertivo la fascinazione, ero turbata dal fascista Attila impersonato da Donald Sutherland: entrava nel mio inconscio, lo sognavo la notte; poi ricordo il bambino con le rane sul cappello; la natura, quel mondo contadino per me erano casa. Poi ci fu la scoperta di E.T. La campagna è il luogo da cui sono scappata e ora cerco di tornare, come fa Elena con Napoli, è uno dei pochi luoghi dove sono in pace».
Alba, cos’ha davvero in comune con Elena-Lenù?
«Con le dovute distanze, io ho sempre saputo del mio istinto ad andarmene. Ho fatto quello che ha fatto lei. Ha preso le distanze dal suo rione, ha ripulito il suo dialetto, ha tagliato i ponti con tutti. E tornando al rione riesce a scrivere il suo libro. Si inverte l’equilibro tra lei e Lila, che la poneva in avvisaglia sui suoi errori e ora invece Lila scoprirà un lato di fragilità che la sgretolerà. Ho cercato di dare continuità al lavoro di Margherita Mazzucco che era Lenù da piccola, mi ha dato una mano nella fase di ricerca e anche nel modo di parlare di Elena, avendo poi la possibilità di staccarmi, perché l’età è diversa».
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