Giulia Pompili, Dopo "Parasite", il Nobel a Han Kang è la rivoluzione delle arti coreane,
Il Foglio, 11 novembre 2024
Ieri la popolarissima scrittrice sudcoreana Han Kang, nel giro di pochi minuti, ha fatto collassare i siti delle librerie online per il gran numero di ordini. Secondo l’accademia svedese che assegna il premio, Han è stata premiata “per la sua intensa prosa poetica che affronta i traumi storici ed espone la fragilità della vita umana”. Nata nel 1970 a Gwangju, figlia di un altro celebre romanziere sudcoreano, Han Seung-won, Han Kang ha raggiunto il successo globale attorno al 2016, quando il suo romanzo “La Vegetariana”, nella sua traduzione in inglese, ha vinto il Man Booker prize britannico. Ed è “La Vegetariana”, in effetti, il suo romanzo più universale – una scrittura creativa e poetica, dicono i critici, che descrive i punti di vista diversi di chi assiste alla trasformazione di una donna che, all’improvviso, decide di smettere di mangiare la carne – ma tutta la sua produzione è anche e soprattutto profondamente coreana.
Fra le economie sviluppate, la Corea del sud è uno dei paesi dove le diseguaglianze sociali sono più accentuate, e soprattutto lo è il rapporto fra uomini e donne: in questo contesto, da anni Han Kang è una voce del femminismo meno radicale (che in Corea del sud è sinonimo di violenza e parolacce) ma più radicato e significativo. E’ la donna che afferma la sua identità decidendo cosa mangiare – provate voi a essere vegetariani in Corea del sud – oppure rielaborando il dolore e ritrovando l’ascolto e la parola nella ritualità delle lezioni di greco. Proprio “Lezioni di greco” è il suo ultimo romanzo, pubblicato a novembre scorso per Adelphi, come tutti gli altri romanzi di Han Kang in Italia tradotti dal coreano dall’eccellente Lia Iovenitti. E poi c’è “Atti Umani”, uscito nel 2014: il racconto del massacro di Gwangju del 1980, la Piazza Tienanmen dei coreani, che per un lunghissimo periodo di tempo è stato un argomento tabù tra i conservatori nazionalisti sudcoreani. È anche per questo che la presidente Park Geun-hye, poi deposta dopo un processo d’impeachment, aveva inserito Han Kang in una lista di proscrizione di autori e scrittori che non potevano lavorare col governo, dovevano essere silenziati, cancellati. Adesso molto è cambiato, anche grazie al successo internazionale di tutto ciò che è coreano ma anche per via di una produzione intensa e profonda (e universale) che viene dalla Corea del sud, com’è accaduto nel 2020 con l’Oscar per miglior film a “Parasite” di Bong Joon-ho.
Il Nobel ad Han Kang per la Corea del sud è poi una questione di orgoglio nazionale, avendo vinto soltanto due premi Nobel nella storia – nel 1987 il premio Nobel per la Chimica assegnato a Charles J. Pedersen, che però era nato a Busan nel 1904, durante l’occupazione giapponese, e dunque per la maggior parte dei coreani non conta, e quello per la Pace assegnato nel 2000 al presidente Kim Dae-jung per i suoi sforzi sulla riconciliazione fra Corea del sud e Corea del nord. Ieri molti sottolineavano che nella competizione fra l’anziano e molestatore poeta Ko Un e la femminista Han Kang ha vinto quest’ultima, a sorpresa: un segnale significativo per le donne coreane, e non solo.
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Why Han Kang won the Nobel Prize in Literature - New Statesman
... Han’s novel Human Acts, published in English in 2016, is a gruesome retelling of the aftermath of the 1980 South Korean military dictatorship’s violent suppression of student protesters in Gwangju. The White Book, an autobiographical novel about the author’s sister, who died two hours after she was born, is similarly graphic. Han has acknowledged the cruelty in her work: “The broad spectrum of humanity, which runs from the sublime to the brutal, has for me been like a difficult homework problem ever since I was a child,” she said in an interview in 2016. “You could say that my books are variations on this theme of human violence.”
Yet readers – and the Nobel committee – find profundity in Han’s writing. The novelist Deborah Levy told the New Statesman: “A truly luminous Nobel winner, Han Kang is the deepest and lightest of writers. Her crystalline, modernist prose is acutely beautiful and profound. If I had to conjure an image for her writing, it would be something like a vigilant swan sitting in the middle of a societal emergency. Han Kang is not a purveyor of baggy realism, but she does real pain, real human relations; sometimes she even reaches for transcendence and gets somewhere close.”
Fortunately, anglophone readers don’t have to wait long for further opportunity to experience Han Kang’s work. In February 2025 Hamish Hamilton will publish We Do Not Part, which explores the long shadow of the 1948 uprising and massacre on South Korea’s Jeju island: another tale of the present-day impact of historic violence.
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