Mimmo Grasso
Madonna dell'Arco e delle grazie: un racconto
il manifesto Alias, 10 agosto 2025
Sto nel chiostro del santuario della Madonna dell’Arco, nel comune vesuviano di Sant’Anastasia. «Anastasia» è «la risorta», che libera dai veleni, che intercede per la salute. È, altresì, una santa venerata dagli ortodossi e dai paesi dell’Est, portata qui dalle truppe bizantine di Narsete, generale di Giustiniano.
Nel santuario ha sede un importante Centro Studi di Religiosità Popolare. Questo il sottofondo, l’aura del territorio. È una giornata in cui lo scirocco trascina via dagli alberi l’arancione delle albicocche, il viola delle prugne, il rosso delle ciliegie, l’afrore delle viti. Mi accoglie Mimmo Granata che, col priore dei domenicani, Giampaolo Pagano, ha riorganizzato il museo degli ex voto e curato il volume I miracoli della Madonna dell’Arco (TURISA editrice, 2025).
Sono venuto qui per vedere questo libro di cui mi ha parlato Maddalena Venuso, creatrice del «Museo multimediale dell’acqua» (un miracolo, in questa zona di «lagni» dove scorreva il fiume scomparso di Napoli, il Sebbeto). Mentre mi informava, ho sentito frenesìa nei piedi; ho poi aperto il baule dove conservo, bianca-azzurra-rossa, la mia divisa da fuiente e, obbediente a un richiamo, l’ho indossata, ho percosso il tammurro e ho «dato la voce». Ed eccomi qui, fuiente solitario e imbambolato, pronto ad entrare nell’illo tempore del sacro. I fuiente sono pellegrini che, scalzi e di corsa, il lunedì in albis, in molte migliaia, da tutta la Campania si concentrano davanti alla chiesa dell’Arco ed eseguono riti millenari.
Le famiglie consacrano al ruolo di fuiente i propri figli fin da piccoli, li addestrano su come innalzare i labari al suono della tromba, come dondolare a passi avanti-indietro sotto pesanti altari di legno con l’effigie della Madonna tra file lunghissime di devoti con corone di fiori.
L’occhio esperto dei «capiparanza» giudica la fattura dei grandi stendardi. Mentre cammino per il museo, medito su un altro miracolo: ne Il tramonto dell’Occidente (Galimberti) si valuta come la tecnica, che non ha altro scopo che quello di funzionare sempre di più e meglio, ha assoggettato economia e politica; a Napoli persistono aree di valori collettivi e condivisi, gratuiti (la Grazia), che ti consentono di intercettare l’umano, il naturale, la «vita nuda» (Agamben) e, anzi, denudata, originata dal seme del grido di quando si nasce e che qui si trasforma in rami e foglie, canti a distesa.
Della Madonna dell’Arco (Napoli è fitta di archi e pensando all’arcobaleno si fa la cosa giusta) si sono interessati, con spirito di umiltà, Giovanni Paolo II e Papa Francesco. «Dare la voce» significa consegnarla fisicamente alla Vergine. Entrato nella galleria delle circa 6.000 tavolette votive ho pensato al fantastico di Borges ed ho avvertito un brusìo, un tremore sul pavimento, un m’m come se le preghiere cadessero per terra. Mi sono dovuto appoggiare a Mimmo. Gli antropologi hanno definito questo luogo come «santuario del dolore». Ogni ex voto reca la sigla VFGA (Voto Fatto Grazia Avuta).
Le origini di questo culto, le sue pratiche neuromotorie, sono riferibili al dionisismo un cui residuo è rintracciabile anche nel comune di Somma Vesuviana, durante la «festa delle pertiche». I pellegrini «entrano» in una trance, anche autoindotta, teatrale – ma ricordiamo che l’evento è fondamentalmente una festa – indagata da Lapassade e Rouget, ed è il momento in cui possono esibire e liberare il dolore, l’indigenza, la fatica, l’ossessione, sottoporsi talvolta a un esorcismo collettivo, anche sessuale come nell’ex voto di una donna che «sputa il rospo», «butta fuori il veleno». Le classi sociali dei devoti sono da anni diversificate ma il nucleo originario è costituito dai paria, quelli coi piedi impolverati, come in India, un sottoproletariato estremo che lotta corpo a corpo col proprio corpo, che si aggrappa ondeggiando alla balaustra dell’altare come a un salvagente. Fuori, decine di tammurrari eseguono in cerchio canti per la Grande Madre e danze che ricordano la pirrica greca (danza del fuoco).
Qui il divino è semplice, accessibile, tradizionale. Perché il riferimento all’India? nel ’500- 600 i gesuiti decisero di far addestrare nel Sud Italia, Las Indias de por acà, i novizi da inviare poi nelle Indias de por allà (Asia, America latina). La documentazione su magia e religione nel Sud è cospicua e riguarda anche pratiche bestiali come la «fanorchia» dei pastori calabresi. Il comportamento era recidivo tant’è che Sant’Alfonso creò, duecento anni dopo i gesuiti, la Congregazione dei Redentoristi con la missione di evangelizzare i selvatici. Il fenomeno non riguardava solo il Sud Italia.
Negli archivi dell’Inquisizione del Nord sono custoditi gli atti sui processi nei confronti dei «benandanti», guaritori, stregoni, custodi delle messi, studiati da Carlo Ginzburg (Storia notturna). Gli ex voto, ospitati anche alla Biennale di Venezia, riguardano sempre un pericolo scampato, il sentirsi «risorti», la sofferenza fisica per un’esistenza tenuta insieme con lo sputo, agita-agitata da sentimenti «irrevocabili» in cui si incontrano il corpo e la storia (Foucault), incontro codificato da una scenografia standard e da uno stile orale, dialettale: l’ammalato sul letto, i parenti in ginocchio (per lo più donne), il quadro della Madonna in alto, il mare con navigli periclitanti, coltelli a serramanico che hanno abbandonato la violenza, siringhe di ex tossici, memento di guerra. I nobili partecipavano, in forma anonima, con paramenti sacri e gioielli.
La più alta elaborazione formale della misericordia partenopea è di Caravaggio (Le sette opere di misericordia corporale) il cui schema (in alto la Madonna Incoronata e trasportata da angeli, in basso l’usta del corpo, il suo squarquoio) è quello di questi quadretti in cui la Regina abbassa lo sguardo, clemente, verso la fragilità del fedele ed è a questo sguardo che si dice «grazie». Le associazioni della Madonna dell’Arco a Napoli sono numerose e non c’è segno di pietà più grande che collocare nelle edicole votive, tra le fiamme del purgatorio, le foto dei parenti morti. Mimmo mi sussurra: «Il bene più prezioso di una persona è destinato a diventare ex voto». Obbedisco. Ecco il mio: «Signora dei cimbali e degli archi, ti porto come ex voto il mio silenzio – VFGA».