Contro l’eutanasia democratica
Strappi autoritari Tre sono i modi per instaurare un regime autoritario. Uno è il colpo di stato militare. Un secondo modo sono i colpi di stato compiuti da milizie private. Il terzo modo è l’eutanasia democratica
Alfio
Mastropaolo
il manifesto, 3 giugno 2025
Tre sono i modi per instaurare un regime autoritario. Uno è il colpo di stato militare. In Europa gli esempi sono il franchismo e i colonnelli greci. Un secondo modo sono i colpi di stato compiuti da milizie private. Come nel caso del fascismo e del nazismo, peraltro instaurati entrambi con la complicità di autorità legittime. Il terzo modo è l’eutanasia democratica, compiuta da governi instaurati nel rispetto delle procedure democratiche.
E la tecnica oggidì preferita: l’autoritarismo interviene in un momento successivo. Vinte le elezioni, si riscrive legalmente il perimetro della legalità democratica. Due esempi prossimi sono il regime di Orbàn in Ungheria e in Turchia quello di Erdogan. La tradizione di pluralismo democratico di quei paesi era fragile e l’eutanasia democratica ha suscitato scandalo, ma non allarme. Ne suscita invece il ritorno di Trump e il suo operato. Vi sono ottime ragioni per temere che l’Italia a guida Meloni se ne senta incoraggiata e voglia insistere nel suo progetto di eutanasia, del resto già ampiamente avviato.
I fattori che hanno predisposto la democrazia italiana a questo rischio sono tanti e di lunga lena. Da ultimo le tattiche elettorali dei partiti democratici. Il rifiuto nel 2023 anche solo di un’intesa tecnica tra le formazioni “non di destra” ha consegnato il governo a una destra reazionaria che solo qualche studioso o miope, o simpatetico, può considerare democratica. Basta osservarne le matrici culturali (merita la lettura il bel libro di S. Forti, Estrema destra 2.0, Castelvecchi, 2025).
E evidente che le componenti sedicenti liberali stanno lì solo quali garanti presso il Partito popolare europeo che pure di suo è molto accomodante. L’errore tattico è stato così clamoroso da alimentare il sospetto che qualcuno abbia preferito il successo della destra ai compromessi minimali richiesti da un’intesa tecnica.
Tra patetiche esibizioni di nazionalservilismo prono agli amici americani – come la dissociazione dalla timida condanna di gran parte dei paesi Ue del genocidio di Gaza – gli strappi autoritari si susseguono.
Dal respingimento dei migranti alla provocatoria gestione dell’ordine pubblico, alla guerra ai poveri e al lavoro dipendente a colpi di tagli al welfare e condoni fiscali. Vi rientra la devastazione, anzitutto culturale, cui il ministro Valditara sottopone il sistema d’istruzione. Le nuove norme sulla sicurezza si sommano al tentativo di sottomettere il potere giudiziario, alla progettata neutralizzazione della Corte dei conti, alla sistemazione di figure compiacenti in tutte le istituzioni, anche tecniche. Per coronare il progetto è aperto il cantiere del premierato e della riforma delle leggi elettorali, nazionali e locali.
Inutile girarci intorno. I partiti d’opposizione per primi dovrebbero intendere l’urgenza di vanificare questo disegno, trovando la forza, anzitutto morale, di mettere in via provvisoria a tacere i loro fisiologici contrasti e di coalizzarsi a difesa del regime democratico. La loro in parlamento è una posizione di minoranza e di grave debolezza. Ma la politica non si riduce all’azione parlamentare.
Sarebbe sacrosanta una dichiarazione congiunta che da subito annunci che, ove fosse unilateralmente modificata la legislazione elettorale e si adottasse il premierato, le opposizioni costituirebbero uno schieramento unitario. Sarebbe un modo per costringere la maggioranza a desistere, o a negoziare, o comunque per ostacolare una vittoria elettorale altrimenti inevitabile. La destra non era maggioranza tra i votanti nel 2023. Non lo è neanche adesso e tutte le sue possibilità di successo si fondano sulle divisioni delle opposizioni.
Sarebbe anche un modo per rendere il paese più consapevole dell’emergenza in cui versa il regime democratico. L’azione delle forze politiche d’opposizione, magari affiancate dai sindacati, non sarà tuttavia sufficiente. Servirà l’azione dei cittadini, che, in linea di principio, dovrebbero essere loro i protagonisti dell’autodifesa democratica. Oltre a votare – se possibile, ai prossimi referendum – possono far altro. La democrazia deve essere pacifica, ma va costantemente difesa con armi pacifiche.
Molte delle nuove norme sulla sicurezza sono intese ad alzare il costo della protesta o a impedirla. Bisogna trovare nuovi modi per condurla. Senza violenze e senza provocazioni superflue. A parte offrire il destro alla brutalità delle forze dell’ordine e intasare i tribunali, ogni spintone e ogni bandiera bruciata sono un regalo alla destra. L’elettorato invecchia, per varie ragioni gli anziani sono più assidui alle urne dei giovani e tra loro l’allarmismo sicuritario della destra trova terreno fertile.
Ma non c’è solo la piazza. Sono tecniche di resistenza pacifica – da studiare con cura – la disobbedienza civile, la controinformazione, il cielo sa se ce n’è bisogno, i boicottaggi, i flash mob, lo sciopero dei consumi. Anche i lenzuoli ai balconi possono restare appesi anche per lungo tempo.
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