sabato 28 giugno 2025

Le stragi del pane a Gaza


La “strategia del pane” fa un’altra strage. Fuoco degli israeliani, 27 palestinesi uccisi

Youssef Hassan Holgado, Domani, 3 giugno 2025 

Rafah è diventata una trappola di morte. In solo una settimana nei pressi dei centri di distribuzione costruiti da Israele e gestiti dalla Gaza humanitarian foundation (Ghf) sono stati uccisi oltre 102 palestinesi e feriti altri 490. L’ultimo attacco dell’Idf contro la folla di persone affamata è avvenuto ieri: 27 le persone uccise (58 in tutta la Striscia).

Abdul Rahman Zeidan, 17 anni, è tornato dal centro di distribuzione a mani vuote e senza madre. Uccisa con un colpo da cecchino alla testa. Zeidan racconta di aver visto scene caotiche: gas lacrimogeni lanciati contro i civili, uso di laser accecanti, e poi gli attacchi con droni, veicoli militari e i cecchini. La madre sarebbe stata uccisa con un colpo alla testa.

«È necessario che venga avviata un'indagine tempestiva e imparziale su ciascuno di questi attacchi e che i responsabili siano chiamati a risponderne. Gli attacchi diretti contro i civili costituiscono una grave violazione del diritto internazionale e un crimine di guerra», ha detto il portavoce Onu Jeremy Laurence. Di fronte alle immagini provenienti da Gaza, la presidente del parlamento europeo, Roberta Metsola, ha detto che sono «è in corso una revisione dell'Accordo di associazione» tra Israele e Ue. La Spagna ieri ha messo al bando l’import delle armi a tecnologia israeliana.

Se nei giorni scorsi l’esercito israeliano ha negato un suo coinvolgimento, questa volta conferma. «I colpi di avvertimento sono stati sparati a circa mezzo chilometro di distanza dal sito di distribuzione degli aiuti umanitari contro diversi sospetti che si stavano avvicinando alle truppe in modo tale da rappresentare una minaccia per loro», fanno sapere dall’esercito.

Non è chiaro di cosa siano sospettati i civili uccisi mentre erano alla ricerca di cibo. In ogni caso, le dichiarazioni dell’Idf sono in contrasto con le dichiarazioni della Ghf, secondo cui gli aiuti umanitari sono stati distribuiti senza incidenti. Nell’arco dell’ultima settimana la fondazione americana ha sempre minimizzato episodi simili, è accaduto anche lo scorso primo giugno di fronte a un altro massacro di civili a un chilometro di distanza dal centro da loro gestito.

Non dovrebbe sorprendere però. La Ghf non è un ente neutrale, è di carattere privato e ha tutto l’obiettivo di tutelare i propri interessi economici oltre che la sua immagine. Anche per questo il piano varato da Israele è stato criticato dall’Onu. E dopo le dimissioni del ceo, Jake Wood, anche la società di consulenza di Boston che segue la fondazione ha rescisso il contratto. Al posto di Wood è subentrato Johnnie Moore, leader interreligioso evangelico statunitense.

Le ragioni del fallimento


Ciò a cui stiamo assistendo è il risultato del folle piano varato dal governo israeliano di concerto con quello statunitense, silente di fronte a ciò che sta accadendo a Gaza. Un risultato che era prevedibile per una serie di ragioni. La prima è semplice: ammassare 2 milioni di persone in soli 4 centri di distribuzione di aiuti, per forza di cose, causa affollamenti di massa e una gestione caotica delle consegne. Prima i viveri venivano consegnati sotto l’ombrello delle Nazioni Unite da organizzazioni internazionali e ong attraverso circa 400 punti divisi in tutta la Striscia.

La seconda ragione riguarda la militarizzazione della distribuzione. Avere dei contractor privati armati al pari dei soldati dell’esercito israeliano a controllare gli hub, aumenta la probabilità di episodi simili. «Chiunque imbracci armi in un conflitto, anche un contractor, deve sottostare ai principi fondamentali della condotta delle ostilità. E tra questi c’è l’obbligo che il civile non va colpito a meno che non partecipi direttamente alle ostilità», spiega a Domani Andrea Spagnolo, professore associato di diritto internazionale all’università di Torino. E anche i contractors, così come i soldati regolari, spiega, possono essere ritenuti responsabili di eventuali crimini. Per il momento non ci sono prove che anche loro abbiano sparato sui civili. Intanto il Canada sta indagando su diversi soldati israeliani dalla doppia cittadinanza per potenziali crimini di guerra commessi a Gaza. Il piano umanitario di Israele è studiato a tavolino. L’impatto sanguinario era preventivabile. Così come il suo obiettivo mediatico, volto a rafforzare una narrazione disumanizzante dei palestinesi già in corso negli ultimi 19 mesi.

La disperazione per la ricerca del cibo, la “lotta fratricida” per accaparrarsi un pacco alimentare, la corsa chilometrica per arrivare primi al centro di aiuti, la derisione e l’umiliazione inflitta dai contractors armati e coperti fino ai denti. E poi ancora le immagini di bambini che raschiano i pentoloni fino all’ultima briciola, le loro braccia tese in lacrime che supplicano cibo. C’è chi pensa che sia parte di un piano studiato a tavolino.

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Il 27 giugno Haaretz pubblica un articolo di Nir Hassan, Yaniv Kubovich e Bar Peleg: Ufficiali e soldati dell'IDF hanno dichiarato ad Haaretz di aver ricevuto l'ordine di sparare contro la folla disarmata vicino ai punti di distribuzione di cibo a Gaza, anche in assenza di una minaccia. Centinaia di palestinesi sono stati uccisi spingendo la procura militare a chiedere una revisione dei possibili crimini di guerra. Netanyahu e Katz respingono le accuse, definendole "accuse di sangue".

https://ilmanifesto.it/gaza-oltre-cento-uccisi-in-24-ore-si-muore-anche-in-fila-per-il-pane


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