sabato 21 dicembre 2024

Il fascino di Lucrezio


 Enzo BianchiPrega, leggi e lavora: la mia chiesa in pienezza da Lucrezio a Capossela
La Stampa Tuttolibri, 21 dicembre 2024

Comunque io ho letto molto e continuo a leggere. Devo dire che ci sono opere che frequento assiduamente: il De rerum natura di Lucrezio, ad esempio, che è sempre sul mio comodino e resta l'amico notturno che mi parla quando il sonno è impossibile lasciando spazio a ore di intensa vigilanza e lucidità. È il libro che mi permette di sentirmi un nulla nell'universo ma uno che comunque ne fa parte potendo credere che qualcuno mi ama e mi guarda. E nello stesso tempo mi riconduce sempre alla fragilità umana che non impedisce di andare oltre flammantia moenia mundi.

libro I 73-74

E dunque trionfò la vivida forza del suo animo
e si spinse lontano, oltre le mura fiammeggianti dell'universo. 
Luca Canali

Le mura dell'universo tornano altre volte nel poema.

II, 1044-1049

L'animo infatti richiede di conoscere a pieno,
essendo infinito lo spazio oltre i muri del mondo,
cosa esista lassù, dove intenda scrutare la mente,
dove il libero balzo dell'animo voli spontaneo.
Id.
 

V, 452-454

e quanto più si congregavano intrecciandosi fra loro, tanto più liberavano
i germi che dovevano costituire il mare, gli astri,
il sole, la luna e le mura del vasto mondo. 
Id.

belfagor: Carlo Rovelli, la bellezza e il mistero del mondo (machiave.blogspot.com)
belfagor: Lucrezio, inno a Venere (machiave.blogspot.com)
belfagor: Ifianassa (machiave.blogspot.com)
belfagor: Lucrezio, La teoria degli atomi (machiave.blogspot.com)
belfagor: Lucrezio, De rerum natura (machiave.blogspot.com)
belfagor: Luca Canali, un ricordo (machiave.blogspot.com)


 

Ucraina, il bilancio catastrofico della guerra




Bill Emmott, L'atto finale di eroismo di Zelensky, un passo indietro per arrivare alla pace
La Stampa, 21 dicembre 2024


 Henry Kissinger, lo statista americano morto quasi esattamente un anno fa, riguardo alla guerra tra Iran e Iraq degli Anni 80 disse che avrebbe voluto che entrambe le parti perdessero.


Mentre il 2024 volge al termine e tutti si preparano al ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca il 20 gennaio, la frase di Kissinger sembra straordinariamente adatta alla guerra russa in Ucraina: entrambe le parti stanno perdendo.
Gli ultimi 12 mesi di un conflitto terribile e logorante hanno lasciato entrambe le parti esauste e nessuna ha guadagnato un vantaggio significativo. Le forze della Russia hanno conquistato alcuni territori nell'Est dell'Ucraina: secondo l'Institute for the Study of War, all'inizio di dicembre le forze russe avevano occupato 2.700 chilometri quadrati di territorio ucraino in un anno, un notevole aumento rispetto ai 465 chilometri quadrati conquistati nel 2023, ma che rappresentano solo lo 0,4% della superficie totale dell'Ucraina.
La Russia ha preso meno dello 0,5% dell'Ucraina a un costo stimato di 350.000 vittime. Il Ministero della Difesa britannico ha dichiarato che a novembre la Russia stava perdendo 1.500 soldati ogni giorno, un tasso di perdite molto peggiore rispetto a quella subita nel 2022 o nel 2023. I commentatori dei media hanno frequentemente previsto che, sotto questa pressione, le difese stessero per crollare, ma finora non è successo.
Nel frattempo, l'Ucraina ha lanciato la propria invasione della Russia in agosto, quando le sue truppe hanno attraversato il confine nella regione di Kursk, conquistando circa 1.400 chilometri quadrati di territorio. Questo ha costretto la Russia a inviare circa 50.000 soldati, tra cui 12.000 mercenari nordcoreani, nel tentativo di scacciare gli ucraini, ma finora non ci sono riusciti. Tuttavia, l'area occupata dall'Ucraina si è ridotta a circa 800 chilometri quadrati.
Allo stesso tempo, le due parti hanno continuato ad attaccarsi in profondità nei rispettivi territori. La Russia ha continuato a concentrare i suoi attacchi missilistici sulla rete elettrica dell'Ucraina e sulle sue città, mentre l'Ucraina si è concentrata sugli attacchi a depositi di armi, raffinerie di petrolio e alla leadership delle forze russe. Nelle ultime settimane, le spie ucraine sono riuscite a penetrare a Mosca per uccidere un importante progettista di missili e, questa settimana, nel colpo più significativo, il generale senior a capo delle forze chimiche, biologiche e radiologiche della Russia.
Né la Russia né l'Ucraina hanno il sopravvento. Entrambe sanno che i primi mesi del prossimo anno potrebbero portare cambiamenti politici che potrebbero essere a loro vantaggio: il presidente Putin potrebbe guardare con favore al ritorno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, poiché ciò rende improbabile che il Congresso americano autorizzi ulteriori consegne di armi all'Ucraina e probabile che gli Stati Uniti ritirino l'autorizzazione all'uso delle armi fornite dagli Stati Uniti per attacchi a lunga gittata all'interno della Russia. Il presidente Zelensky potrebbe guardare con favore alle elezioni generali in Germania del 23 febbraio, poiché i sondaggi suggeriscono che il solidale Friedrich Merz dei Cristiani Democratici sostituirà Olaf Scholz come cancelliere.
Recenti cambiamenti politici tra i suoi stessi alleati hanno indebolito il presidente Putin: il crollo del regime di Bashar al-Assad in Siria è stato causato dall'incapacità dei suoi principali sostenitori, Iran e Russia, di intervenire militarmente. L'Iran ha avuto un anno terribile, poiché i gruppi militanti che arma e finanzia sono stati sconfitti, uno dopo l'altro, da Israele: Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano, gli Houthi in Yemen e le forze iraniane in Siria. Le forze russe sono così portate al limite dalla guerra in Ucraina che Putin non ha potuto permettersi di inviare aerei o soldati in Siria.
Se entrambe le parti stanno perdendo, entrambe stanno ora avanzando condizioni per i colloqui di pace che sanno essere irrealistiche. Nella sua conferenza stampa annuale del 19 dicembre, Putin ha affermato di essere disposto a compromettersi, ma ha insistito sul fatto che il punto di partenza per i colloqui deve essere lo smantellamento delle forze militari ucraine e l'accettazione totale delle rivendicazioni territoriali della Russia. In un incontro con i leader della Ue e della Nato a Bruxelles lo stesso giorno, Zelensky ha insistito sul fatto che un accordo di pace sarebbe possibile solo con una garanzia di sicurezza da parte di tutta la Nato, Stati Uniti inclusi, e con eventuale adesione dell'Ucraina all'Alleanza atlantica.
I negoziati iniziano sempre con richieste esagerate e irrealistiche. Se si terranno veri colloqui il prossimo anno, la situazione più probabile sarà quella di una situazione paradossale: la posizione negoziale dell'Ucraina sarà più forte di quella della Russia, ma il presidente Zelensky potrebbe dover fare personalmente un passo indietro per consentire all'Ucraina di ottenere il miglior risultato possibile.
Il motivo per cui la posizione dell'Ucraina sembra più forte è che Trump entrerà in carica vedendo una Russia indebolita dalla Siria, che non ha più un forte alleato in Iran, e che sembrerà un bersaglio facile per un negoziatore autoproclamato come lui. Se tra ora e la fine di gennaio le agenzie di intelligence e le forze militari ucraine riusciranno a portare a termine altre sorprese come gli assassinii a Mosca, la Russia apparirà ancora più debole. Trump saprà che può usare l'autorizzazione per gli attacchi a lunga gittata dell'Ucraina come strumento di negoziazione contro Putin.
Tuttavia, permettere all'Ucraina di aderire, o anche solo aspirare ad aderire, alla Nato, sarà un passo troppo lungo per Trump, poiché va contro il suo lungo desiderio di ridurre gli obblighi degli Stati Uniti di difendere l'Europa. Non si opporrà all'offerta di garanzie di sicurezza da parte dei membri europei della Nato all'Ucraina, ma se la Germania, la Francia, il Regno Unito, l'Italia o la Polonia si sentiranno in grado di permettersi tali garanzie, resta in dubbio.
Il presidente Zelensky ha svolto un ruolo eroico nella lotta dell'Ucraina per la sopravvivenza. Rimane molto popolare, ma poiché il Paese è in stato di legge marziale dall'invasione del 2022, le elezioni presidenziali previste per aprile 2024 sono state sospese. Questo consente a Putin di affermare che nessun accordo di pace potrebbe essere firmato con Zelensky, poiché la sua posizione non è legittima. Il che apre una possibilità per un atto finale di eroismo: per concludere un accordo di pace, Zelensky potrebbe scegliere di annunciare il suo ritiro, permettendo all'Ucraina di dimostrare quanto sia davvero una democrazia resiliente. Nessuno può dubitare che Zelensky e la sua famiglia meritino una vacanza e di ritirarsi con onore. 
https://www.settimananews.it/informazione-internazionale/sta-perdendo-la-guerra-ucraina/


venerdì 20 dicembre 2024

Maria nella storia dell'arte

 

Simone Martini



Lorenzo Lotto
 


Raffaello


Fabio CanessaIl viaggio di Vittorio Sgarbi tra le Natività che hanno fatto la storia
Il Foglio, 20 dicembre 2024

La storia dell’arte raccontata attraverso l’icona più popolare e rappresentata, quella della Madonna con il Bambino.
Vittorio Sgarbi ci guida attraverso il tempo seguendo le immagini della Natività dal Duecento a oggi, nella varietà degli stili dei grandi maestri. Natività Madre e Figlio nell’arte (La nave di Teseo, 372 pp., 24 euro) è un libro strenna dal profumo natalizio, riccamente illustrato, per mettere a fuoco il pensiero che guida la mano degli artisti. Si comincia con la Maestà medievale di Duccio di Buoninsegna, che intende solo consacrare la divina maternità nella forma perfetta, senza pathos né emozioni, si prosegue con Giotto, che per primo scioglie la rigidità iconografica bizantina inserendo nella realtà una Madre e un Bambino di fisica concretezza, e si finisce nella stalla ottocentesca dove Giovanni Segantini affianca la mamma con il suo piccolo a una vacca con il vitellino, in una “parificazione al limite del sacrilegio”. Nel mezzo una carrellata di capolavori: dall’annunciazione di Simone Martini, “una danza, un tango impresso nella nostra memoria come un motivo musicale”, a quella di Antonello da Messina, dove l’angelo non si vede perché, concezione modernissima, è nell’interiorità di Maria, dalla Madonna del Parto di Piero della Francesca, narrata con le parole di Alain Delon nel film di Valerio Zurlini “La prima notte di quiete”, al paradosso della Pietà di Michelangelo, dove la madre è più giovane del figlio (a confermare il verso di Dante “Vergine madre figlia del tuo figlio”), dall’ordinata classicità di Giovanni Bellini al surrealismo onirico di Marco Zoppo. Le lezioni si snocciolano veloci e brillanti tra confronti e parallelismi anche musicali e letterari: Simone Martini guarda a Giotto come Klimt a Picasso, se Giotto è Bach, Agnolo Gaddi è Haydn e Lorenzo Monaco è Mozart, Correggio è come Ariosto, la Natività secentesca di Carlo Maratta anticipa i versi novecenteschi di Rilke. Si tracciano i confini tra un’epoca e l’altra, rendendo omaggio sia agli innovatori che hanno rivoluzionato il linguaggio dell’arte sia agli ultimi resistenti rimasti fedeli alla tradizione, nello struggimento che il loro mondo finisse. Un occhio attento va alla natura nella quale sono immersi i personaggi sacri: realistica o ideale, sfondo panoramico o paesaggio dell’anima. Ma si dà importanza anche all’influenza del contesto culturale: Moretto, per la Pala di Orzinuovi, deve adattarsi al linguaggio di Mantegna, già superato a Venezia e Firenze, ma ancora dominante in quel villaggio lombardo, mentre la nobiltà elegante dell’annunciazione di Tintoretto documenta il “gusto dell’aristocrazia veneta del Cinquecento maturo”. E’ grazie a Raffaello se tra la Vergine e il Bambino, che mette una mano nel seno della madre, si “stabilisce un rapporto di tale intimità domestica da far scendere la Madonna dal cielo alla terra, da Madonna con il Bambino a semplice madre con il figlio”. Con sempre maggiore naturalezza, la relazione sacra si umanizza e, mentre nella pittura antica Dio si faceva uomo, quella moderna rende divino l’uomo. Così Michelangelo “sembra che non scolpisca corpi ma anime, non Gesù e Maria ma ognuno di noi di fronte al mistero della morte e dell’essere madri e figli”: e se il Tondo Doni è una “scultura dipinta”, la scultura terminale della Pietà Rondanini intende “rappresentare quello che non è rappresentabile: lo spirito, non la carne”, per dimostrare che l’arte vince la morte. Si passano in rassegna le varie Madonne: quella di Paolo Veneziano è caratterizzata dalla “compostezza e l’indifferenza sentimentale”, perché l’artista trecentesco “non dipinge l’uomo e non dipinge per l’uomo: dipinge per la maggior gloria di Dio”; tutto il contrario della Madonna cinquecentesca dell’originalissima Annunciazione di Lorenzo Lotto, spaventata da un “angelo prepotente ed esuberante che le piomba in casa” con un atteggiamento da supereroe della Marvel, facendo scappare anche il gatto. La Madonna di Antonio da Negroponte “vuole stupire”, seduta sul “trono più sontuoso e assurdo che si possa immaginare”. Quella di Correggio è “espressione del cuore, non della ragione”, al contrario di quella del Perugino. Varie anche le tipologie del Bambino: quello iperattivo di Jacopo da Bassano si diverte a giocare con il velo della Madre, quello di Carlo Crivelli presagisce il doloroso destino della Passione, quello di Rubens risplende di luce caravaggesca. Arrivando ai nostri tempi, il soggetto della Natività diventa difficile da trovare, “tanto è rarefatto e quasi inesistente nella pittura del Novecento, come se gli artisti si vergognassero di affrontarlo”: fanno eccezione le splendide opere di Piero Gaudenzi e Domenico Maria Durante che concludono il volume. Il quale può essere letto non seguendo l’ordine dei capitoli: se volete iniziare dal più bello, vi segnaliamo quello su Moretto da Brescia “La devota invadenza dell’uomo comune”, titolo riferito alla presenza stonata del committente, brutto e vecchio, inginocchiato tra la Madonna col Bambino e i santi.

belfagor: Il ventre di Maria (machiave.blogspot.com)




Putiniani d'Italia. La svolta immaginaria di Zelensky




Marco Imarisio, Putin: "Sono pronto ai negoziati, ma prima a Kiev si voti"
Corriere della Sera, 
20 dicembre 2024

Nel rimpianto per il recente passato, sentimento al quale sempre più spesso indulge, il presidente russo si dedica al nostro Paese. «Se devo immaginare con chi mi piacerebbe bere un tè, faccio i nomi di Helmut Kohl, Jacques Chirac e Silvio Berlusconi, un uomo caloroso nella comunicazione e operoso, con una forte presa sulle persone. Sentiamo che nella società italiana c’è una certa simpatia per la Russia, che noi ricambiamo». 

Il giorno prima in Italia "Il Fatto Quotidiano" metteva in copertina una foto di Zelensky con soprascritto il titolo: La resa. Il presidente: "Donbass e Crimea addio". Abbiamo perso la guerra. L'articolo al quale il titolo si riferiva non diceva esattamente questo. Qui di seguito il passaggio cruciale. 

Salvatore Cannavale, Ora Zelensky ammette la sconfitta. Trattiamo

... in una intervista al quotidiano francese Le Parisien, il presidente ucraino ha ammesso che al momento l’ucraina “non ha le forze per riconquistare la Crimea e le parti del Donbass occupate”, anche se non vuole rinunciare ai propri territori, nemmeno “temporaneamente”: “Legalmente non possiamo cedere i nostri territori, lo proibisce la Costituzione dell’ucraina”. Una ammissione di debolezza e l’apertura probabile a colloquio negoziali: “Se noi non abbiamo oggi la forza di riprendere tutti i nostri territori, allora l’occidente può trovare la forza di far sedere Putin al tavolo e affrontare questa guerra per via diplomatica - ha continuato Zelensky, confermando la volontà di affidarsi al supporto occidentale.

Ammette la sconfitta? Stando al testo dell'articolo, non si direbbe, non sembrerebbe. Ecco ora una lettura più attenta dello stesso messaggio.

Davide Maria De LucaLa "resa" di Zelensky sul Donbass: "Non abbiamo le forze per riprenderlo"
Domani, 18 dicembre 2024

«Non abbiamo le forze per riconquistare la Crimea e il Donbass». Così il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha parlato al quotidiano francese Le Parisien. Zelensky ha precisato che questo non significa rinunciare definitivamente ai territori occupati dalla Russia, che sarebbe legalmente impossibile senza modificare la costituzione del paese. Piuttosto, vuol dire che il 20 per cento di suolo nazionale sottratto a Kiev andrà liberato con gli strumenti della «diplomazia internazionale», invece che con le armi ucraine.

Non è stata la prima volta in cui gli ucraini sentono il loro presidente aprire alla possibile “cessione temporanea” del territorio nazionale. Alla fine dell'agosto 2023, quando era divenuto ormai conclamato il fallimento della controffensiva ucraina che, secondo alcuni, avrebbe dovuto portare le truppe di Kiev alle porte della Crimea, Zelensky aveva per la prima volta parlato di una soluzione diplomatica per la Crimea.Poi, lo scorso 24 febbraio, in occasione del secondo anniversario dell’invasione su larga scala, Zelensky aveva detto per la prima volta che l'obiettivo del conflitto era una pace giusta, abbandonando la formulazione del «ritorno ai confini del 1991», cioè la liberazione di tutto il territorio nazionale. Il presidente ha mantenuto ferma l'intenzione di non cedere definitivamente i territori occupati formalmente, ma in modo sempre più chiaro ha detto ai suoi compatrioti che non ci si doveva attendere la loro riconquista militare nel breve periodo.

La vittoria di Trump e con essa la probabile necessità di negoziare un compromesso "al ribasso" è arrivata così su un terreno "preparato". Quasi nessuno in Ucraina si è stupito per le parole di Zelensky, ma che queste mutate aspettative siano automaticamente destinate a produrre un accordo di pace nel prossimo futuro rimane tutto da vedere.

La vergogna ha cambiato campo


"La vergogna ha cambiato campo": nel giorno delle sentenze nel maxiprocesso sugli stupri di Mazan al Palazzo di Giustizia di Avignone, la Francia ed il mondo rendono omaggio a Gisèle Pelicot, 72 anni, divenuta icona planetaria della lotta alle violenze sessuali.

Tra le prime a reagire all'annuncio della condanna a venti anni di reclusione per l'ex marito, Dominique Pelicot e degli altri 50 imputati in un processo considerato "storico" è stata la presidente dell'Assemblée Nationale, Yael Braun-Pivet: "Grazie per il suo coraggio Gisèle Pelicot. Attraverso di lei, si esprime oggi la voce di tante vittime, la vergogna ha cambiato campo, si infrangono i tabù. Da ora grazie a lei il mondo non è più lo stesso", ha scritto su X la presidente della Camera dei Deputati francese.

Ma gli omaggi superano ampiamente le frontiere nazionali della République: "La vergogna deve cambiare campo. Grazie, Gisèle Pelicot!", ha sottolineato il cancelliere tedesco Olaf Scholz, lodando anche lui su X il "coraggio" della Pelicot per essere "uscita dall'anonimato" e "aver lottato per la giustizia". Gisèle ha dato "alle donne una voce forte in tutto il mondo. La vergogna è sempre dell'autore del reato", ha puntualizzato Scholz.

Irene Soave, Il trauma di tutti che ridefinisce cos'è lo stupro, Corriere della Sera, 20 dicembre 2024

 Secondo un sondaggio Ifop, l’85% dei francesi pensa che il processo di Mazan dovrebbe avviare una riflessione collettiva su cos’è uno stupro. Non solo cioè lo sconosciuto, magari straniero, che ti ghermisce nel parcheggio; ma anche gli abusi del marito, del capo, del tipo che in discoteca ti scioglie una droga nel cocktail. Questo dibattito riguarda anche il codice penale. A marzo una bozza di direttiva presentata dalla Commissione Europea non trovò l’accordo di tutti gli Stati perché definiva lo stupro semplicemente come «sesso non consensuale». Dopo mesi di negoziati, vari Paesi la rifiutarono, e tra questi la Francia. Nella legge francese, l’assenza di consenso non basta: non vale il principio che è già legge in Svezia e Spagna, e cioè che «solo sì è sì». Se una persona non manifesta attivamente consenso a un atto sessuale, questo atto è illegale. Prima della crisi politica, il ministro di Giustizia Didier Migaud si era detto favorevole a rivedere la legge, e a marzo aveva rilasciato dichiarazioni in questo senso anche Macron. La volontà di cambiare nasce anche da traumi come quello di Mazan.

Annalena Benini, La sentenza Pelicot svela non l'eccezionalità del male, ma l'umanità del male
Il Foglio, 20 dicembre 2024

Gisèle Pelicot è infatti la vittima eclatante, assoluta: è stata sottomessa chimicamente per dieci anni, stuprata da decine e decine di sconosciuti a sua insaputa, è stata filmata, niente di più inoppugnabile, dentro la normalità di una vita come tante, in una piccola città, in una casa tranquilla, con i nipotini che crescono un Natale dopo l’altro. Non tutte hanno la luce accecante di Gisèle, perché ogni vittima è diversa. Ma per tutte la lotta è la stessa, e questo processo passerà alla storia per aver cambiato il lato della vergogna.

mercoledì 18 dicembre 2024

Il dolore, la parola, la tragedia




David Olère, Il cibo dei morti per i vivi. Autoritratto


 Si dice spesso che la qualità della scrittura di Faulkner sia diminuita in seguito al premio Nobel. Ma le sezioni centrali di Requiem per una suora (1951) sono impegnativamente impostate in forma drammatica, e A Fable (1954), un romanzo lungo, denso e complesso sulla prima guerra mondiale, richiede attenzione come il lavoro in cui Faulkner ha fatto di gran lunga il suo più grande investimento di tempo, impegno e impegno di autore. (Encyclopaedia Britannica) 


Hannah Arendt, L'umanità in tempi bui. Riflessioni su Lessing, 1960

Forse posso spiegarlo meglio con un esempio meno doloroso. Dopo la prima guerra mondiale abbiamo sperimentato la "padronanza del passato" in una quantità di descrizioni della guerra che variavano enormemente in natura e qualità; naturalmente, questo è accaduto non solo in Germania, ma in tutti i paesi colpiti. Ciononostante, quasi trenta anni dovettero passare prima che apparisse un'opera d'arte che mostrasse in modo così trasparente la verità segreta degli avvenimenti. Solo allora fu possibile dire: sì, è andata così. E in questo romanzo, A Fable di William Faulkner, molto poco è descritto, ancor meno spiegato, nulla è padroneggiato; finisce con le lacrime, che il lettore versa, e ciò che rimane è l'effetto o piacere tragico, l'emozione dirompente che mette in grado di accettare il fatto che qualcosa  come
quell
a guerra sia potuta accadere. Nomino volutamente la tragedia perché, più di altre forme letterarie rappresenta un processo di riconoscimento. L'eroe tragico perviene al sapere,  rivivendo ciò che è stato fatto in termini di sofferenza, e in questo pathos, nel rivivere il passato, la rete degli atti individuali si trasforma in un evento, in un insieme significativo. L'apice  drammatico, il climax, della tragedia si verifica quando l'attore si trasforma in un sofferente; qui sta la peripezia tragica, il dispiegarsi del suo finale. [...] Non possiamo padroneggiare il passato allo stesso modo in cui non possiamo disfarlo. Dobbiamo riconciliarci con esso. La forma di questa riconciliazione è il lamento che sgorga da ogni reminiscenza. Come ha detto Goethe (nella dedica al Faust):
Si rinnova il dolore, ripete il lamento
il folle corso labirintico della vita.



https://www.finestresullarte.info/en/works-and-artists/david-olere-the-deported-artist-who-painted-the-horror-of-auschwitz



Rik Van Looy, l'imperatore di Herentals


 



Alexandre PedroÈ morto il belga Rik Van Looy, monarca assoluto delle corse ciclistiche
Le Monde. 19 dicembre 2024


Nel regno del Belgio era "l'imperatore di Herentals", cittadina fiamminga della provincia di Anversa dove visse e dove da vivo gli era stata dedicatata una statua. Rik Van Looy è morto mercoledì 18 dicembre, all'età di 90 anni, secondo diversi media belgi. Tra il 1953 e il 1968, questo riconosciuto principe delle corse di un giorno ha costruito un record unico nel ciclismo: 482 successi, dove la qualità si mescola alla quantità. Due volte campione del mondo (1960 e 1961), Van Looy è il primo a vincere le cinque grandi classiche: Milano-Sanremo, Giro delle Fiandre, Parigi-Roubaix, Liegi-Bastogne-Liegi e Giro di Lombardia.

Negli anni '70 il belga venne imitato da due connazionali: Roger De Vlaeminck e soprattutto Eddy Merckx. Quando quest'ultimo entrò in punta di piedi nella sua squadra Solo-Superia nel 1965, Van Looy il fiammingo si fece beffe del bellimbusto brussellese, soprannominandolo "Jack Palance" per una lontana somiglianza con l'attore americano abituato ai ruoli da cattivo nei western. La convivenza dura una stagione. Merckx andò a costruire un altro impero altrove, molto più grande (raccolse nella borsa cinque Tour de France), e attaccò frontalmente la “guardia rossa” del fratello maggiore.

“Ho sconfitto 134 morti”

Velocista eccezionale e campione meticoloso, Van Looy è stato soprattutto un capobranco. Le sue squadre cambiano nome (Faema, Flandria, Solo-Superia), ma il rosso resta il colore della maglia e la dedizione dei compagni è totale. Chi osava intralciare l'“Imperatore” veniva respinto, intimidito e rinsavito dai suoi seguaci, per permettergli di dimostrare la sua velocità all'arrivo. "Anche [Jacques] Anquetil aveva paura di noi ", confidò a L'Equipe nel 2021 Ward Sels, uno dei luogotenenti di Van Looy .

E guardatevi da chi inganna il monarca. Nel 1963, Benoni Beheyt fece la parte di Bruto e privò Rik Van Looy del terzo titolo di campione del mondo a Ronse, nelle Fiandre orientali. Prima della gara, il secondo aveva promesso al primo 50.000 franchi belgi per assicurarsi i suoi servizi. Tra compagni di squadra per una giornata in Nazionale, la cautela non è mai troppa. Ma Beheyt non mantiene la parola data e supera Van Looy sulla linea di arrivo. La vendetta del re si mangerà calda e fredda: la “guardia rossa” non lascerà più un centimetro di libertà al “traditore” che rimetterà via la sua bicicletta a soli 26 anni, deluso e rassegnato.

Rik Van Looy non si è perso nei commenti. Ma quando arrivò la Parigi-Roubaix nel 1965, il fiammingo aveva dei conti in sospeso. Si è detto del declino. Infastidito, il velocista ha vinto per la terza volta l'“Inferno del Nord” e lo ha fatto con stile. Attacca da solo a 10 chilometri dall'arrivo prima di lanciarsi, sempre solo, sul velodromo di Roubaix. “Sembrava che non dovessi più essere il grande Van Looy. Ma a 31 anni un uomo può essere un uomo finito? Se lo sono, allora ho sconfitto 134 morti ” , dice.

“L’Imperatore” e “il Cannibale”

Il resto è meno appariscente. Van Looy aggiunse Paris-Tours (1967) e La Flèche wallonne (1968) alla sua collezione di classici, ma Merckx iniziò a sbaragliare la sua “guardia rossa” e lo lasciò con le briciole. “L'Imperatore di Herentals” si risente di questo relativo declassamento. Non è mai stato veramente un uomo di luglio. Al Tour de France ha indossato per un giorno la maglia gialla e ha vinto comunque sette tappe, ma senza avere la stessa pedalata della primavera. La colpa è del suo datore di lavoro italiano, che poco prima gli aveva chiesto di partecipare al Giro.

Imprenditore e proprietario di un'arena equestre, Van Looy conobbe una seconda vita agiata, come le Fiandre divenute prospere e orgogliose di dimostrarlo. Nel 2021 ha perso l'amore della sua vita, “Nini”, una bellezza bionda soprannominata “la Marilyn fiamminga”. A quel tempo, l’ottuagenario sembrava ancora un giovane. Due anni prima aveva rivelato a L'Equipe  il suo segreto dimagrante : “Percorro ancora il Canale Alberto fino ad Anversa. Questa settimana ci siamo andati quattro volte. » Dopo la morte della moglie, ha confidato di aver perso la voglia di pedalare, preferendo ammirare, nella comodità del suo salotto, le imprese di Wout van  Aert, originario di Herentals e attuale stella del team Jumbo-Visma.

Nato il 20 dicembre 1933 a Grobbendonk, a pochi chilometri di distanza, Van Looy rimase fedele a Herentals per tutta la sua vita adulta. Nel corso degli anni Eddy Merckx si era guadagnato il diritto di essere uno dei suoi ospiti. “L'Imperatore” non ce l'aveva più con il “Cannibale” per aver in qualche modo eclissato la sua gloria. Quando si è preso la briga di ripercorrere la sua carriera, ha visto soprattutto la strada percorsa e le gare vinte a centinaia, lui che era arrivato al ciclismo per caso. “A 12 anni non correvo ancora . Consegnavo i giornali in bicicletta per le strade. »