domenica 27 gennaio 2013

Il volto dell'altro. Lévinas

Intervista di Renato Parascandolo e Sergio Benvenuto a Emmanuel Lévinas

Uno dei concetti più suggestivi del suo pensiero è quello del "volto" come espressione di un'alterità assoluta e inviolabile...

Su questo tema è avvenuta la mia rottura con Heidegger. Era hitleriano e non ha colto il valore della dignità dell'uomo e dell'"altro". Ma io sono ebreo ed essere ebrei non significa soltanto conoscere il Talmud, significa aver sofferto come un ebreo. È a questo che bisogna arrivare. Aver sofferto come un ebreo. E di questa sofferenza una piccola responsabilità è da attribuire a un certo Hitler...

Lei parla di bontà, di amore per l'altro, ma si sa che in nome della bontà sono stati commessi atroci delitti, che i buoni sentimenti hanno provocato spesso dei disastri.

Bisogna vedere come la si intende...Io faccio una differenza tra bene e bontà, tra un ideale di bene che può essere prescritto, che diventa ideologia, che diventa movimento politico e poi istituzione e questa bontà iniziale, debole, senza difesa, senza pensiero, in cui non c'è ancora una ideologia della bontà L'altro uomo non mi è indifferente, l'altro uomo mi concerne, mi riguarda nei due sensi della parola "riguardare". In francese si dice che "mi riguarda" qualcosa di cui mi occupo, ma "regarder" significa anche "guardare in faccia" qualcosa, per prenderla in considerazione. Io chiamo appunto questa "apparizione" dell'altro, il volto umano. Il volto umano è la testimonianza non del trionfo istituzionale del bene, ma della possibilità del bene, della possibilità per l'uomo di essere buono verso l'altro uomo o piuttosto della possibilità di leggere sul volto dell'altro uomo la vocazione, il richiamo alla bontà. Per me questa è la parola di Dio. Io trovo Dio nell'etica, non ho alcuna altra idea di Dio valida. È qui che trovo il senso di qualcosa che interrompe bruscamente il corso delle cose: il fatto che l'uno si occupa dell'altro è il solo momento in cui c'è un'alterità totale, un'alterità che non rientra nell'ordine che io controllo, che non diventa mia. Anche il mio schiavo, in quanto uomo, mi sfugge e perciò è assolutamente altro. Trovo che nel momento in cui sento questa alterità come ordine muto, come comandamento, non dico che sia di Dio, ma certo non c'è parola più forte.

http://www.donatoromano.it/interviste/43.htm


Levinaslëvinà›, Emmanuel. - Filosofo lituano naturalizzato francese  (Kaunas 1905 - Parigi 1995); prof. all'École normale israélite orientale (1946-63), alle univ. di Poitiers e di Paris-Nanterre e infine alla Sorbona (1973-75). Muovendo da studî husserliani (Théorie de l'intuition dans la phénoménologie de Husserl, 1930), trasse dalla fenomenologia gli strumenti metodici per un pensiero che considera l'etica come inglobante ogni ontologia. Opere principali: Totalité et infini (1961); Difficile liberté. Essai sur le judaïsme (1963); L'humanisme de l'autre homme (1972); Autrement qu'être, ou au-delà de l'essence (1974); Noms propres (1976; trad. it. 1984), raccolta di saggi di critica letteraria; Du sacré au saint: cinq nouvelles lectures talmudiques (1977; trad. it. 1985); De Dieu qui vient à l'idée (1982; trad. it. 1986); Transcendance et intelligibilité (1984; trad. it. 1990); Dieu, la mort et le temps (1992; trad. it. 1996); Altérité et transcendance (1995; trad. it. 2006), raccolta di saggi e interviste. (Treccani)


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