domenica 27 gennaio 2013

Gulag cinese, la falsa notizia della chiusura

L’annuncio del governo cinese di una possibile fine del sistema della rieducazione attraverso il lavoro suscita numerosi interrogativi. Secondo le affermazioni attribuite al capo del Comitato affari politici e giuridici del Partito comunista cinese, Meng Jianzhu, riportate dall’agenzia di Stato cinese Xinhua, nel corso del 2013 potrebbe essere riformato l’oscuro universo dei campi di lavoro forzato in Cina. Il sistema della rieducazione attraverso il lavoro, denominato “laodong jiaoyang”, è stato introdotto nel 1957 dal governo cinese per reprimere ogni forma di dissidenza politica o religiosa nel paese. Nei campi di rieducazione finiscono i colpevoli di crimini "contro lo Stato" e di "terrorismo", quindi anche dissidenti e agenti di Paesi e gruppi ostili o al bando, da Taiwan ai separatisti dello Xinjiang, fino ai Falun Gong.

(Detenuti nel campo di Chongqing durante una sessione di rieducazione, 30 maggio 2005, China Photos/Getty Images)
Cifre ufficiali, riferite dalla stessa agenzia, parlano attualmente di 160.000 detenuti nei 350 campi di detenzione tuttora aperti, ma attivisti e organizzazioni per la difesa dei diritti umani riportano cifre che si aggirano intorno ai 300.000 detenuti. Il controverso programma legato ai campi di lavoro permette alla polizia di detenere i sospettati per un massimo di quattro anni, anche senza processo. Non è chiaro come, dopo la riforma ora annunciata, sarà applicata la rieducazione attraverso il lavoro prevista dalla legge cinese, né cosa accadrà alle persone attualmente detenute nelle strutture.
All’annuncio fatto via Twitter dall’agenzia Xinhua non è infatti seguita alcuna spiegazione concreta di come il governo cinese vorrebbe riformare il sistema del “laojiao”. Molti attivisti per i diritti umani interpretano questi segnali discordanti all’insegna della retorica di regime nell'ambito del propagandato afflato riformista del nuovo leader cinese Xi Jinping, succeduto nel novembre scorso a Hu Jintao. Fino alla ratifica ufficiale da parte del comitato permanente del Congresso, rimane quindi il mistero sulle misure alternative che il governò deciderà di prendere.
C’è chi, come Maya Wang, ricercatrice presso Human Rights Watch, non crede all’annunciato cambio di rotta: "Di certo l'annuncio è un passo positivo in sé, ma siamo ancora molto lontani dal capire cosa ci riserva il futuro. Il governo intende fare dei cambiamenti puramente estetici al sistema, dandogli un altro nome? Se non viene abolito del tutto, il sistema ne creerà un altro e non si farà nulla per fermare gli abusi quotidiani". In una intervista alla CNN, Sophie Richardson, direttrice dell’osservatorio sulla Cina di Human Rights Watch, ha sostenuto che potrebbe trattarsi di un primo simbolico passo verso riforme strutturali, ma al tempo stesso ha messo in guardia sul rischio di una possibile operazione di facciata a scopi propagandistici destinata a lasciare immutata la natura del sistema del “laojiao”.


(Detenuti del campo di rieducazione di Tuanhe nei pressi di Pechino nel 1986)
In tempi recenti, il programma del “laojiao” è stato utilizzato anche per colpire chi protesta pacificamente contro decisioni giuridiche o politiche. Ad agosto scorso Tang Hui, una donna originaria della provincia dello Hunan, è stata internata in un campo di lavoro per aver richiesto con insistenza una pena più dura per lo stupratore della propria figlia undicenne.
Oscure rimangono per il momento le condizioni di vita e di lavoro dei detenuti nei campi di rieducazione forzata. Prima delle ultime festività natalizie, ha fatto il giro del mondo la notizia della lettera trovata da Julie Keith, una donna dell’Oregon, all’interno di una confezione di decorazioni fabbricate in Cina. Il messaggio proveniva dall’unità 8, dipartimento 2, del campo di lavori forzati di Masanjia, nella provincia cinese del Shenyang. Scritto in inglese stentato, con alcuni caratteri cinesi, questo messaggio lanciato nel vuoto chiedeva di essere inoltrato all’organizzazione mondiale dei diritti umani e denunciava le dure condizioni di vita e di lavoro nel campo: 15 ore di lavoro al giorno, senza alcuna interruzione né festività per un compenso di 10 yuan al mese.

If you occasionally buy this product, please kindly resend this letter to the World Human Right Organization. Thousands people here who are under the persicution of the Chinese Communist Party Government will thank and remember you forever. People who work here have to work 15 hours a day without Saturday, Sunday break and any holidays. Otherwise, they will suffer torturement, beat and rude remark. Nearly no payment (10 yuan/1 month). People who work here, suffer punishment 1-3 years averagely, but without Court Sentence (unlaw punishment). Many of them are Falun Gong practitioners, who are totally innocent people only because they have different believe to CCPG. They often suffer more punishment than others.



Nel libro “I racconti della Kolyma”, Varlam Šalamov ha descritto meglio di chiunque altro l’inferno dei campi di rieducazione in Unione Sovietica, segnati dallo sfruttamento estremo del lavoro, dalla solitudine, dalla disperazione. Anche l’oscuro universo del “laojiao” cinese potrebbe presto restituire simili testimonianze, di chi ha resistito fisicamente e moralmente, conservando la dignità, la memoria, la parola.

Luciano Trincia
blog il tornio, Linkiesta, 9 gennaio 2013
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Luciano Trincia è uno storico italiano che dal 1992 svolge la sua attività di insegnamento e di ricerca all’estero. Attualmente conduce una ricerca sulla formazione dello Stato nazionale in Germania per la Sapienza Università di Roma. Ha pubblicato in inglese, in francese e in tedesco i risultati dei suoi studi. In Italia, fra gli altri, sono apparsi i volumi Emigrazione e diaspora (Roma 1997), Il nucleo tedesco (Brescia 2001), Per la fede, per la patria (Roma 2002), Conclave e potere politico (Roma 2004), L’odore del Novecento (Roma 2011).

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