Quell'amore impossibile che ispirò i versi di Montale
la Repubblica, 15 giugno 2006
E' stata una delle passioni amorose più celebri del Novecento. Per vent' anni è rimasta chiusa in una cartella di cartone nella cassaforte dell' Archivio Contemporaneo del Gabinetto Vieusseux: 154 lettere, scritte tra il 1933 e il 1939 da Eugenio Montale a Irma Brandeis. Fu la stessa Brandeis, nel 1983, a consegnarle ad Alessandro Bonsanti, con la richiesta che non fossero rese pubbliche prima di vent' anni. Era il penultimo atto di una storia che ha trovato il suo epilogo con l' apertura dei sigilli nel gennaio 2004 e la pubblicazione dell' epistolario uscito in questi giorni da Mondadori con il titolo Lettere a Clizia e per la cura di Rosanna Bettarini, Gloria Manghetti e Franco Zabagli [...]. Così si può riavvolgere il nastro del tempo e risalire all' inizio: a quel 15 luglio 1933, quando la giovane ebrea americana, colta, poliglotta e cosmopolita, bussò alla porta del Vieusseux per conoscerne il direttore, Eugenio Montale, appunto, senza sapere che da quel momento Irma Brandeis sarebbe diventata Clizia. Da quel colpo di fulmine, e più ancora dalla lontananza, dalle difficoltà, dagli ostacoli con cui si scontrerà l'amore, nascerà la figura femminile più importante della poesia montaliana, la mitologica Clizia, protagonista intermittente e tenace da Le occasioni all' ultima stagione degli Altri versi. Di quella poesia, le lettere sono come il lato in ombra. Vi traspare «tutta la debolezza dell' uomo - spiega Rosanna Bettarini - mentre il poeta è forte, cosciente di sé; al momento delle scelte che davvero gli interessano non sbaglia». Le scelte, appunto. [...] Per sei anni il poeta temporeggia, si dispera, progetta la fuga in America, si rintana in improvvise crisi depressive. E alla fine, coerente col suo «senso della vita filiforme», rinuncia a Irma. Forse era il modo di sopravvivere di un uomo che «scrisse anche "vissi al cinque per cento", ma con Clizia questo cinque per cento pare piuttosto una rendita vitalizia», è la conclusione di Rosanna Bettarini, che nell' introduzione al volume segue da par suo, con la memoria ai propri studi petrarcheschi, la progressiva trasformazione, nelle lettere, di Irma in Clizia, della donna amata nella divinità invocata: «è la tipica situazione d' un poeta che vive assediato dall'assenza-presenza d' una donna lontana. Nei processi lirici dell' assenza, tra le gemme della memoria poetica, forse non c' è differenza tra l' oro e le perle di Laura e le giade e i coralli di Clizia. In fondo, dentro la cornice di questo carteggio quasi settennale, dall' estate del 1933 all' autunno del '39, i due implacabili epistolografi si sono visti sì e no per poco più d' un mese. Quanti incontri dobbiamo immaginare per Laura e messer Francesco tra il 6 aprile 1327 e la primavera del '48?». Per il poeta Montale la beatificazione dell' assente è fonte della sua poesia più alta; per l' uomo, il modo di continuare a cullarsi in un amore impossibile: «Certo, le dee non hanno bisogno di appuntamenti e di orari e non si aspettano un mazzo di fiori il giorno dopo: si concedono dopo molto amore per grazia gratis data senza perché. è questo spazio di estasi e di libertà che va cercando il poeta, che spesso si domanda: Era l' Amore? con la risposta in un' ultima poesia del 1980 giustappunto intitolata Clizia nel '34: "non era amore quello/ era come oggi e sempre/ venerazione"». Proprio il 1980 segna un capitolo a sé in questa vicenda. Dopo quarant' anni di silenzio, Montale invia ad Irma una copia dell' Opera in versi, accompagnata da un biglietto in cui la chiama ancora «my Goddess, my divinity». A Irma, o a Clizia?: «Quest' interessante e quasi illeggibile bigliettino, tanto tremanti sono l' anima e la mano, firmato Montale in modo totalizzante, inabissa i varii eteronimi epistolari, Eusebio, Arsenio, Gatu eccetera, a vantaggio del solo autore che ha scritto tanti libri di poesia. Pare che a Irma dispiacesse questa firma, con l'argomento che mai lei l' aveva chiamato così, quasi la sigla d' una perdita d' amicizia e di confidenza. Ma nell' estate del 1980, ad portas inferi, Montale è solo il poeta che ha chiuso un vasto Canzoniere d' amore e pensa ancora con devozione a quell' unica Musa vivente che è Irma Brandeis. Sì, la dedica è a quella Musa che, sotto forma di donna ornata di frangetta e di orecchini, si era miracolosamente incarnata nella biblioteca del Vieusseux a Firenze un giorno d' estate nel '33, aprendo nuovi paradisi all' autore di Ossi di seppia, che alla fine però orgogliosamente reclama la sua vera identità». E proprio al Vieusseux, dove tutto è cominciato, tutto finisce e ricomincia in altra forma. Come è giusto che sia, perché questa è in fondo anche una storia fiorentina, possibile ovunque ma miracolosamente appropriata alla Firenze tra le due guerre: «Il clima letterario di Firenze, in quella stagione di vivacità, era certo un' attrattiva per la giovane e colta studiosa americana. Per Montale è lo sfondo per il libro suo più fiorentino delle Occasioni, dove la città è evocata anche mediante segni e toponimi, dalla Martinella di Palazzo Vecchio alla Costa San Giorgio e a Tempi di Bellosguardo, con quel colle che non porta fortuna ai poeti. Nelle lettere a Clizia la città, al di là del gossip malizioso, è vista con affetto; anche se Montale non è per niente un paesaggista, struggenti sono le rapide immagini dell' Arno al tramonto e la favolosa discesa dal Piazzale Michelangelo "tra scale acque e terrazze": una città persino più bella e più cara se vista attraverso gli occhi di lei tra spirali di fumo e qualche bicchierino».
"molto liberale, ma non sempre tollerante. Era seria ma anche scherzosa. Agile, snella, ben vestita, sembrava, a vederla, più una donna di mondo che una studiosa di mestiere. Era, insomma un tipo complesso." (Paolo Vivante)
Montale a Angelo Marchese, 15 ottobre 1977
...
Clizia può essere vista in un pazzesco riepilogo nella Morgana
[Quaderno di quattro anni, 1977]; ma Clizia [nelle mie poesie]
occupa lo spazio 1933/34 - e poi 1938. Dopo se ne perdono le tracce.
Nuove
stanze
Le
occasioni, 1939
Poi che gli ultimi fili di tabacco
al tuo gesto si spengono nel piatto
di
cristallo, al soffitto lenta sale
la
spirale del fumo
che
gli alfieri e i cavalli degli scacchi
guardano
stupefatti; e nuovi anelli
la
seguono, più mobili di quelli
delle
tue dita.
La
morgana che in cielo liberava
torri
e ponti è sparita
al
primo soffio; s’apre la finestra
non
vista e il fumo s’agita. Là in fondo,
altro
storno si muove: una tregenda
d’uomini
che non sa questo tuo incenso,
nella
scacchiera di cui puoi tu sola
comporre
il senso.
Il
mio dubbio d’un tempo era se forse
tu
stessa ignori il giuoco che si svolge
sul
quadrato e ora è nembo alle tue porte:
follia
di morte non si placa a poco
prezzo,
se poco è il lampo del tuo sguardo,
ma
domanda altri fuochi, oltre le fitte
cortine
che per te fomenta il dio
del
caso, quando assiste.
tocco
la Martinella ed impaura
le
sagome d’avorio in una luce
spettrale
di nevaio. Ma resiste
e
vince il premio della solitaria
veglia
chi può con te allo specchio ustorio
che
accieca le pedine opporre i tuoi
occhi
d’acciaio.http://machiave.blogspot.it/2017/07/irma-brandeis-trasposta.html