Giornale
di guerra e di prigionia
"Visita
del Nunzio Apostolico al campo di Celle" (prima pubblicazione 1953)
Monsignor Eugenio Pacelli, futuro papa Pio XII, era nunzio apostolico presso la corte di Monaco quando visitò il campo di Cellelager, il 23 settembre 1918. Carlo Emilio Gadda era tra gli internati.
Finalmente il cancello si apre e fra due ale di calca, accompagnato dal colonnello tedesco comandante del campo, seguito da altri tedeschi, e con a lato il generale Fochetti entra il Nunzio: è alto, lungo, con occhiali, ha un cappello da prete di feltro liscio, ma più piccolo e tondo dei solti, ornato d'un cordone verde e oro; occhiali; naso affilato e adunco; tunica nera. Apre un ombrello color castano scuro da prete di campagna, non ha seguito ecclesiastico.
...
Nella Chiesetta affollata io ero ritto sopra una panca, come già da ragazzo in San Simpliciano. Celebrarono il "tantum ergo Sacramentum", cantandolo alla meglio; seguì un inno di carattere religioso patriottico, cantato dai nostri cappellani, in cui Dio era pregato di darci la vittoria e di restituirci la patria. In questo il Nunzio fu solo ascoltatore, naturalmente. Dopo di che egli dall'altare ci rivolse una breve allocuzione. Nel silenzio assoluto degli ascoltatori avidi ed intenti, interrotto solo dall'uscita del Colonnello tedesco e di un altro ufficiale, erano suonate le preghiere e gli inni. Adesso le parole del Vescovo riempirono il piccolo sito. Disse d'esser lieto di venire a noi come italiano, figlio della nostra stessa terra, ma più come rappresentante del Sommo Pontefice, "padre comune dei popoli", a portarci una parola di conforto. [...] La sua voce era fredda, acuta, il tono untuoso e calcolato; il discorso appariva preparato. Tuttavia suonò in esso, o mi parve, la voce della pietà e della religione e il mio spirito facile alla visione entusiastica delle cose ne rimase commosso. Gli occhi mi si riempirono di lagrime e il cuore di lacerante tristezza quando disse dell'amore di patria e dell'amore di Dio s'accordano nei cuori ben nati, quando parlò della nostra terra radiosa "che la natura e l'arte fanno superba" [riferisco compendiando]; quando pregò il Signore che nella terribile prova i nostri animi si rafforzassero e il nostro pensiero considerasse che la nostra vita è solo un passaggio.
... Il Nunzio uscì dalla Chiesa e io saltai da una finestra, per raggiungerlo si fermò sotto il capannone centrale del campo e ripeté su per giù lo stesso discorso [...] Il Nunzio ci benedisse, con parole povere, rapide, secche, cento volte ripetute: mi pareva commosso del nostro soffrire che si palesava nell'intensità della nostra ascoltazione e nel nostro stesso morboso affollarci. "Vi benedico, miei poveri figlioli, vi benedico; siate forti, siate calmi, vi benedico, vi benedico."
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