Renzo Guolo
Perché l’Is vuole la Libia
la Repubblica, 14 febbraio 2015
LA LIBIA è sempre più terra di conquista dell’Is. Le milizie che hanno
giurato fedeltà a al Baghdadi conquistano anche Sirte. Dopo Derna, dove
dallo scorso autunno le milizie del Consiglio della Shura hanno
proclamato la loro adesione al Califfato, Sirte è la seconda città
libica a finire sotto i vessilli nerocerchiati. Ma l’influenza dell’Is
si estende ormai a Bengasi, sino a poco tempo fa incontrastato regno
della qaedista Ansar al-Sharia. Ora, sotto la possente spinta simbolica
del Califfato, molti dei seguaci di Ansar cominciano a affluire tra i
ranghi dell’Is.
Un processo analogo a quanto accaduto in Siria, con il progressivo
svuotamento di Al Nusra a favore dell’Is. A Sirte la radio trasmette già
discorsi del Califfo Nero, sintomo del nuovo e cruento ordine che si
annuncia. E, come ha mostrato anche l’attacco all’hotel Corinthia, gli
jihadisti agiscono anche a Tripoli.
Che la situazione sia precipitata lo dimostra non solo l’invito
dell’ambasciata italiana ai nostri connazionali ad abbandonare il paese;
ma anche la decisione dell’Egitto di far evacuare i propri cittadini.
Le immagini da cronaca di una morte annunciata pubblicate sulla rivista
Dabiq , con gli incapucciati in nero che fanno sfilare sulla spiaggia di
Sirte i ventuno cristiani copti rapiti nei mesi scorsi, definiti come
da copione “crociati”, fanno capire che ormai anche l’Egitto è un
bersaglio dell’Is. Anzi, un doppio nemico, politico e religioso. Perché
il Cairo appoggia e fornisce supporto logistico e aereo alla milizie di
Al Hattar, il generale che vuole fare piazza pulita di ogni gruppo
islamista in Libia; perché Al Sissi, nemico giurato degli jihadisti in
riva al Nilo, vede nei copti un pilastro della sua diga antislamista. La
cattura dei copti il Libia viene presentata dai nerocerchiati con la
necessità di vendicare le donne musulmane, a loro avviso, vittime del
«complotto della chiesa egiziana». Una vicenda annosa, quella delle
donne cristiane convertite all’islam, che, secondo la propaganda
islamista, sarebbero poi state costrette dalla Chiesa copto-ortodossa a
rinnegare la loro conversione. Ma pur sempre una questione sensibile in
Egitto, che viene non a caso agitata per rafforzare influenza e
reclutamento dell’Is.
In quel grande buco nero che è la Libia, Stato fallito ormai preda delle
sue migliaia di milizie armate l’una contro l’altra, il Califfato
guadagna terreno. A poche centinaia di miglia dall’Italia e dai confini
dell’Europa. Un pericolo enorme per l’Occidente. Non solo da quella
sponda i traffici di migranti possono essere gestiti, sotto il
controllo jihadista, come attiva forma di destabilizzazione dei paesi
europei, Italia in testa. Con le tante katibe che controllano le coste
della Tripolitania al servizio, in una logica di convenienza e
sopravvivenza, degli obiettivi strategici del Califfo Nero. Ma il
Califfato in riva al Mediterraneo può anche diventare il magnete per gli
jihadisti del Magheb, dell’Africa subsahiarana, dell’area egiziana e
sudanese. Oltre che un mito politico per la gioventù musulmana
radicalizzata in Europa. Una sorta di Somalia davanti alla Sicilia. Gli
uomini in nero sullo sfondo azzurro del mare non sarebbero, allora, solo
un mero effetto cromatico ma una seria minaccia.
Che fare, dunque? Intervenire? E come? Una missione di peace-keeping
sotto mandato Onu, come ipotizza il governo italiano, appare
problematica in un contesto in cui gli schieramenti, le alleanze, gli
interessi di fazioni e milizie locali sono assai mutevoli. Le forze
inviate dal Palazzo di Vetro potrebbero diventare un bersaglio senza
produrre effettivi risultati politici. Qui più che mantenere la pace,
bisognerebbe imporla. Ma un’operazione di peace-enforcement, un
intervento militare sotto forma dell’ennesima “coalizione dei
volenterosi” di turno, sarebbe ancora più problematica senza avere un
realistico progetto strategico per il dopo. Difficilmente Stati Uniti e
Europa potrebbero assumersi un simile rischio. Il Califfato, però, e’
ormai alle porte e urge una risposta a questo dilemma tragico. La
vicenda riguarda innanzitutto l’Italia, se non altro per i risvolti
storici e geopolitici che la legano all’antica Quarta sponda, ma non
solo. Più che mai qui i confini sono i confini di tutti. In gioco c’è la
sicurezza delle società europee e gli equilibri nel Mediterraneo.
Tergiversare sarebbe catastrofico. La questione libica richiede un
intervento, e una precisa strategia, da parte della comunità
internazionale. Dopo, potrebbe essere tardi.
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