Torino, 14 aprile 1987
Caro Pavone,
grazie dell’estratto del tuo articolo, molto interessante,
che avevo già adocchiato (ndr si tratta dell’intervento di Pavone alla
Fondazione Micheletti in cui per la prima volta formula in modo organico
la sua tesi sulla Resistenza anche come “guerra civile”). Ma c’è
differenza tra adocchiare e leggere: gli estratti servono proprio per
questo. Il tema da te affrontato è di grande interesse: non avevo ancora
chiaro quanto esteso fosse il riconoscimento della guerra di
liberazione come guerra civile: da una parte e dall’altra. Avevo sempre
avuto l’impressione che fosse più grande la rimozione da parte degli
antifascisti. E invece non è vero, almeno per quel che riguarda i tempi della lotta
medesima (ndr Pavone spiega che la censura della nozione di “guerra
civile” era più diffusa nel dopoguerra di quanto fosse stata tra gli
stessi resistenti).
La rimozione da parte degli antifascisti è avvenuta sostituendo il
concetto di «guerra partigiana » a quello di «guerra civile »: la guerra
partigiana non è nel linguaggio tecnico o tecnicizzato una guerra
civile, perché è una guerra contro lo straniero, se pure interno, o
combattuta internamente. Guerra civile poteva essere soltanto quella
contro i fascisti, ma una guerra di liberazione nazionale (di libertà
dallo straniero) non può essere considerata nel senso rigoroso della
parola una guerra civile. E la guerra dei partigiani fu, nella storia
scritta dai vincitori, interpretata esclusivamente come una guerra di
liberazione nazionale, un’interpretazione in cui si fece prevalere
l’aspetto di lotta contro lo straniero su quello di lotta dell’alleato
italiano (considerato come un servo e uno strumento del più potente
alleato tedesco). È così?
Grazie ancora e cordiali saluti
Norberto Bobbio
Roma, 12 maggio 1987
Caro Bobbio,
ti ringrazio molto per l’attenta lettura che hai fatto
della mia relazione sulla «guerra civile». Quella relazione fu come
l’estratto anticipato, e concentrato, di un capitolo del lavoro più
ampio per concludere il quale avevo chiesto un anno di congedo (ma mi
sono fratturato un ginocchio, e più che biblioteche e archivi ho dovuto
frequentare ospedali). L’idea di questo lavoro mi venne dopo il
seminario che tenni qualche anno fa al vostro Centro Gobetti. Poi si è
sviluppato e anche aggrovigliato. Ho in mente un titolo provvisorio:
«Saggio storico sulla moralità della Resistenza italiana». Oltre a
intitolare alcuni capitoli a temi quali la scelta, il tradimento, la
violenza, ne ho previsti tre che dovrebbero costituire proprio un
trittico: la guerra patriottica, la guerra civile, la guerra di classe.
Ti scrivo questo per comunicarti che i dubbi che tu esprimi nella tua
lettera sulla piena liceità dell’uso del concetto di guerra civile per
designare la resistenza sono anche i miei, nel senso che non considero
quel concetto esaustivo. Penso invece che esso si combini in modo vario,
talvolta nelle stesse persone, con il carattere patriottico (guerra di
liberazione) e con il carattere «di classe» che ebbe la lotta. Per un
«badogliano» il carattere patriottico poteva essere tutto; per un
operaio comunista il nemico ideale e riassuntivo sarebbe stato un
padrone fascista e servo dei tedeschi (ma non sem- pre i padroni davano
questa soddisfazione agli operai...).
Ti ringrazio ancora e ti ricambio tanti cordiali saluti
Claudio Pavone
Torino, 10 aprile 1991
Caro Pavone,
eccoti il discorso sulla Resistenza,
inedito, di cui ti ho parlato ieri alla fine del seminario. Ricordavo
di aver parlato delle tre guerre, ma non l’avevo mai più riletto,
neppure quando scrissi l’articolo sulla «Stampa» che fu intitolato Le
tre guerre, e scrivendo il quale probabilmente avevo in mente, pur senza
averle rilette, le cose scritte da te, e lo scambio di lettere che vi
fu tra noi due qualche anno fa, e di cui però ho un vago ricordo.
Confrontando le tre guerre d’ora con le tre guerre del discorso del 1965
ci sono delle differenze, che mi paiono retrospettivamente di un certo
interesse: la seconda guerra nel discorso del 1965 non viene mai
chiamata «guerra civile»: segno evidente che allora questa espressione
non si poteva ancora usare per una sorta di autocensura; la terza guerra
non viene chiamata guerra di classe ma eufemisticamente di
«emancipazione popolare» o d’«emancipazione sociale». (...) Cambia così
anche il giudizio finale sulla terza guerra: completamente fallita
nell’articolo di qualche mese fa, non fallita del tutto ma ancora in
fase d’attuazione, nel discorso del 1965. Superfluo precisare che tra il
1965 e il 1990 c’è stato l’evento catastrofico della fine dei regimi
comunisti. Il che spiega l’inconsapevole aggiustamento. (...)
Norberto
Bobbio
Roma, 14 luglio 1991
Caro Bobbio,
(...) mi sembra che nel
discorso del 1965, a parte la diversa terminologia usata per designare
le tre guerre, vi sia una meno rigida distinzione dei soggetti che
combattono le tre guerre. (...). Ti unisco la premessa e il sommario del
volume. Il titolo è frutto di lunghe discussioni con Bollati. La guerra
civile ha finito col fare aggio sulle altre due. (...)
Claudio Pavone
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