mercoledì 11 settembre 2024

Il fallimento dei filosofi



Luca Canali, La Resistenza impura, manifestolibri, Roma 2005

Il fallimento dei filosofi, e più in generale degli intellettuali contemporanei, è dato dalla loro impotenza a fornire alle masse, o quanto meno a una élite di loro seguaci, una umana concezione e prospettiva di vita, cioè a rappresentare la loro coscienza. Per così dire essi che hanno per ufficio essere il cervello della società, hanno lasciato la società senza cervello, professori avviliti dall'intrigo accademico, mediocri arrivisti, filologi ed esegeti del pensiero altrui anziché pensatori in proprio e ricercatori di nuovi sistemi, che sembrava dovessero essere surrogati dalla scienza e [che] invece la scienza stessa richiede per potervisi umanamente inquadrare.

Non si tratta qui ovviamente del confronto con i problemi più arretrati del mondo moderno, quelli che questo mondo collegano con un passato purtroppo ancor vivo, il colonialismo il razzismo l'ingiustizia sociale la corruzione pubblica (nessuno contesterà, credo, il carattere anche filosofico di questi fenomeni civili): la risposta a questi problemi è in generale abbastanza chiara, e v'è un numero sufficiente di persone disposte a impegnarsi per risolutamente affermarla. Si tratta bensì dei problemi della nostra civiltà nei suoi punti più avanzati, cioè nei luoghi e nei momenti in cui quelle sopravvivenze siano state in gran parte eliminate e gli elementi di crisi si prospettino a un superiore livello.

Comprendo bene che tali problemi, riguardanti non più la conquista dell'indipendenza, della giustizia, della libertà intellettuale e morale, ma più precisamente il contenuto storico e il senso attuale di esse, possano a prima vista sembrare astratti in una realtà come la nostra in cui antico e moderno, barbarie e progresso sono così profondamente intrecciati da mettere continuamente in primo piano l'impegno operativo rispetto a quello teorico; ma tuttavia credo ugualmente che la loro soluzione, cioè il loro mutarsi in prospettiva, o almeno la loro formulazione in termini di perentoria chiarezza, costituisca il mezzo più efficace, per non dire necessario, per risolvere anche i problemi più arretrati, quelli che la perplessità sul senso stesso del progresso rischia di prolungare per la neutralità o l'apatia di certuni. Insomma tra oppresso e oppressore, tra affamato e affamatore è relativamente facile la scelta; e certo la scelta deve essere fatta. Ma forse pensando alla sorte dell'uomo libero e dell'uomo sazio, e più propriamente ai contenuti ideali della sua libertà e della sua vita, si avrebbero nuove armi, e nuovi alleati, nella lotta contro l'oppressione e la fame. Prefigurare nei suoi valori un mondo libero dai paras accelererebbe la scomparsa dei paras, se è vero come affermano i medici che per tornare in buona salute è necessario non solo guarire dalla malattia ma anche desiderare di vivere.

Del resto, compito più appropriato all'uomo, e soprattutto all'uomo pensante, è vivere nel presente senza spezzare i legami con il passato e nello stesso tempo guardando al futuro. Ma dei tre termini l'ultimo è l'essenziale, la necessità del progetto, distinto dall'utopia perché le sue premesse sono già nel presente, sia pure in forma embrionale: solo chi guarda a un futuro siffatto può conservare ciò che è davvero valido del passato, cioè vivere pienamente nel presente. 

https://machiave.blogspot-com/2014/06/luca-canali-un-ricordo.html

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