venerdì 13 settembre 2024

Ettore e Andromaca, l'addio

Joseph-Marie Vien, Les adieux d'Hector et d'Andromaque, 1786, Museo del Louvre

Siamo abituati a pensare che la scena rappresenti il dilemma tra l'amore per la moglie e il dovere verso Troia in Ettore. Dilemma risolto dall'eroe che aderisce all'ideale del guerriero fedele alla patria. A ben vedere anche Andromaca segue l'andamento della guerra, va sulle mura a osservare gli scontri che si svolgono in basso. Tuttavia in lei prevale l'attaccamento alla vita del marito. Da lui dipende l'intero suo destino. Non sbaglia il pittore Vien quando pone Andromaca al centro della scena, con gli occhi sbarrati, mentre Ettore abbassa le palpebre, quasi per una ammissione di colpa. Dulce et decorum est pro patria mori, canta Orazio sulle orme di Tirteo che aveva a sua volta scandito: «Giacere morto è bello, quando un prode lotta per la sua patria e cade in prima fila». Un secolo prima di Tirteo, l'Iliade pur assegnando il giusto rilievo al patriottismo di Ettore rivela lo strazio prodotto nell'animo della donna dal sacrificio del marito guerriero, ostaggio di una sorte avversa. Andromaca donna di carattere ritorna nella tragedia omonima di Racine (1667). Ci sono varie ipotesi sul significato del suo nome. Alla luce di quanto si è detto, la più plausibile appare essere "colei che combatte audacemente" [viriliter pugnans].

Iliade, VI, versi 392-502, traduzione di Ettore Romagnoli


 Dette queste parole, l’eroe dal fulgente cimiero,
Ettore, mosse: e alla bella sua casa in un attimo giunse.
Ma non trovò nelle stanze la sposa dal candido braccio:
ch’essa col bimbo e l’ancella dal peplo fulgente, recata
s’era alla torre, e lí, piangeva, levava lamenti.
Ettore, poi che in casa non trovò la pura sua sposa,

sopra la soglia i passi fermò, si rivolse alle ancelle:
“Donne, di casa, andiamo, sapete di Andromaca dirmi,
sicuramente dove si trovi? Che fuor della casa.
Dalle cognate è andata fors’ella, o nel tempio d’Atena,
dove la Dea tremenda imploran le donne di Troia?». —
La dispensiera fida con queste parole rispose:
«Ettore, come tu chiedi, ti posso dar certa risposta.
Non già dalle cognate né al tempio d’Atena ella è andata,
dove la Dea tremenda imploran le donne di Troia;
ma sovra l’alta torre di Troia, quand’ella ha sentito
c’han gran vantaggio gli Achivi, che cadono stanchi i Troiani.
Subito allora è corsa di furia, verso le mura
come una pazza; e con lei la nutrice, recando il bambino».
La dispensiera disse così. Si spiccò dalla casa
Ettore, su la medesima via, per le belle contrade.
Ora, quand’egli, tutta la grande città traversata,
giunse alle porte Sceèe, dond’era l’uscita sul piano,
quivi gli venne contro, correndo, la florida sposa,
Andromaca
, la figlia d’Etíone dall’animo grande,
d’Etíone, che sottesse le selve abitava del Placo,
nell’Ipoplacia Tebe, di genti cilicie signore;
e d’Ettore, fulgente guerriero, fu sposa la figlia.
Contro or gli mosse; e l’ancella seguiala, che il bimbo recava
parvolo ancora, 
né ancora parola dicea, tra le braccia,
d’Ettore il figlio diletto, che un astro del cielo sembrava.
Ettore lo chiamava Scamandrio; ma gli altri Troiani
Astïanatte: ché il padre, da solo era schermo di Troia.
Ecco, e sorrise in silenzio, com’egli il suo pargolo vide.
Ma, lagrime versando, vicina gli venne la sposa,
e per la man lo prese, gli volse cosí la parola:

«Misero te, la tua furia sarà la tua perdita, e il bimbo
non ti commuove a pietà, non io sciagurata, che presto
vedova rimarrò di te: ché ben presto gli Achei
t’uccideranno, piombando su te tutti insieme. Ed allora,
quando di te sarò priva, meglio è ch’io discenda sotterra;
poi che nessun conforto, se un tristo destino ti coglie,
piú mi rimane, ma solo cordoglio. Non padre, non madre
piú mi rimane. Ché il padre m’uccise il terribile Achille,

e la fiorente abbatté popolosa città dei Cilíci,
Tebe dall’alta porta. Die’ morte ad Etíone Achille,
né lo spogliò dell’armi, ché n’ebbe nel cuor peritanza;
ma, chiuso ancor nell’armi sue belle, lo diede alle fiamme,
e su le ceneri il tumulo estrusse; e le Ninfe montane,
figlie di Giove, che l’ègida scuote, lo cinsero d’olmi.
Nella mia casa con me vivevano sette fratelli;
ma nello stesso giorno piombarono tutti nell’Ade;
ché tutti quanti Achille, l’eroe piú gagliardo, li uccise,
presso alle tarde loro giovenche, alle pecore bianche.
La madre mia, la sposa del sire di Tebe Ipoplacia,
qui la condusse Achille con l’altre sue prede di guerra.
Poi rimandata l’aveva, ché n’ebbe riscatto infinito;
ma nella casa del padre, d’Artèmide un dardo la spense.
Ettore, dunque per me tu sei padre, sei tenera madre,
fratello sei per me, sei florido sposo.
 Oh, t’imploro,
muoviti adesso a pietà! Rimani con noi sulla torre,
non lasciar orfano il bimbo, né vedova me tua compagna!
E presso il caprifico la gente raccogli, ove il varco
s’apre piú facile verso la rocca, e piú agevole è il muro:
ché già l’hanno tentato tre volte i piú prodi guerrieri,
stretti agli Aiaci intorno, intorno ai due figli d’Atrèo,
a Idomenèo, valoroso campione, al figliuol di Tidèo,
sia che scaltriti li abbia qualcuno d’oracoli esperto,
sia che l’animo loro li spinga e costí li diriga».
Ettore grande, il prode dall’elmo corrusco, rispose:
«Di tutto questo anch’io pensiero mi do, sposa mia;
ma dei Troiani troppo temo io, delle donne troiane,
se come un vile in disparte mi faccio, se schivo la guerra;
né mi v’induca il mio cuore, ché appresi a condurmi da prode,
sempre,
 a combattere sempre fra i primi guerrieri di Troia,
gloria pel padre mio, per me gloria sempre acquistando.
E bene questo io so: me lo dicono l’anima e il cuore:
giorno verrà che cadrà la rocca santissima d’Ilio,
ed il re Priamo, e la gente di Priamo, maestra di lancia.
Ma non cosí dei Troiani la doglia futura mi cruccia,
non d’Ècuba mia madre, né pure del vecchio mio padre,
né dei fratelli miei, che molti, che forti, dovranno
sotto i nemici colpi cader nella polvere spenti,
come di te, quando alcuno dei duri guerrieri d’Acaia
via lagrimosa ti tragga, lontana dai liberi giorni,
e in Argo debba tu filare al telaio d’un’altra,

e da Messíde l’acqua tu debba portar, da Iperèa,
ben repugnante; ma pure costretta sarai dal destino.
E forse alcun dirà, vedendo che lagrime versi:
«D’Ettore è questa la sposa, che primo fra tutti i Troiani
era in valor, quando a Troia d’attorno ferveva la pugna».
Questo qualcuno dirà, nuova doglia sarà nel tuo cuore,
priva dell’uom che potrebbe strapparti alla vita servile.
Ah! Ma la terra sparsa sovresso il mio corpo mi asconda,
pria che il tuo lagno ascolti,
 che via tratta schiava io ti sappia!».
Poi ch’ebbe detto cosí, le mani tese Ettore al bimbo.
Ma con un grido il bambolo il viso nascose nel grembo
della nutrice bella, sgomento all’aspetto del padre:
ché sbigottí, vedendo rifulgere il bronzo, ed i crini
terribilmente ondeggiare su l’alto cimiero de l’elmo.
Sorrise il padre caro, sorrise la nobile madre.
E súbito dal capo via l’elmo si tolse l’eroe,
e a terra lo posò, che fu tutto un barbaglio di raggi.
Quand’ebbe poi baciato, palleggiato il figlio suo caro,
tale preghiera a Giove rivolse ed a tutti i Celesti:
«Giove, e voi tutti, o Numi, deh!, fate che tale divenga
questo mio figlio, quale sono io, dei Troiani l’insigne,
forte cosí di membra, sicuro signore di Troia.

E quando ei tornerà dal campo, taluno abbia dire:
«Questi è più forte molto del padre!». E, trafitto il nemico,
rechi di sangue intrise le spoglie; e s’allegri la madre».
Detto cosi, fra le braccia depose alla sposa diletta
il suo bambolo. Andromaca al seno odoroso lo strinse,
e fra le lagrime rise. 
vide lo sposo quel riso,
e si commosse, 
e a farle carezza distese la mano:
«O poverina! — le disse — non stare ad affliggerti troppo:
ché contro il fato nessuno potrà giù nell’Ade piombarmi:
ché la sua sorte, ti dico, nessuno degli uomini schiva,
né buono, né malvagio, come essa per lui sopraggiunga.
Via, dunque, adesso, a casa ritorna, ed all’opere attendi,
alla tua rocca, al telaio, partisci comandi alle ancelle,
ch’esse lavorino. E gli uomini, quanti ne nacquero in Ilio,
— io più che tutti gli altri — dovranno pensare alla guerra».

Nessun commento:

Posta un commento