Campo di grano con sfondo di montagne (1889) |
Un prato tra le montagne (1889) |
Federico Giannini Ilaria Baratta, Finestre sull'Arte
Non
v’è dubbio che, alla base della fortuna critica del grande Vincent
van Gogh (Zundert,
1853 - Auvers-sur-Oise, 1890), sia possibile collocare, tra gli
altri, il contributo apportato dallo storico dell’arte Roger
Fry (Londra,
1866 - 1934), che si può annoverare tra coloro che hanno consentito
l’ingresso del nome del grande pittore olandese (nei confronti del
quale, com’è universalmente noto, la sorte non fu certo benevola
fin tanto che fu in vita) nella storia
dell’arte.
Uno dei meriti di Roger Fry sta nell’aver pienamente colto
l’essenza del rapporto
tra van Gogh e la natura:
nell’articolo con cui, nel 1922, lo studioso inglese operò una
sorta di canonizzazione dell’artista
(letteralmente: “era un folle, ma era anche un santo”, scrisse
Fry, perché “tra tutti i subbugli della sua vita interiore,
l’unico impulso supremo e dominante era una passione d’amore
universale”), viene formulata a chiare lettere la posizione critica
che, di fatto, ha posto van Gogh tra i grandi del XIX secolo. Fry, in
particolare, sottolinea il fatto che le immagini dipinte da van Gogh
scaturiscano da un approccio al mondo esteriore ch’è diverso
rispetto a quello che caratterizzava gran parte dei pittori suoi
contemporanei, e che muoveva da un’emozione tutta interiore: in
altri termini, i suoi dipinti erano, per utilizzare le parole di Fry,
“pure espressioni di sé”, e nessun altro artista era riuscito
meglio di van Gogh a “illustrare così pienamente la propria
anima”. Tra i momenti più felici della carriera di van Gogh, Fry
individuava la prima fase del suo soggiorno
ad Arles (tanto
da definire il 1888 un annus
mirabilis per
il pittore di Zundert), e poneva l’accento sull’approccio di van
Gogh nei confronti della natura, rimarcando le differenze che lo
separavano da Paul Cézanne: riferendosi a un dipinto come La
casa gialla di Arles (conservato
al Van Gogh Museum di Amsterdam, raffigura l’abitazione dove van
Gogh risiedette per qualche tempo in affitto durante la sua
permanenza nella città della Camargue), lo storico dell’arte
notava come l’artista avesse saturato il cielo per donargli un blu
che poco aveva a che vedere con quello dei cieli mediterranei ma che
intendeva proporre un’immagine più intensa, drammatica, “quasi
minacciosa” (al contrario dei paesaggi di Cézanne che, invece,
ispiravano contemplazione e riflessione). “L’interesse
dell’artista”, affermava Fry, “era interamente catturato dal
drammatico conflitto tra le case e il cielo, e il resto era poco più
che un’introduzione a questo tema”.
https://machiave.blogspot.com/2021/11/la-montagna-sainte-victoire.html
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