venerdì 13 settembre 2024

Draghi profeta per caso


 La diagnosi da lui avanzata mentre l’Europa scivola nel deserto economico è ampiamente condivisa dagli esperti. Cosa fare al riguardo è la parte difficile. (politico.eu)

Roberto CiccarelliMomento Draghi: l’Europa si salva con le armi e i capitali, il manifesto, 10 settembre 2024

Armi, microchip, intelligenza artificiale e «energia green» per salvare i diritti sociali senza però rimediare ai danni di 40 anni di neoliberalismo. Avvolto in un’aura sacrale Mario Draghi ieri è tornato a indossare i panni del profeta.

PRESENTANDO il rapporto sul «Futuro della competitività» chiesto dalla presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen ieri Draghi ha detto che l’Europa «corre un rischio esistenziale». È il vaso di coccio nella guerra industriale e commerciale tra Stati Uniti e Cina. Per evitare di mettere fine al «modello sociale europeo», o meglio di ciò che ne resta sotto altre spoglie, l’Unione europea deve ripensarsi radicalmente e varare uno strumento finanziario di «debito comune» da 800 miliardi di euro all’anno. Insomma, un Next Generation Eu (chiamato in Italia «Piano nazionale di ripresa e resilienza – Pnrr») moltiplicato per otto. Ogni anno.

UNA MONTAGNA DI SOLDI che dovrebbero finanziare principalmente l’industria dei missili e dei carri armati, della tecnologia digitale, delle infrastrutture. L’obiettivo è partecipare a uno speciale campionato, quello della guerra dei capitali, in cui formare «campioni europei» che, forse in un giorno non precisabile, potranno competere con gli oligopoli statunitensi e i cinesi. La pace, i diritti, la politica si fanno con le armi in pugno.

IL PROGETTO è stato ufficializzato due giorni prima dalla composizione della nuova Commissione Europea. A dire di Von Der Leyen, che ieri ha affiancato Draghi in uno show annunciato, l’ambizioso testo è già «sul tavolo del Consiglio» dove siedono i governi degli Stati membri. I commissari designati all’esecutivo europeo dovranno impegnarsi ad applicare le 170 proposte riassunte, in maniera legnosa, in 62 pagine. Anche se non porta benissimo, visti gli esiti che ha prodotto in Italia, il rapporto è stato ribattezzato «Agenda Draghi» dall’entusiasta Partito democratico in giù. Critici invece l’Alleanza Verdi Sinistra e Cinque Stelle.

CON UN’EUROPA politicamente a pezzi, dilaniata dallo scontro tra il mercantilismo e il nazionalismo, è remota la possibilità di realizzare interamente il piano Marshall intestato a Draghi, più che doppio in termini di investimenti rispetto al Prodotto Interno Lordo: 5% annuo contro l’1-2% degli anni Quaranta del XX secolo). Del resto, tentativi non così ambiziosi, ma comunque significativi quanto quello di Draghi, sono stati già fatti nella storia dell’Unione Europea. Nel 2019 ci provò Jean-Claude Juncker. Passò quasi del tutto inosservato. Altra pasta d’uomo si direbbe. Poco aduso alle magie linguistiche, e all’autorevolezza, di Draghi. Ma le difficoltà restano, sono tante. Al punto che Draghi potrebbe mantenere il suo status di profeta inascoltato mentre l’Europa nei prossimi cinque anni andrà in tutt’altra direzione rispetto a quella da lui auspicata.

L’EX PRESIDENTE DEL CONSIGLIO è un funambolo del realismo capitalista. Lui è pragmatico. Per questo non ha indicato una tabella di marcia, ha messo solo in fila raccomandazioni. È consapevole che può fare irritare i governi importanti. Ad esempio il ministro tedesco delle finanze Christian Lindner che non intende sentire parlare di debito comune europeo.

VON DER LEYEN, nelle acque agitate che si intravvedono, potrebbe presto trovarsi in difficoltà. Starà a lei trovare i compromessi per realizzare la visione di Draghi. Ieri non ha voluto rovinare la magia del momento: «Saranno necessari fondi comuni per alcuni progetti europei comuni. Il compito è ora definire questo progetto – ha detto – Poi definiremo se li finanzieremo con nuovi contributi nazionali o con nuove risorse proprie».

UN ALTRO PUNTO POLITICO rilevante del rapporto Draghi è la riforma del voto all’unanimità senza ricorrere a impegnative revisioni dei trattati europei. Ciò potrebbe portare a un’Europa delle «cooperazioni rafforzate». Draghi suggerisce di adottare un «nuovo quadro di coordinamento della competitività». Se l’Ue è bloccata dai veti incrociati, allora bisogna creare una «coalizione di volenterosi». L’ex banchiere si è reso conto di avere citato il tragico Bush figlio. E ha precisato: l’hanno fatto in un «altro contesto». La possibilità di creare una simile «coalizione» è da verificare nell’attuale congiuntura. Con Marine Le Pen che etero-dirige il governo macronista in Francia e con l’Afd che sta con il fiato sul collo del pallido Olaf Scholz. La creazione di un debito comune presuppone una maggiore concentrazione politica ed economica. Difficile come prospettiva.

DRAGHI HA DATO UNA FORMA politica a un’altra trasformazione osservata negli anni della guerra russa in Ucraina e dell’allineamento dell’Ue alla Nato. La sua idea è di cambiare il paradigma della politica estera continentale in una «politica della sicurezza economica». In un mondo in cui la guerra si fa sia con le armi che con il protezionismo economico la politica estera deve coordinare quella industriale, la concorrenza e il commercio.

LO SCOPO È RAGGIUNGERE una «capacità industriale di difesa indipendente». Questo significa che invece di «produrre dodici diversi tipi di carri armati» bisogna produrne uno solo «come negli Stati Uniti». La raccomandazione di Draghi è modificare le norme sulla concorrenza. Ciò allude all’esenzione degli investimenti in armi dai calcoli del «patto di stabilità». Richiesta avanzata dal governo italiano nell’interesse delle industrie della guerra.

IL DOCUMENTO RESTITUISCE la cifra autoritaria e tecnocratica della politica. A tale proposito è interessante rileggere oggi una lettera inviata a Draghi e Von Der Leyen l’otto maggio scorso. È stato firmato da organizzazioni della «società civile» che hanno denunciato la «mancanza di trasparenza» e il «rischio di cattura da parte del big business». «La filosofia complessiva di Draghi – si legge – permetterà alla concentrazione del mercato di aumentare ulteriormente in Europa, danneggiando i consumatori, i lavoratori e le piccole imprese europee e minando di fatto la nostra competitività». «Porterà a una situazione in cui i grandi cosiddetti “Campioni d’Europa” vengono sovvenzionati in modo improduttivo con denaro pubblico, mentre importanti obiettivi sociali, economici e ambientali vengono sacrificati a vantaggio degli azionisti di queste imprese dominanti».

SU QUESTA «FILOSOFIA» è stato costruito il Next Generation Eu e il Pnrr in Italia al quale si pensa più per il metodo di finanziamento che per il coinvolgimento delle cittadinanze, che non c’è stato. Se uno Stato sociale ci dev’essere, esso sarà la conseguenza di una «crescita» del mercato dei capitali e della capacità di produrre microchip, pale eoliche e cannoni.

----------------------------------------------------------------

Thomas Piketty, "Il rapporto Draghi ha l'immenso merito di stravolgere il dogma dell'austerità di bilancio", Le Monde, 14 settembre 2024

Diciamolo subito: il  rapporto sulla competitività e il futuro dell'Europa  presentato da Mario Draghi alla Commissione Europea va nella giusta direzione.

Per l’ex presidente della Banca centrale europea (BCE), in futuro l’Unione europea (UE) dovrà effettuare 800 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi all’anno – l’equivalente del 5% del suo prodotto interno lordo (PIL) –, ovvero circa tre volte il Piano Marshall (tra l’1% e il 2% del Pil in investimenti annuali nel dopoguerra).

Il continente tornerà così al livello di investimenti degli anni ’60 e ’70. Per raggiungere questo obiettivo, il rapporto propone di ricorrere all’indebitamento europeo, come è stato fatto con il piano di ripresa da 750 miliardi di euro adottato nel 2020 per far fronte al Covid-19. Solo che ora si tratta di raccogliere ogni anno tali somme per investire in modo sostenibile nel futuro (in particolare nella ricerca e nelle nuove tecnologie), e non di finanziare una risposta eccezionale alla pandemia. Se l’UE si dimostrerà incapace di effettuare questi investimenti, il continente entrerà in una “lenta agonia” di fronte agli Stati Uniti e alla Cina, avverte il rapporto.

Possiamo non essere d’accordo con Mario Draghi su diversi punti essenziali, in particolare sulla composizione precisa dell’investimento in questione, il che non è roba da poco. Resta il fatto che questa relazione ha l’immenso merito di torcere il collo al dogma dell’austerità di bilancio.

Secondo alcuni, in Germania ma anche in Francia, i paesi europei dovrebbero pentirsi dei deficit passati ed entrare in una lunga fase di avanzi primari dei conti pubblici, vale a dire una fase in cui i contribuenti dovrebbero pagare molte più tasse di quelle che pagano. ricevere in spesa, per ripagare urgentemente gli interessi del debito e il capitale.

La manna del risparmio

In realtà, questo dogma dell’austerità si basa su un’assurdità economica. In primo luogo perché negli ultimi vent’anni i tassi di interesse reali (al netto dell’inflazione) sono scesi a livelli storicamente bassi in Europa e negli Stati Uniti: meno dell’1% o del 2%, o talvolta addirittura livelli negativi. Ciò riflette una situazione in cui c’è un’enorme manna di risparmi poco o scarsamente utilizzati in Europa e su scala globale, pronti a confluire nei sistemi finanziari occidentali quasi senza alcun ritorno. In una situazione del genere, spetta alle autorità pubbliche mobilitare queste somme per investirle nella formazione, nella sanità, nella ricerca e nelle nuove tecnologie, nelle grandi infrastrutture energetiche e di trasporto, nella ristrutturazione termica degli edifici, ecc.

Per quanto riguarda il livello del debito pubblico, è effettivamente molto elevato, ma non senza precedenti: è vicino a quello osservato in Francia nel 1789 (circa un anno di reddito nazionale), ed è significativamente inferiore a quelli osservati nel Regno Unito dopo le guerre napoleoniche e nel XIX secolo  (due anni di reddito nazionale) e in tutti i paesi occidentali alla fine delle due guerre mondiali (tra due e tre anni).

Tuttavia, ciò che la storia dimostra è che non è possibile affrontare tali livelli di debito con metodi ordinari: sono necessarie misure eccezionali, come i prelievi sui patrimoni privati ​​più elevati, come quelli applicati con successo in Germania e Giappone nel dopoguerra. Quando i tassi di interesse reali aumenteranno, dovremo fare lo stesso coinvolgendo multimilionari e miliardari. Alcuni diranno che è impossibile, ma in realtà è solo un gioco di scrittura al computer. Lo stesso non vale per il riscaldamento globale o per le sfide legate alla salute pubblica o alla formazione, che non si risolveranno con un tratto di penna.

Approccio esperto di tecnologia

Se ora esaminiamo i dettagli delle proposte del rapporto Draghi, c'è ovviamente molto di cui lamentarsi, ed è tanto meglio. Dal momento in cui accettiamo il principio secondo cui l’Europa deve investire in modo massiccio, è positivo che si esprimano diverse visioni sul tipo di modello di sviluppo e sugli indicatori di benessere che desideriamo attuare.

In questo caso, Draghi si affida a un approccio tecnofilo, commerciale e consumistico abbastanza tradizionale. Sottolinea i grandi sussidi pubblici per gli investimenti privati ​​nella tecnologia digitale, nell’intelligenza artificiale e nell’ambiente. Possiamo però legittimamente pensare che l’Europa debba, al contrario, cogliere l’opportunità di sviluppare altre modalità di governance ed evitare di dare, ancora una volta, pieni poteri ai grandi gruppi capitalisti privati ​​per gestire i nostri dati, le nostre fonti energetiche o le nostre reti di trasporto .

Draghi prevede anche investimenti pubblici adeguati, ad esempio nella ricerca e nell’istruzione superiore, ma in un modo troppo elitario e restrittivo. Propone quindi che il Consiglio europeo della ricerca finanzi direttamente le università (e non più solo singoli progetti di ricerca), il che sarebbe un'ottima cosa. Purtroppo il rapporto suggerisce di concentrarsi solo su pochi centri di eccellenza nelle grandi metropoli, il che sarebbe economicamente pericoloso e politicamente inaccettabile. Per quanto riguarda la sanità pubblica e gli ospedali, essi sono quasi del tutto assenti dal rapporto.

In generale, affinché un simile piano di investimenti venga adottato, è essenziale che le aree svantaggiate e le regioni più svantaggiate – tra cui, ad esempio, la Germania – ne traggano beneficio e traggano benefici massicci e visibili. Se Francia, Germania, Italia e Spagna, che riuniscono tre quarti della popolazione e del Pil della zona euro, riusciranno a trovare un compromesso equilibrato e inclusivo sul piano sociale e territoriale, allora sarà possibile andare avanti senza aspettare. all’unanimità e facendo affidamento su uno zoccolo duro di paesi (come prevede il rapporto Draghi). Questo è il dibattito che ora deve iniziare in Europa.


 








Nessun commento:

Posta un commento