lunedì 23 settembre 2024

Etty Hillesum, un atto di fede e di speranza

 



Davvero, vivo in tempi bui!
La parola innocente è stolta. Una fronte distesa
vuol dire insensibilità. Chi ride
la notizia atroce
non l'ha ancora ricevuta.

Bertolt Brecht, A coloro che verranno, 1939

Viviamo in tempi difficili,  è un dato evidente. Di nuovo, come sull'orlo dell'ultima grande guerra, quando Brecht scrisse i versi citati in epigrafe. Siamo inseguiti dalle brutte notizie: morti in guerra, alluvioni, prospettive politiche incerte e minacciose qua e là, migranti lasciati annegare, giovani lasciati marcire in attesa di un lavoro che si trova solo all'estero in molti casi. In tempi assai difficili visse  Etty Hillesum che era nata nel 1914 in Olanda, a Middelburg, in una famiglia ebrea non praticante. Trasferitasi ad Amsterdam, si era laureata in Legge e cominciava a studiare lingue slave e a dare lezioni di russo (la lingua della madre). Era una giovane donna colta, vivace, curiosa. E molto irrequieta. Era in apparenza una donna come tante altre, aveva trovato lavoro come impiegata. Su di lei pendeva la minaccia della deportazione e della morte. Ne era consapevole. Tenne un diario che è per noi fonte di ispirazione e di luce spirituale ancora oggi, soprattutto oggi.
Il 7 settembre 1943 Etty con alcuni familiari salì su un convoglio diretto in Polonia. Dal treno, riuscì a gettare un biglietto che fu ritrovato lungo la linea della ferrovia  e spedito alla destinataria, una sua amica: fu l'ultimo suo messaggio. Il padre e la madre morirono tre giorni dopo, durante il  tragitto o gasati al loro arrivo; secondo quanto riportato dalla Croce Rossa, Etty morì il 30 novembre 1943 e suo fratello Mischa il 31 marzo 1944, entrambi ad Auschwitz. 

Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1996

Sabato sera, mezzanotte e mezzo [20 giugno 1942] Per umiliare qualcuno si deve essere in due: colui che umilia, e colui che è umiliato e soprattutto: che si lascia umiliare. Se manca il secondo, e cioè la parte passiva è immune da ogni umiliazione, questa evapora nell’aria. Restano solo delle disposizioni fastidiose che interferiscono nella vita di tutti i giorni, ma nessuna umiliazione e oppressione angosciose. Si deve insegnarlo agli ebrei... Possono renderci la vita un po’ spiacevole, possono privarci di qualche bene materiale o di un po’ di libertà di movimento, ma siamo noi stessi a privarci delle nostre forze migliori con il nostro atteggiamento sbagliato: col nostro sentirci perseguitati, umiliati, oppressi, col nostro odio e la millanteria che maschera la paura. Certo che ogni tanto si può essere tristi e abbattuti per quel che ci fanno, è umano e comprensibile che sia così. E tuttavia: siamo soprattutto noi stessi a derubarci da soli. Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e lavorare ‘a se stessi’ non è proprio una forma d’individualismo malaticcio. Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di trasformarlo in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo -. È l’unica soluzione possibile... Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra.


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