La poetessa Jadwiga Łuszczewska, che utilizzava il nome d'arte Diotima, in posa come l'antica veggente in un dipinto di Józef Simmler (1855) |
Dobbiamo pensare a un tempo in cui non era facile per una donna trovare posto nella società maschile, e quindi nella vita pubblica dominata dai maschi. Era così nell'Atene misogina di Socrate e di Platone. Nondimeno anche a quel tempo le donne esistenti potevano sviluppare pensieri e idee come accadeva ai loro concittadini maschi. Ecco allora come si arriva a Diotima di Mantinea. Questa donna non prende direttamente la parola in uno tra i dialoghi di Platone, il Simposio, viene chiamata in causa da Socrate, il quale rende conto del suo pensiero riguardo al tema dell'amore. Passano i secoli e Diotima ricompare in Germania nella stagione del romanticismo. Il poeta Hölderlin si innamora di una signora sposata, Susette Gontard, che per lui diventa Diotima. Curioso destino, quello di un nome che non è associato a una persona dotata di una esistenza autonoma. Diotima è la donna chiamata in causa da un interlocutore di sesso maschile. Nonostante ciò, mantiene una sua fisionomia e si staglia con palese disinvoltura sulla scena sia nel Simposio di Platone che nel rapporto epistolare con Hölderlin.
La Diotima di Hölderlin
In una casa agiata di Francoforte, luminosa e circondata da un folto parco, il poeta assoluto dell’età moderna, Friedrich Hölderlin, allora ventiseienne, incontrò Diotima, il suo «amato amore». E subito scriveva: «C’è un essere al mondo presso il quale il mio spirito può e potrà indugiare millenni». Quell’essere, che per Hölderlin era Diotima, si chiamava per tutti gli altri Susette Gontard, ed era la madre del giovane Henry, a cui Hölderlin doveva fare da precettore. Così nacque non una storia d’amore, ma una storia che era l’amore. Le stupende lettere di Diotima, così perfettamente accordate nel timbro a Hölderlin, sono l’unica traccia immediata che ci rimane di quella vicenda, che ebbe una conclusione brutale, a cui seguì entro breve tempo la morte improvvisa di Diotima. Ma anche in un certo gruppo delle liriche di Hölderlin parla Diotima, e nel suo nome anzi si può dire che Hölderlin trovi per la prima volta la sua inconfondibile voce. (Diotima e Hölderlin, Lettere e poesie, a cura di Enzo Mandruzzato, Adelphi, Milano 1979)
La Diotima di Platone (e di Socrate)
Socrate Esporrò invece il discorso, che ascoltai, un tempo, su Amore, da una donna di Mantinea, Diotima, che era sapiente in questo e in molte altre cose. E agli Ateniesi che una volta celebravano dei sacrifici, prima della pestilenza, cagionò un ritardo di dieci anni del malanno e a me fu maestra nelle faccende d'amore. Il discorso dunque che disse a me, prendendo io lo spunto da quanto si è concordato tra me e Agatone, proverò ad esporvelo da parte mia, a seconda delle mie possibilità. Occorre dunque, Agatone, esporre, nel modo al quale ti sei attenuto anche tu: chi è Amore e qual è, poi dire le sue opere. Mi pare comunque che per me sia alquanto facile attenermi al modo che un tempo seguiva la straniera interrogandomi. Perché anch'io un presso a poco le dicevo le cose quali ora Agatone sosteneva con me, che Amore è un gran dio, che è amore del bello: ed ella mi contraddiceva con i ragionamenti con cui ho confutato lui: che non è bello, secondo il mio discorso, e non è neanche buono. E io le dicevo: "Come dici, Diotima? Amore è brutto, ed è anche cattivo?". Ed essa: "E non vorrai parlare da costumato? O pensi forse che quel che non è bello debba per forza essere anche brutto?" "Certo", dicevo. "E quel che non è sapiente, deve essere ignorante? Non capisci dunque che tra sapienza e ignoranza c'è in mezzo qualche cosa?" "E cos'è questo?" "E non sai che avere retta opinione, anche senza avere il mezzo di darne ragione, non è né sapere è cosa illogica infatti, come potrebbe essere scienza? e neppure ignorare perché, quello che anche a caso raggiunge il vero, come potrebbe essere ignoranza? : un qualcosa di mezzo tra discernimento e ignoranza "Tu dici il vero", le dicevo io. "Non forzare dunque quel che non è bello a essere brutto, e quel che non è buono a essere cattivo. Così anche Amore, siccome tu stesso ammetti che non è buono né bello, non pensare affatto che debba essere brutto e cattivo, ma un qualcosa di mezzo a queste cose", diceva. "Eppure", intervenivo io, "si riconosce da parte di tutti che è un gran dio". "Tu dici tutti quelli che non sanno", mi chiedeva, "o anche quelli che sanno?" "Dico tutti indistintamente". Ed essa ridendo, mi chiedeva: "Ma come, Socrate, è riconosciuto come un grande dio da quelli che sostengono che non è neppure un dio?" "E chi sono questi?", rispondevo io. "Uno", ribatteva, "sei tu, l'altro io". E io ribattevo: "Ma come mai dici questo?". Ed ella di rimando: "è facile", rispose. "Dimmi: non sostieni tu che tutti gli dèi sono felici e belli? E oseresti dire che uno fra gli dèi non è né bello né felice?" "Per Zeus! Io no!", rispondevo. "E non chiami felici tu quelli che hanno bontà e bellezza?" "Ma certo". "Ma hai ammesso che Amore, per mancanza della bontà e della bellezza, desidera proprio queste cose di cui è privo?" "L'ho ammesso, infatti". "E come potrebbe essere un dio chi è privo della bellezza e della bontà?" "In nessun modo, a quel che pare". "Vedi dunque", incalzava, "che anche tu pensi che Amore non sia un dio?" "E cosa sarebbe allora", rispondevo, "un mortale?" "Niente affatto". "Ma cosa allora?" "Come si diceva prima", rispondeva, "un qualcosa di mezzo tra mortale e immortale". "Cosa dunque, Diotima?" "Un gran demone, Socrate. Infatti tutto ciò che ha parte del demone sta in mezzo al divino e al mortale".
Diotima-Palomar(wordpress.com)
(99+) Il grande equivoco dell'amore platonico, Corriere della sera - La Lettura, domenica 20 settembre 2015 | Mauro Bonazzi - Academia.edu
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