“La mia vita
trascorre sempre ugualmente monotona. Anche lo studiare è molto piú difficile
di quanto non sembrerebbe. Ho ricevuto qualche libro e in verità leggo molto
(piú di un volume al giorno, oltre i giornali), ma non è a questo che mi
riferisco; intendo altro. Sono assillato (è questo fenomeno proprio dei
carcerati, penso) da questa idea: che bisognerebbe far qualcosa «für ewig»,
secondo una complessa concezione di Goethe, che ricordo aver tormentato molto
il nostro Pascoli. Insomma, vorrei, secondo un piano prestabilito, occuparmi
intensamente e sistematicamente di qualche soggetto che mi assorbisse e centralizzasse
la mia vita interiore.”
Questo si legge in una delle più belle (e commoventi) lettere
di Gramsci, inviata a Tatiana pochi mesi dopo il suo arresto, il 19 marzo 1927.
La lettera continua delineando un vero e proprio progetto culturale: 1° una ricerca sugli intellettuali italiani;
2° Uno studio di linguistica comparata; 3° uno studio sul teatro di Pirandello
e sulla trasformazione
del gusto teatrale italiano; 4° un saggio sui romanzi di appendice e il gusto
popolare in letteratura.
Fin dal mio primo approccio con Nino, mi ha sempre
meravigliato questa decisione di un impegnato attivista politico – che aveva
abituato i suoi lettori e compagni di militanza politica soprattutto alla
corrosiva e quotidiana polemica politica in quelli che egli stesso definisce
“scritti alla giornata”, che dovevano morire “dopo la giornata” (lettera a
Tatiana del 7 settembre 1931) – di passare a scrivere qualcosa “per l’eternità”,
(l’espressione tedesca è di Goethe) e di dedicarsi a un sapere
“disinteressato”. Eppure io partivo, come tutti noi “posteri”, dalla
consapevolezza dell’importanza di un autore ormai considerato un “classico”
della cultura mondiale. Per questo continuo ancora a chiedermi quale
impressione deve aver provocato la lettera di Gramsci in Tatiana e in quei
pochi e “intimi” lettori dell’epoca.
Oggi mi sembra di poter affermare che in Nino ci fosse la
chiara consapevolezza dell’enorme differenza tra la necessità di precedere a strattoni,
ed eventualmente con colpi di pesante ironia capaci di spiazzare l’avversario,
nella fluida e spesso imprevedibile attività politica quotidiana, e l’analisi accurata,
capace di consentire una comprensione più approfondita delle realtà e dei
problemi socio-economici, politici e culturali – ammesso che sia possibile
distinguere nettamente questi tre livelli nell’opera gramsciana!
La consapevolezza di tale differenza non significa però che,
in Gramsci, le due forme di analisi siano o debbano essere autosufficienti o
addirittura in conflitto tra loro. Occorre anzi afferrare la necessità di entrambe
e coglierne le imprescindibili interconnessioni, soprattutto se si tratta di
individuare i “principii di metodologia storica” che consentano una corretta analisi
dei rapporti di forza in una determinata situazione:
“l'osservazione più importante da fare a proposito di ogni
analisi concreta dei rapporti di forza è questa: che tali analisi non possono e
non debbono essere fine a se stesse (a meno che non si scriva un capitolo di
storia del passato) ma acquistano un significato solo se servono a giustificare
una attività pratica, una iniziativa di volontà. Esse mostrano
quali sono i
punti di minore resistenza, dove la forza della volontà può essere applicata
più fruttuosamente, suggeriscono le operazioni tattiche immediate, indicano
come si può meglio impostare una campagna di agitazione politica, quale
linguaggio sarà meglio compreso dalle moltitudini ecc.” (Quaderni del Carcere, Torino 1977, pag. 1588)
Francesco Scalambrino