Sì, capisco, la fede non fa parte del vocabolario a cui siamo abituati. Esiste da ultimo la visione che ha preso il posto della teoria, e sono poi la stessa cosa, più o meno. Ma la fede, che c'entra? C'entra, perché, in un mondo in rapido mutamento, sei portato a fronteggiare altre coscienze, altri modi di essere, che non puoi né trascurare del tutto né incorporare come se nulla fosse. Sono coscienze e modi di essere che danno uno scossone alle tue certezze, vere o presunte. E allora devi sapere prima di tutto chi sei, avere una buona dose di fermezza ontologica. Insomma avere la fede, per usare un linguaggio di tipo religioso. Una cosa che il partito democratico non ha mai avuto in misura sufficiente, se è vero che ancora oggi, 4 marzo 2013, Ilvo Diamanti può scrivere: "Il centrosinistra, per ricominciare, non deve guardare gli altri, non deve guardare indietro. E neppure avanti. Deve guardarsi dentro" (L'illusione del Cavaliere e la "rismonta" del Pd, la Repubblica). Che poi non vuol dire affondare nelle tenebre dell'introspezione, ma provare a rileggere il mondo a partire da una chiara idea di se stessi.
E qui veniamo a quanto ha scritto Giuseppe De Rita sul Corriere della Sera di oggi:
"Senza vigore non si campa e non si vince. E se uno non ce l'ha, non se lo può dare. [...] senza vigore nessun soggetto può pensare di affrontare il travaglio del "riposizionamento", unica strategia per sopravvivere e riprendere a crescere. Per riposizionarsi serve anzitutto intelligente conoscenza e accettazione della realtà, anche quando essa a prima vista non piace; e serve soprattutto cambiare, differire da se stessi, "esporsi all'altro della vita" come dice Derrida".
Poi De Rita dice anche un'altra cosa su cui non sarei tanto d'accordo. Dice: "E' la realtà in essere che è costituente, non i pensieri, le tradizioni, gli interessi, le identità di cui molti di noi fanno ritenzione securizzante". Non esageriamo. La realtà richiede una lettura, e per leggere ci vuole un lettore, insomma non si può fare a meno di un soggetto e di una coscienza soggettiva. E allora si torna al tema della fede, dell'ubi consistam, accennato in apertura.
Certo se il soggetto chiamato a interpretare il mondo non si sa aprire, e prima ancora non sa rimettersi in discussione, non c'è lettura che tenga, il mondo viene riportato sempre allo stesso ordine di categorie mentali, il gatto si morde la coda. Per questo in un post precedente avevo richiamato la metis greca, che ha a che vedere con la saggezza orientale. Bisogna avere il coraggio di lasciarsi andare senza avere troppa fretta di tornare in noi stessi: la metis (“fiuto”) è la capacità di trarre
vantaggio dalle circostanze, di «scoprire i fattori “portanti” in seno alla situazione
per lasciarsi trasportare da essi» (François Jullien, Ripensare l'efficacia in Cina e in Occidente, Laterza 2008, p. 15). Questo richiede prima ancora che vigore, fede e coraggio. Non bisogna aver paura di perdersi. Solo chi ha rischiato di perdersi ha la possibilità di ritrovarsi in una posizione più adeguata alla realtà che lo circonda.
giovanni carpinelli
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