Massimo Recalcati, Destra e sinistra sotto il peso di Edipo
la Repubblica, 6 marzo 2013
COSA è accaduto nella sinistra italiana in questa ennesima sconfitta
elettorale? Un evidente problema nella trasmissione dell’eredità.
Essa
ha voluto aggirare il tempo fatale dell’avvicendamento, del lasciare il
posto al nuovo, del rendere possibile il trauma necessario del
rinnovamento. Il padre non ha voluto lasciare il suo posto. Non ha
saputo vedere che il solo argine nei confronti del rifiuto socialmente
diffuso della “politica” era animare un cambiamento interno della
politica che esigeva la forza unica di un simbolo. Tale era la
candidatura di Renzi dal punto di vista simbolico, al di là del giudizio
politico che si può dare di lui. Ma per quale ragione questo
avvicendamento non si è realizzato? Esiste anche una responsabilità del
nuovo, non solo del vecchio. Lo slogan della “rottamazione” è stato
infelice quanto quello dell’“usato sicuro”. Se la metafora dell’usato
sicuro era sintomatica di una difficoltà ad immaginare il trauma
necessario del cambiamento – tenere quello che si ha ad ogni costo -,
quella della rottamazione fallisce il senso autentico dell’ereditare. Il
vecchio padre si è irrigidito nella sua posizione perché non si è
sentito riconosciuto dal figlio. L’ideologia della rottamazione voleva
fare a meno dei padri senza servirsi di loro. Impraticabile: l’anima
necessariamente conservatrice del partito e dei suoi organi
istituzionali ha reagito emarginando il nuovo e uccidendo il figlio
ribelle.
Illustrando il complesso di Edipo, Freud aveva messo in luce
come la relazione tra i figli e i padri sia marcata da una ambivalenza
profonda: il padre non è solo la rappresentazione eroica di un Ideale
ineguagliabile, ma è anche un rivale con il quale si combatte un duello
all’ultimo sangue. La dimensione conflittuale dell’Edipo si risolve solo
se le armi vengono deposte e si sancisce un armistizio: il padre deve
riconoscere il suo inevitabile tramonto lasciando il suo posto al
figlio, mentre il figlio deve riconoscere al padre il debito simbolico
del dono della vita. Il padre diventa così una funzione indispensabile
nella trasmissione dell’eredità e il figlio, in quanto erede, avrà il
compito di realizzare in una forma nuova ciò che ha ricevuto. Se il
padre o il figlio non riconoscono questa discendenza simbolica, la
dialettica edipica può incancrenirsi in una rivendicazione sterile: il
padre impedisce al figlio di avere un suo posto nel mondo rifiutando di
tramontare; mentre il figlio esige la morte del padre e il rinnegamento
della sua provenienza e del debito che essa implica. [...]
Se
il partito di Berlusconi è immune dalle dissonanze dell’eredità perché è
strutturalmente privo di possibili eredi in quanto il padre è un Duce -
senza discendenza, politicamente sterile - che fa coincidere la sua
esistenza con quella del partito, dunque che esclude l’orizzonte della
trasmissione della leadership, il problema dell’eredità già oggi sta
attraversando e attraverserà fatalmente il movimento dei grillini.
Il
padre di questo movimento non rappresenta per nulla il vecchio, la
provenienza, la radice, la memoria, l’istituzione. Questo nuovo padre si
propone come senza storia, senza memoria, senza provenienza, senza un
volto politicamente riconoscibile, mascherato, radicalmente
post-ideologico. Non ha mai voluto entrare sulla scena edipica della
politica, ma si è sempre mantenuto fuori (Lacan gli direbbe; ma “fuori”
da cosa? Tu pensi davvero che esista un “fuori”?). Il rifiuto del
confronto con gli altri è una cifra essenziale di questa posizione che
si propone come sorretta da un ideale di incontaminazione.
La
dialettica democratica lascia allora il posto all’insulto dell’Altro che
si mescola, come spesso accade in ogni fondamentalismo, con un fantasma
di purezza: da una parte i puri, i redentori, dall’altra gli impuri,
gli indegni. Di qui la sua forza anarchica e sovversiva e il potere
straordinario di aggregazione di fronte ad un mondo politico
drammaticamente corrotto e incapace di rinnovarsi dall’interno. La
saggezza del nostro presidente della Repubblica che difende giustamente
il diritto del popolo italiano di scegliere i suoi rappresentanti, urta
drasticamente contro l’uso violento dell’insulto con il quale il padre
del nuovo movimento insiste nel praticare il non-confronto con gli
altri.
Ma che padre è quello che si manifesta attraverso l’insulto?
Si tratta di un padre che non ricalca più in alcun modo il modello
edipico del Padre come simbolo della Legge. Si tratta di un
padre-adolescente, di un padre-ragazzo, che parla, si esprime e si veste
come fanno i suoi figli. Si tratta di un padre che rivela
sintomaticamente quella alterazione profonda della differenza
generazionale che è un grande tema, anche psicopatologico, del nostro
tempo. Nondimeno questo padre che si maschera con gli abiti dei figli è
un padre che non vuole rinunciare ad esercitare il suo diritto assoluto
di proprietà sui suoi figli. Si provi a mettere questo padre di fronte
alla critica o al dissenso e si vedrà in che cosa consiste la sua pasta.
Dietro ogni leader totalitario che reclama la democrazia si cela una
insofferenza congenita verso il tempo lungo della mediazione che la
pratica della democrazia impone.
Il problema dell’eredità sembra
allora rovesciarsi rispetto a quello che è accaduto alla sinistra: non è
il padre come simbolo del vecchio che non vuole abbandonare il suo
posto di fronte alla minaccia edipica della rottamazione, ma saranno
probabilmente i figli che dovranno assumersi la responsabilità di non
essere più “fuori” dalle istituzioni essendone diventati invece dei
diretti rappresentanti. Saranno allora i figli a esigere il dialogo
politico – rifiutato dal loro padre come segno di indegnità – come unica
condizione per assicurare ad un paese in gravi difficoltà un governo
possibile.
A questi nuovi figli dal viso pulito e dagli ideali forti
dobbiamo affidare il compito di far ragionare un padre che sembra –
almeno sino a questo momento – rifiutare la responsabilità che sempre
comporta la sua funzione e a mascherarsi da “anima bella” che per Hegel
era quella figura della Fenomenologia dello spirito che pretendeva di
giudicare la storia dall’alto della sua beata innocenza senza
considerare che nessuno mai può giudicare la storia senza considerare di
farne parte.
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