L'identità introvabile
http://mondodomani.org/dialegesthai/ct19.htm
Si parla spesso e volentieri di identità; il termine sembra possedere un significato univoco, implicitamente condiviso e di tutta evidenza. E, soprattutto, sembra rinviare a qualcosa di solido, indiscutibile, mentre invece, come dimostra Remotti (1), quella parola spesso abusata promette qualcosa che in realtà non c'è. L'identità rinvia a una sostanza, illude di poter afferrare qualcosa di reale, pretende di circoscrivere una certa essenza nella sua purezza, quando invece essa non è che una finzione. Al massimo si potrà dire che l'identità è un mito utile; un mito da prendere con circospezione, con la coscienza, appunto, che si tratta di un mito. Chi rivendica un'identità intesa come essenza immutabile avanza una richiesta di riconoscimento identitario che mostra una stretta parentela con il razzismo. I sostenitori di un identitarismo radicale finiscono col concepire una dicotomia secca tra noi e loro, tra me e l'altro, tra le persone perbene e i criminali (almeno potenziali) che minacciano di alterare l'identità di quanti si pongono come soggetti di riferimento.
... Nella costituzione dell'identità non si assiste all'assemblaggio consapevole, da parte di un soggetto individuale o collettivo, di elementi eterocliti tratti da altre culture: questa immagine edulcorata e astratta della formazione dell'identità lascia fuori ogni riferimento alla vita vera delle nazioni e delle culture, alla guerra, alle prove di forza, alla brutalità dell'oppressione e dell'esclusione. Rimane vero tuttavia che l'identità è in costante evoluzione e mutamento, senza che si possa rintracciare un'essenza originaria che persiste e si modifica nel tempo. La nostalgia delle origini non sembra giustificata: in origine infatti, in senso stretto, non c'era niente e quel che c'era non si colloca in una relazione necessaria con il presente, se è vero che in ogni epoca o fase della storia la direzione che il cammino prende ne esclude altre. E tutte le direzioni possibili sono compatibili con lo stadio raggiunto dall'identità in un certo momento. L'identità perde quindi ogni forma di necessità logica e storica.
... L'ossessione per l'identità è dunque una distorsione, che si presenta quando la riflessione sul passato comincia a prevalere in misura patologica, assorbendo tutta l'attenzione che, per necessità vitale, i viventi devono rivolgere al presente e al futuro. La volontà di affermare una presunta identità, riflessa e immaginaria, si fa strada quando l'evoluzione si è interrotta per una patologia del pensiero che ostacola i normali processi di alterazione necessari all'esistenza in quanto tale. Senza gli altri, nessun noi, senza alterità, nessuna identità. Pensare un'identità senza alterità significa assumere una chimera, proporre un nonsenso, evocare un circolo quadrato.
Francesco Remotti, L'ossessione identitaria, Laterza, Roma-Bari 2010.
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