Lucrezia Reichlin
I troppi equivoci su Atene
Corriere della Sera, 25 maggio 2015
Domenica il ministro dell’Interno greco
Voutsis annunciava che il suo governo non avrebbe pagato i soldi dovuti
al Fondo monetario Internazionale (Fmi) in giugno. Lunedì sera la
smentita: «Atene farà ogni sforzo per onorare i suoi debiti». Questo è
solo l’ultimo episodio nel confuso susseguirsi di annunci e precisazioni
che accompagnano le trattative in corso tra il governo greco e i
partner europei. Se non fosse una tragedia, questo continuo flusso di
notizie difficilmente interpretabili potrebbe bene essere descritto
dalla commedia di Shakespeare Much ado about nothing
(«Molto rumore per nulla»): pettegolezzi, annunci, voci e chiacchiere
che portano i protagonisti a false mosse e a una sequenza di errori. La
commedia shakespeariana ha un lieto fine, sarebbe potuta andare
altrimenti.
Come nel caso della Grecia, si rimane fino all’ultimo in bilico tra il lieto fine e l’esito tragico.
Il testo si insegna nelle scuole come una riflessione sull’onore, la
vergogna e la politica. Riflessione più che mai urgente per tutte le
parti in causa anche per il caso greco. Dopo quattro mesi di incertezza
ed errori da ogni parte, i negoziati tra Atene e la troika (comunque la
si voglia chiamare adesso) sembrano ora focalizzarsi esclusivamente su
aspetti di bilancio, volti a un accordo dell’ultimo minuto che eviti il
peggio ma che non garantisce alcuna sostenibilità di lungo periodo. Non
c’è tempo, né volontà politica per cercare di costruire un percorso con
un orizzonte non immediato, basato sulla coerenza tra un programma
riformatore e la sostenibilità di bilancio. Si stanno ripetendo gli
errori del passato. È probabile (ma assolutamente non certo) che,
nonostante la confusione di messaggi, la Grecia pagherà il Fmi alla
prossima scadenza - si tratta di pochi soldi - e che ci si ritrovi alla
fine di giugno senza un incidente maggiore. A quel punto è probabile che
si arrivi a un accordo per ottenere l’esborso della ultima tranche
prevista dal secondo programma di aiuti o, ancora più probabile, che per
arrivarci si prenderà ancora un po’ di tempo e si andrà a nuove
elezioni. Ancora tempo perso per la ripresa, ancora incertezza e
possibilità di incidenti di percorso.
Ma anche se lo scenario più roseo si
materializzasse - cioè un accordo pieno sul secondo programma - questa
non sarà certo la fine della saga greca. La Grecia avrà bisogno
di un terzo programma di aiuti. Questo dovrebbe idealmente essere
basato su buoni principi, che evitino il disastro dei primi due. E
paradossalmente sembra che ormai in Europa ci sia un consenso su quali
siano questi principi. Per esempio, bisogna evitare che le riforme -
necessarie - siano pro-cicliche, cioè limitino la capacità di spesa dei
cittadini quando l’economia è in recessione. Anche l’Ocse sostiene sia
meglio cominciare prima dalle riforme meno socialmente divisive: dal
mercato dei prodotti alla riforma dello Stato, al sistema giudiziario ma
comunque non dal lavoro. Inoltre, ormai sono molti a dire che non si
può imporre un surplus primario irrealistico che finisca, come è
avvenuto nel passato, per strozzare l’economia. Ma se su questi
principi di base c’è un largo consenso, quale è la difficolta a
formulare un nuovo programma o meglio a costruire il ponte tra un
accordo sulla chiusura del secondo e la formulazione del terzo? I
problemi sono due. Primo, non è chiaro se il governo greco e l’Europa
abbiano lo spazio politico e quindi la volontà di farlo. Secondo, anche
se lo avessero, non è chiaro se la Grecia sia capace, pur
condividendolo, di metterlo in pratica. Ma la condivisione sul contenuto
del programma e la capacità di attuarlo sono due condizioni essenziali
per la sua credibilità e il suo successo.
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