giovedì 4 giugno 2015

Nostalgia del comunismo e altro



Nostalgia canaglia
Blog, Twitter, Facebook e altri sfogatoi dove poter rimpiangere il comunismo e la Prima Repubblica
Francesco Cundari, Il Foglio quotidiano, 4 giugno 2015 =  L'articolo parla dello spazio occupato dai nostalgici su Facebook o in tv: "Sono stato iscritto al Pci" (7302 membri), "Facciamo rinascere il Pci" (23371), "Gazebo": tanti modi per fare i conti con il passato. La nostalgia sarebbe in realtà un'altra cosa, ossia il desiderio indefinito di un altrove



nostalgìa s. f. [comp. del gr. νόστος «ritorno» e -algia (v. algia)]. – Desiderio acuto di tornare a vivere in un luogo che è stato di soggiorno abituale e che ora è lontano: soffrire di n.; in quei ballabili remoti, scritti su vecchi rigidi dischi, s’annida il grumo indistinto della n. e della gelosia: di quanto si vorrebbe richiamare in vita e non si può, e di quanto invano si vorrebbe non fosse stato (Salvatore Mannuzzu); avere, sentire, provare la n. (una grande, profonda, intensa, acuta, struggente n.) del proprio paese, della patria, della casa, della famiglia. Quando assume forma patologica si chiama nostomania (v.). Per estens., stato d’animo melanconico, causato dal desiderio di persona lontana (o non più in vita) o di cosa non più posseduta, dal rimpianto di condizioni ormai passate, dall’aspirazione a uno stato diverso dall’attuale che si configura comunque lontano: n. degli amici, dell’affetto materno; n. della giovinezza lontana; n. dei tempi passati. (Treccani.it)



























Filippo Rossi
Quando la nostalgia è postmoderna
http://www.ideazione.com/settimanale/5.cultura/89_06-06-2003/89rossi.htm



... Una cosa è certa: la nostalgia è un sentimento che non ha bisogno di un oggetto per essere vitale. Anzi. Quando la nostalgia si ritrova la palla al piede di un oggetto – una famiglia, una patria, un’identità, una terra, un passato – si appesantisce, si snatura, tradisce se stessa. E’ il ritorno impossibile che diventa una scommessa, un azzardo. Ed infatti sfogliando le mille pagine che hanno raccontato il sentimento più umano che esista, la nostalgia per il futuro sembra quella più autentica, più vera, più profonda. Sin dal primo eroe nostalgico raccontato dalla letteratura occidentale: quell’Ulisse che – e non può essere un caso – viene da tutti considerato come il simbolo stesso di quaella tensione antropologica che sarà propria della modernità.

Ulisse: il primo dei nostalgici, il primo dei moderni. “L’Odissea, l’epopea fondatrice della nostalgia – scrive Milan Kundera ne L’ignoranza – è nata agli albori della prima cultura greca. Va sottolineato: Ulisse, il più grande avventuriero di tutti i tempi, è anche il più grande nostalgico”. Ulisse torna per non tornare, per non essere riconosciuto, per non riconoscere. Il ritorno di Ulisse è il suo viaggio, non è il suo approdo. Tanto è vero che Dante fa finire il suo Ulisse moderno non ad Itaca ma oltre le colonne d’Ercole, là dove l’uomo non avrebbe dovuto andare. “Non si ritorna mai – spiega Vladimir Jankélévitch – colui che ritorna, come il Figliol prodigo e come Ulisse, è già un altro… Se il desiderio del ritorno è il sintomo di una nostalgia chiusa, il disappunto che prende il nostalgico al ritorno e la smania infinita che segue questa delusione sono il sintomo di una nostalgia aperta… Lo scoglio di Itaca, quindi, è solo uno scalo provvisorio sulla via di un ritorno infinito… Una patria infinitamente lontana può essere raggiunta solo nella prospettiva di un viaggio interminabile”. Un viaggio senza fine non può che non pretendere una meta. Come ne Il racconto dell’Isola sconosciuta di Josè Saramago, interprete moderno della saudade lusitana, la meta del viaggio umano “è un luogo mobile che appare e scompare sulle carte della fantasia ma sta ben saldo nel cuore di ognuno di noi”. E’ così che la nostalgia diventa, per forza di cose, un sentimento aperto, che non può che ripudiare l’idea stessa di un’identità rigida e bloccata. La nostalgia, allora, come sentimento innovativo: “Al luogo che più non ci appartiene, al tempo già stato, e che più non torna – spiega Prete* – corrisponde, compenso o trascendente ricomposizione, l’altro luogo che niente può cancellare, l’altro tempo che niente consuma: nuova terra e nuovi cieli che sono la forma religiosa della nostalgia. Se, dal neoplatonismo alla gnosi cristiana, l’attesa e la speranza hanno radice in una lontanissima, perduta appartenenza forse è perché il sapere religioso modula in mille variazioni il fascino della più abissale congiunzione, quella che afferma: “l’origine è la meta””. Nostalgia del futuro, quindi, nostalgia che non guarda al passato, perché, come dice Jankélévitch, “la nostalgia è una melanconia umana resa possibile dalla coscienza, che è coscienza di qualcosa d’altro, coscienza di un altrove…”.




* Antonio Prete, Nostalgia, storia di un sentimento, Cortina, Milano 1992

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