Luca
Gaballo
Crisi
greca, retroscena. Perché Tsipras gioca la carta del referendum
Rai
News, 28 giugno 2015
Fu
l'annuncio dell'intenzione di indire un referendum sull'Euro,
nell'ottobre del 2011, a provocare la caduta rovinosa dell'allora
primo ministro greco Papandreou. Dietro le quinte del vertice del G20
di Cannes Angela Merkel e Nicolas Sarkozy lo contrinsero a fare
marcia indietro prima e a abbandonare il potere poi. Il referendum
non ebbe mai luogo. 4 anni dopo Alexis Tsipras, anch'egli con le
spalle al muro, compie la stessa mossa, ma stavolta il rischio è
calcolato perché il contesto è profondamente mutato. Sono gli
scenari che in queste ore disegnano le banche d'affari a lasciare
poca scelta a Tsipras. E' ormai scontato che la Grecia non sarà in
grado di pagare il Fondo monetario il prossimo 30 di giugno. Questo
non innescherà immediatamente un evento di default, più insidiosa è
la scadenza di metà luglio con la Bce: se la Grecia non dovesse
onorare il debito, l'istituto di Francoforte avrebbe sostanzialmente
l'obbligo di interrompere la liquidità di emergenza e di provocare
in Grecia una crisi bancaria del tipo già visto a Cipro e prima
ancora in Islanda ed in Argentina. (Vedi intervista di Rainews ad
Alberto Gallo di Royal Bank of Scotland). Banche chiuse, sportelli
automatici che non funzionano, carte di credito bloccate, scene di
rabbia e di panico nelle strade creerebbero una situazione
politicamente ingestibile. Stipendi, pensioni e piccoli fornitori
della pubblica amministrazione verrebbero pagati con una sorta di
valuta ombra, mentre i ceti sociali più abbienti avrebbero buon
gioco nell'esportare i capitali residui. La Grecia resterebbe
formalmente nell'euro mantenendo le sue obbligazioni intatte. Gli
avversari interni al partito e le opposizioni porterebbero un attacco
concentrico al premier tale da rovesciare il governo e provocare
nuove elezioni in un contesto di altissimo rischio per Tsipras. Non è
escluso che, qualcuno, in Europa, conti proprio su questo auspicando
nei fatti un "regime change" ad Atene, in modo da
riproporre le stesse condizioni poste a Syriza ad interlocutori più
affini o più malleabili. La tranquillità dei mercati mentre la
scadenza si approssima si spiega anche con questo scenario di
riserva. Tsipras non ha avuto dai suoi elettori un mandato ad uscire
dall'Euro ma solo a trattare condizioni più vantaggiose per gli
strati sociali più deboli. I sondaggi indicano che, da quando Syriza
è al potere, la percentuale dei Greci che intendono restare
nell'Euro è salita fino a sfiorare l'85%. La mossa del referendum
gli consente di trasformare questi vincoli in un potenziale
vantaggio, perfetta anche la scelta della data: il 5 luglio, dopo la
scadenza del 30 con l'Fmi ma prima del redde rationem con la Bce. È
un messaggio politico forte ai creditori europei e, comunque vada,
riapre per Tsipras scenari politicamente gestibili. Se i Greci
voteranno sì il premier metterà a tacere l'opposizione interna ed
eviterà un insidiosissimo passaggio parlamentare sui contenuti della
proposta dei creditori, intestandosi un successo politico. Se i greci
voteranno no la sua forza negoziale nei confronti delle istituzioni
creditrici aumenterà, e gli consentirà di andare a vedere da
posizioni meno fragili quanto il gruppo di Bruxelles è pronto ancora
a concedere per non rompere l'indissolubilità della zona euro. Senza
contare che i tanti movimenti anti euro che, per comodità, chiamiamo
populisti, in Spagna, in Francia ed anche in Italia osservano con
attenzione il finale di questa partita.
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