Roberta Scorranese
Dall’inferno agli abissi umani
Le raffinate astuzie di Satana
Tra Otto e Novecento Belzebù ha perso la sua carica simbolica e si è annidato nella psiche
Corriere della Sera, 19 febbraio 2015
Nel 1872 un russo divorato dalla febbre del gioco scrisse I demoni, un
romanzo-affresco su una umanità posseduta, mossa da uno estremo istinto
di distruzione creatrice. Nello stesso anno, un pittore (anche questo
russo) dipinse una delle più singolari Tentazioni di Cristo: Gesù è
solo, in mezzo al deserto, il demonio non è visibile, non ha le consuete
sembianze caricaturali (come, per esempio, nelle Prove di Cristo di
Botticelli). Perché il demonio è in Cristo, è nella sua espressione
perduta, nelle sue mani strette dall’ansia, nelle pietre aride.
Così Fëdor Dostoevskij e Ivan Kramskoi hanno dato vita a una nuova,
rivoluzionaria visione di Satana. In Russia, e forse non a caso: nella
terra degli Zar il nichilismo assunse una fisionomia originale, sospesa
tra la filosofia e la denuncia sociale. L’eclisse di Satana, o, meglio,
la sua trasfigurazione, prende piede anche qui.
Un’eclisse che, nel periodo al centro dalla mostra «Il demone della
modernità», tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, poco
alla volta trasforma il demonio in qualcosa di interiore. Nevrosi, sensi
di colpa, rimorsi, tormenti modernissimi, poi sigillati dalle sentenze
di Freud (se non c’è Dio non può esserci il demonio, diceva in sintesi)
e, in definitiva, c’è la conferma della geniale intuizione di
Baudelaire: «Il miglior trucco del diavolo è nel convincerci che non
esiste».
Ma il percorso non è semplice: sin dalla metà dell’Ottocento Lucifero,
spogliato di una teofania impoverita, si annida nelle idee, prende a
nascondersi negli abissi insondabili dell’uomo descritti da Edgar Allan
Poe. Nel Diavolo nel campanile (1840) Belzebù compare nei panni di un
ometto insignificante e stravolge la normalità di un piccolo, sereno
borgo. Nell’Inno a Satana di Carducci c’è tutta l’energia di un pensiero
libero, rivolto alle cose materiali — si è detto: da massone.
In Breve storia del diavolo (Castelvecchi), Alberto Cousté annota:
«Durante il secolo XIX il demonio si ritira per preparare una strategia
incentrata sulla metamorfosi». Il demone della modernità si nasconde, si
traveste, per poi ritornare e a volte torna in forma di caricatura: se
ne I fratelli Karamazov (ancora Dostoevskij!) appare a Ivàn in abiti
borghesi, nel Doktor Faust di Thomas Mann (1947) tornerà a sedersi in
salotto, di fronte al musicista Adrian Leverkühn. Nella novella La
Madonnina di Pirandello, se ne sta «in agguato dietro il seggiolone su
cui il padre beneficiale Fioríca sedeva con Guiduccio sulle ginocchia».
Il periodo a cavallo tra Otto e Novecento ha trasformato il demonio in
una fiction. Un «personaggio letterario che non turba la vita degli
uomini — scrive Cousté — anche se li istiga ad ampliare la coscienza e a
ribellarsi». Lucifero è astuto: ha capito che, se dio è morto, adesso
bisogna fare leva sulle nuove aspirazioni autarchiche dell’uomo. Lo
ritroviamo nella vena necrofila di Gottfried Benn o nell’iconoclastia di
Giovanni Papini, il quale, nel 1953, pubblica Il diavolo, saggio nel
quale auspica che se la misericordia di Dio è immensa, allora anche
l’angelo caduto verrà perdonato. Non verrà perdonato lui, Papini, che si
ritroverà il volume nell’Indice dei libri proibiti, ma ci penserà il
cinema a esorcizzare satanasso, a cominciare dalle commedie brillanti
come Harry a pezzi (1997) dove Woody Allen troverà un luciferino Billy
Crystal ad aspettarlo all’inferno. Ci voleva la concretezza semplice di
un Papa come Francesco a ricordarci che il demonio c’è eccome, che non è
una leggenda.
Forse è anche per questa recente consapevolezza collettiva risvegliata
dal pragmatismo del Pontefice che oggi libri come Sottomissione di
Michel Houellebecq, dove si ipotizza una Francia islamizzata, sono
capaci di destare preoccupazioni, evidenziando (come con il luminol)
quelle tracce demoniache ancora presenti nella realtà. Perché il diavolo
non è nel nemico, come ci insegna la teologia. Il diavolo è nel nostro
sguardo, più o meno consapevole. Il demone della modernità è più moderno
che mai.
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