lunedì 16 marzo 2015
Podemos non si costruisce a tavolino
Rosalba Carbutti
Landini modello Podemos
Articolo pubblicato il 24 febbraio 2015 su QN (Carlino, Nazione e Giorno)
Che cosa c’entra un sindacalista ultra cinquantenne in felpa rossa con «El Coleta», detto il codino, ricercatore universitario spagnolo di 36 anni con due lauree? Nulla. Ma, si sa, l’essenziale è invisibile agli occhi. E basta analizzare il mondo «Podemos» per trovare un’eco nell’operazione «coalizione sociale» di Maurizio Landini.
Il leader della Fiom, infatti, ha ribadito il suo impegno a creare «una coalizione sociale che superi i confini della rappresentanza sindacale».
Un altro dei protagonisti del progetto «a sinistra del Pd», l’ex Pds Stefano Rodotà, aveva tradotto la «discesa in campo» così: «Un’unione di associazioni, movimenti e pezzi di sindacato in grado di rispondere a istanze che vanno dal lavoro alla salute, dall’istruzione all’abitazione».
In pratica: un’alternativa al PdR, il partito di Renzi, capace di generare malcontento a sinistra. Dal Jobs Act in avanti.
Podemos, nato dal movimento degli indignados spagnoli, fiaccati dalla precarietà e dalla crisi economica, è il modello a cui la sinistra nostrana in cerca di rappresentanza s’ispira. Del resto, come scrive il giornalista Giacomo Russo Spena nel libro Podemos, la sinistra spagnola oltre la sinistra (Alegre), l’obiettivo è «trasformare l’indignazione in un cambiamento politico». Dalla piazza al governo.
Podemos nasce ufficialmente nel gennaio 2014 e in 128 giorni ha conquistato l’8% alle Europee, portando a Bruxelles cinque eurodeputati. La ricetta? Partito liquido, matrice di sinistra, collegamenti col mondo latino-americano. Dando uno sguardo superficiale vien da dire: sono i grillini di Spagna. Sbagliato. Gli slogan, certo, possono sembrare simili: «Destra e sinistra sono categorie novecentesche»; «Lotta alla casta e alla povertà»; «Basso contro alto»; «Primarie via web». Ma, se si va oltre, le differenze col M5S sono macroscopiche. Primo: Podemos è un partito. Secondo: non vuole uscire dall’euro. Terzo: dietro ci sono milioni di indignados, non il Vday. Quattro: è di sinistra e i suoi attivisti hanno un lungo passato di militanza. In pratica, niente a che vedere con l’armata Brancaleone dei grillini degli esordi. E maggiore vicinanza a Tsipras e al movimento Occupy Wall street del 2011. Agli esordi Podemos prese vita da un collettivo universitario a Madrid, simile a quella che fu l’Università di Sociologia di Trento negli anni Sessanta/Settanta. Il leader, Pablo Iglesias Turrìon, benché non si definisca di sinistra, viene da lì. Tant’è che la compagna, Tania Sánchez Melero, è un’ex deputata di Izquierda Unida, una specie di Sel spagnola che vale circa il 4,5%. Laurea in Giurisprudenza e Scienze Politiche, master in comunicazione e tesi di laurea sui ‘Disobbedienti’ di Luca Casarini. Sì, quel Casarini, che oggi ride: «Con Pablo ho vissuto momenti importanti dal 1999 al 2001. Lui era in Erasmus in Italia e venne con me a Genova, quando fu ucciso Carlo Giuliani. Dal movimentismo no global di quegli anni ha dato vita a Podemos. Chi l’avrebbe mai detto che tra i miei amici ci sarebbe stato il futuro premier di Spagna?». Podemos, da allora, è andato molto avanti. È legato al movimento dei cittadini di base, nella sede di Madrid (uno scantinato) aiuta i cittadini a pagare le tasse, ad iscriversi alle liste di disoccupazione, dà una mano agli immigrati. È quello che vuol fare Landini? Forse. «Ma – come spiega Russo Spena – la differenza è che in Italia manca la spinta dal basso di Puerta del Sol. Ed è per questo che Landini temporeggia...».
In effetti, Podemos ha un appeal diverso, prende l’80% dei consensi tra gli under 40 e gli attivisti hanno al massimo 35 anni.
«El Coleta», ex no global, scrive libri citando la serie tv il «Trono di spade» e usa slogan come «Es Ahora», è ora, come mantra. Il soggetto è sempre «El pueblo». Che, stando i sondaggi, lo premierebbe con il 27,7%. Landini, ad oggi, se davvero scendesse in campo, è dato tra il 5 e l’8%. La differenza c’è. E si vede.
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