Giampiero Monetti
Il Decameron secondo Pasolini, 1999
... Altro argomento significativo
è costituito dai riferimenti iconografici, le fonti, i modelli;
in realtà, la prima operazione di visualizzazione del Decameron
risale allo stesso autore: Boccaccio sperimenta di sua mano, nel manoscritto
autografo (Berlino, Staatsbibliothek, Hamilton 90) il rapporto parola-figura
con 16 miniature, raffiguranti i ritratti di altrettanti personaggi. Le
novelle del Decameron costituirono, tra la fine del Trecento e il
primo scorcio del secolo successivo, tema ricorrente in una vasta produzione
figurativa, tipicamente borghese, di deschi da parto, di cassoni nuziali,
ma anche di tavole, che impegnarono autori della portata di Botticelli,
di Ercole de’ Roberti, di Signorelli; invece si può parlare proprio
di un completo ciclo iconografico, in riferimento a diversi codici miniati,
fino alle xilografie con l’avvento del libro stampato.
Se, come detto, fare del
Decameron
un film in costume, con il relativo sforzo di ricostruzione filologica,
non rientrava negli intenti dichiarati dal regista, tuttavia espliciti
e ricorrenti sono i colti rinvii all’arte figurativa medievale. Il discorso
si concentra soprattutto sulle suggestioni della pittura sulle immagini
elaborate da Pasolini, anche se non si possono tacere le scelte oculate
degli esterni, in cui sono state girate le scene del film: innanzitutto
il borgo di Casertavecchia, a Napoli la chiesa trecentesca di S. Chiara
ed il palazzo Penna; nella costiera amalfitana si riconoscono le forme
bizantine di alcune chiese ed il chiostro del Paradiso, oltre ai borghi
medievali del Trentino ed i castelli della Loira.
Pasolini, che era stato allievo
all’Università di Bologna di Roberto Longhi, costruisce il suo cinema
da “dilettante”, sulle basi di un grande bagaglio figurativo, trasmesso,
insieme ad una forte passione, dall’insegnamento del maestro.
Ricche di citazioni pittoriche,
le opere del regista sono state oggetto di diversi studi, che hanno messo
in luce l’importanza fondamentale della giovanile formazione storico artistica,
non solo per il patrimonio figurativo trasposto sullo schermo, ma anche
nello stile delle inquadrature, sempre frontali, come se l’obiettivo percorresse
la superficie di un quadro.
In due momenti del film traspare
l’eccezionale attaccamento del regista per la cultura pittorica: si tratta
di due parentesi visionarie, che, con una serie di piani sospesi tra sogno
e realtà, intervengono per ricostruire l’immaginario collettivo
dell’uomo del Medioevo, parte integrante di una cultura, indagato con la
stessa dignità della realtà materiale, della quotidianità,
degli usi e costumi.
Nel primo caso Pasolini fa
riferimento ad una serie di opere del Cinquecento fiammingo di Bruegel
il
vecchio; la seconda citazione, più precisa in termini storici, è
un omaggio alla pittura di Giotto e consiste in una apparizione onirica,
ispirata al Giudizio universale della Cappella degli Scrovegni di
Padova; al centro della quale si noterà soprattutto la sostituzione
significativa della figura di una Madonna a quella del Cristo Giudice dell’affresco
originale. In un’intervista rilasciata durante la lavorazione, Pasolini
spiega il motivo di questa variazione sul set di Napoli: le comparse “non
riuscivano a pronunciare la parola Dio e insistevano nel sostituirla con
Madonna”. (“l’Unità”, 7 novembre 1970).
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