Andreas, suicida e boia: la sindrome di Narciso sul volo della morte
la Repubblica, 28 marzo 2015
Andreas Lubitz, il giovane copilota del volo Germanwings che si è schiantato con il suo aereo sulle cime alpine dell’Alta Provenza, ha deciso di sopprimere la propria vita. Non lo ha fatto nel chiuso della propria camera. Ha programmato di farlo sul suo posto di lavoro. Ha voluto farlo nel cielo. Quante volte ci avrà pensato prima? Quante altre volte avrà sfiorato l’abisso della morte? E, soprattutto, per quale ragione darsi la morte, per quale ragione decidere di togliersi la vita? Non possiamo rispondere a queste domande. Non è possibile fare nessuna psicopatologia del copilota del volo di linea della Germanwings 4U9525, Barcellona-Düsseldorf.
Non si può però trascurare l’orrore di questo atto. Perché nella sua scelta di darsi la morte questo giovane non ha tenuto in conto che avrebbe portato con sé altre vite umane. Non ha considerato che il proprio atto suicidario lo eleggeva a boia, a giustiziere di fatto. Altre vite oltre la sua sono morte con lui. Vite che non volevano morire, vite che volevano vivere, che erano, alcune tra loro, appena venute alla luce del mondo.
Non si tratta di demonizzare l’atto suicidario in sé, che resta un atto profondamente umano. Per questo Lacan aveva fatto del gesto suicida di Empedocle che si getta nel cratere infuocato dell’Etna il paradigma della differenza tra vita umana e vita animale. La vita umana, diversamente da quella animale che è assorbita integralmente dall’istinto e dalla sue leggi necessarie, ha sempre il potere di dire di “no!” alla vita, di scegliere di vivere o di morire.
L’atto suicida del copilota Andreas Lubitz appartiene, rispetto a quello di Empedocle, ad un altro universo. Non segnala affatto l’elevazione simbolica della vita umana al di là di quella animale, ma la sua alienazione nelle spirali mortifere del narcisismo. Non è vero che non ha tenuto in conto che stava dando la morte ad altre vite. Egli si uccide decidendo di uccidere altre vite perché ritiene che tutto il mondo si esaurisca nel proprio Ego. Il sentimento dell’alterità gli è totalmente assente. La sua depressione rivela qui il suo fondamento narcisistico. Se io non sono nulla nel mondo anche il mondo deve essere nulla.
Accade anche in quei delitti dove chi si suicida è stato un attimo prima l’assassino brutale delle sue vittime, non a caso, solitamente, suoi familiari o suoi cari: se mi lasci mostrandomi che non ho più alcun valore io distruggo la tua e la mia vita. Per questa ragione il suicidio del copilota va distinto da quello, altrettanto esecrabile, dei kamikaze terroristi. In questi casi l’Ego non trionfa ma sembra sottomettersi — sino all’estrema ratio del sacrificio individuale — al potere ipnotico della Causa. Il terrorista suicida rinuncia alla propria vita per fare la volontà impersonale della Causa. In primo piano c’è un fanatismo collettivo; lo sterminio degli innocenti avviene per realizzare i disegni superiori della volontà di Maometto, del popolo, della Storia o della Razza.
È l’identificazione cieca alla Causa che toglie ogni dubbio all’azione del terrorista rendendolo paradossalmente, anziché carnefice, martire. Nel caso invece di Lubitz non c’è nessuna Causa in gioco, se non quella irrinunciabile del proprio Ego. Per questa ragione è un suicidio tragicamente in linea con la cifra fondamentale del nostro tempo: la sola Causa che conta in Occidente rischia di essere quella dell’affermazione solitaria del proprio Ego. L’Altro non esiste, è un’ombra debole, solo una parvenza. Sapeva il giovane copilota che la sua immagine sarebbe rimbalzata su tutti i media. Sapeva che il suo ego sarebbe stato protagonista. Coloro che ha trascinato con sé nel baratro della morte erano le comparse necessarie a fargli da sfondo. Il suo odio per la vita non poteva fare superstiti. Non c’è niente di più folle del narcisismo dell’ego.
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