Braudel alla lettera D
Il Sole 24ore, 29 marzo 2015
«Federico Chabod eccelleva nelle conversazioni informali, sane, gioiose. Come si parla nei rifugi di montagna, per il puro piacere di ridere e di sentir ridere. Ma con l’impressione, anche, di dominare dall’alto i paesaggi ordinari del mondo e della vita. E Federico Chabod, figlio della valle d’Aosta, era e rimaneva un vero montanaro». Nell’autunno 1960, scrivendo in memoriam dell’amico e del coetaneo sulle pagine della «Rivista storica italiana», Fernand Braudel – il formidabile studioso del Mediterraneo cinquecentesco, e l’illustre docente al Collège de France di Parigi – dava voce al lutto della comunità scientifica internazionale per la prematura scomparsa, a cinquantanove anni, del maggiore storico d’Italia.
Conversazioni da rifugio a parte, di Chabod era nota e riusciva quasi proverbiale, negli ambienti della storiografia italiana e straniera, la riservatezza: una montanara ritrosia a parlare di sé, dei propri sentimenti, del privato. Riservatezza destinata a contare anche dopo la sua morte, per la difficoltà in cui ci si è trovati nel decifrare la correlazione – se così si può dire – tra Federico e Chabod: tra la vita dell’uomo e la vita dello studioso. Il che rende tanto più benvenuta, oggi, una coincidenza editoriale. La pubblicazione quasi in simultanea di una ponderosa biografia scritta da Antonella Dallou, Federico Chabod. Lo storico, il politico, l’alpinista, e di un’ampia selezione dell’epistolario curata da Margherita Angelini e Davide Grippa, Caro Chabod. La storia, la politica, gli affetti.
I trascorsi squadristici di «Nardo», e l’irrimediabile sua scelta di pagarne la responsabilità con la vita, contribuiscono forse a spiegare l’ambivalenza del rapporto di «Rico» con la militanza politica? All’inizio come alla fine del Ventennio, Chabod scelse di farsi antifascista militante. Nel 1925, fu lui a scortare Gaetano Salvemini, maestro di storia minacciato dai fascisti fiorentini, oltre il passo del Piccolo San Bernardo, nella libera Francia della Terza Repubblica. Dal 1944 al ’46, fu lui a svestire i panni curiali del professore universitario per indossare dapprima i panni grezzi del capo partigiano, poi quelli scomodi del presidente azionista di una Regione Valle d’Aosta lacerata dal conflitto tra indipendentisti, separatisti, annessionisti. Ma nel mezzo, Chabod scelse di farsi tutt’altro che oppositore del fascismo. Dietro il paravento di un’opportuna separazione tra lotta politica e mestiere di storico, coltivò le opportunità di una carriera ai vertici delle istituzioni culturali di regime.
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